Capízze s.m. = capo, bandolo, inizio, parte estrema.
Ringrazio sentitamente l’amico Matteo Borgia jr per l’intera stesura del sottostante articolo, esempi compresi.
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«È l’estremità libera di una matassa, di un gomitolo, di un rocchetto o di un rotolo, in italiano il bandolo. Deriva da “capo”, o meglio ancora dal latino capĭtium «estremità», e non va confuso con (clicca–>) capícchje , il capezzolo del seno, con cui condivide l’etimo, né con (clicca–>) capèzze, cavezza, briglia.
A volte è molto complicato riuscire a trovarlo, così scovare il bandolo o sbrogliare la matassa significa risolvere un problema, superare una difficoltà.
Analogamente, in dialetto capízze assume il significato di soluzione (di un problema), rimedio.
Nge sté capízze pe ‘stu mbrugghje =non c’è rimedio per questo imbroglio.
N’arrevéme a truué capízze =non arriviamo/non riusciamo a trovare il bandolo, a raccapezzarci.
Da notare che anche il verbo italiano “raccapezzarsi” ha lo stesso etimo.
A volte il rimedio può essere buono o cattivo.
Ricordo il mio maestro elettricista, Tonino Paravùzze Rinaldi che – quando le matasse di filo si imbrogliavano e diventava difficile trovare il capo giusto – diceva: pe truué u capízze bbùne ‘ma chjamé ‘u nucchìre! = per trovare il bandolo buono dobbiamo chiamare il nocchiere) .
Oggi il termine è in disuso, tranne forse tra i sarti o nella marineria.»
(Matteo Borgia)
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