Saréche s.f. = Salacca, spratto, papalina, saraghina.
È un pesce nordico (Sprattus balticus) che viene pescato principalmente presso le coste Norvegesi, Inglesi, Belghe, Olandesi e Germaniche, del Mare del Nord e del Mar Baltico. Nella specie Sprattus Sprattus, sono diffuse anche nel Mediterraneo e nel Mar Nero.
Appartiene alla famiglia dei clupeidi ed è molto simile alla sardina. La sua lunghezza massima è di 17 cm. Il dorso è di colore scuro e bluastro, i fianchi ed il ventre sono bianchi. Per la commercializzazione le salacche venivano salate, e affumicate, e pressate in un contenitore circolare di legno. Infatti si presentavano con i fianchi giallastri proprio per effetto dell’affumicatura.
Le salacche più piccole erano dette sarachèlle.
Era considerato un cibo povero, tanto è vero che attualmente non ne vediamo più in commercio. Con una “sarachella” e un pezzo di pane a testa riusciva a cenare tutta la famiglia.
Tuttavia era molto apprezzato in quanto ricco di proteine e grassi, ma sopratutto perché reperibile ad un prezzo accessibile.
Figuratamente ‘na saréche designava un colpo secco o nel gioco del calcio, un tiro potente. Indicava anche una persona molto magra come si presentava la salacca affumicata.
Chépe de saréche invece è un eufemismo per indicare una persona dall’intelletto smorto o dal comportamento bislacco.
Chépe de saréche tuttora è usato (come dicono quelli che sanno la grammatica) anche quale “locuzione esclamativa propria” di incredulità, di sorpresa o di ammirazione. Insomma un eufemismo come patecà, usato per non cadere nel volgare.
Generalmente saréche in maniera figurata indicava un discorso o un apprezzamento di scarso valore. Come quando si vuol smentire qualcuno, come per dire che le sue sono affermazioni senza valore, da scartare, si usava a commento: « sì,…. chépe de saréche!»
Similmente, riferendosi ai gusci vuoti delle canestrelle: «Sì, carècchje» = Sì, tu dici parole vuote, senza costrutto.
Parlo al passato perché i ragazzi di oggi non sanno nemmeno che cosa siano queste saréche.
La sarachèlle, pesce diffuso nel mare Adriatico, è comunemente chiamata “Papalina” non per la sua forma, bensì perché all’epoca la si pescava in zone appartenenti allo Stato Pontificio (coste dell’Emilia-Romagna, e delle Marche)