Lìbbere s.f. = Libera me Domine (preghiera)
Come per djasìlle, il sacerdote, su richiesta dei familiari del defunto, salmodiava davanti ad ogni loculo questa notissima preghiera cristiana, a suffragio della buon’anima.
Ricordo don Furio, accompagnato da un chierichetto che gli reggeva il secchiello e l’aspersorio per la benedizione con l’acqua santa e il suo canto accorato e lamentoso in tonalità minore:
« Libera me, Domine,
de morte æterna,
in die illa
tremenda,
quando cœli
movendi sunt et terra.
Dum veneris
iudicare
sæculum per ignem.
Tremens factus
sum ego et timeo,
dum discussio venerit
atque ventura ira.
Dies iræ, dies illa,
calamitatis et miseriæ,
dies magna et amara valde.
Requiem æternam
dona eis, Domine:
et lux perpetua
luceat eis. »
« Liberami, o Signore, dalla morte eterna, in quel giorno tremendo quando la terra e il cielo si muoveranno, quando tu verrai a giudicare il mondo con il fuoco. Sono tremante pieno di timore, in considerazione del giudizio che verrà. Quel giorno è un giorno di ira, di calamità e miseria, un giorno molto triste. Dona loro l’eterno riposo, Signore: li illumini la luce perpetua».
L’offerta ‘libera’ per la Libera (scusate il calembour) al sacerdote non superava le 30 lire per ogni defunto cui si dedicava la sequenza.
Alla parte finale, al requiem æternam dona (eis)… don Furio interrompeva il canto e sottovoce si rivolgeva al committente e chiedeva: “come si chiamava?” Una volta ottenuta la risposta riprendeva il canto declamando il nome del defunto in latino, al posto di eis (a loro).
Forse la sua miopia – che lo portò in seguito alla cecità assoluta – gli impediva già da allora di leggere il nome riportato sulla lapide.
Don Furio, quando divenne completamente cieco, celebrava ugualmente la Messa al cimitero: incredibilmente e completamente a memoria!! Lo posso testimoniare perché mi ha letteralmente strabiliato.
(I versi in latino e la loro traduzione sono stati trascritti da Wikipedia)
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