Gghjachitemmùrte inter. = Esclamazione, (rom. li mortàcci.…)
Si tratta del riassunto della frase intera: mannàgghja a chi t’è murte! = male ne abbia chi ti è morto.
In rapporto al numero dei destinatari dell’improperio, può essere declamato anche al plurale: ‘ghiachivemmùrte.
Viene enfatizzato, sempre ad alta voce. Se non bastasse, per rincarare la dose, si aggiunge una cosa senza prendere fiato: “e stramùrte!”.
Quando lo si bisbiglia a testa bassa vuol dire che si è di fronte a qualcuno che non deve sentire, per il bene di tutti (il capufficio, il militare di grado superiore, un poliziotto che ti sta multando)
Talora, ancora più stringatamente echeggiava un trisillabo, specie se rivolto a dei monelli in fuga dopo aver combinato qualche marachella: “ghià-chì-v’è….!” e bastava questo.
Comunque jastemé ‘i mùrte=bestemmiare contro i defunti era considerata una ingiuria molto grave. La reazione era violenta, e la zuffa, anche tra adulti, finiva molto male.
I più poetici ricorrevano alla frase:
«mannagghje all’ùsse sturte
de chivemmùrte
e stramùrte!»
Io credo solo per questione di rima, a prescindere dalla deformazione di povere ossa di quei morti.
Commenti:
MrDelicate
Mio nonno aggiungeva anche un sonoro Ghjachitevvève (spero di averlo scritto correttamente). Per logica dovrebbe essere un augurio di male rivolto a chi non era ancora defunto…
Saluti
Tonino Racioppa
No, credo invece che si tratti di un vero e proprio eufemismo, come quando si dice: “perdinci!” o anche: “per la Majella!”, invece di nominare in un’imprecazione Dio o la Madonna.
Forse una forma di rispetto verso i defunti, ma il destinatario dell’improperio è sempre lo stesso.
Grazie per l’attenzione.