Tag: sostantivo maschile

Cazze-nìrje

Cazze-nìrje s.m.Cazzo-nero

Nomignolo molto curioso. Proviamo a dare una spiegazione plausibile?

Spiegazione seriosa: deriva da Scorzonero o Scorzonera (Scorzonera hispanica). Pianta provvista di un ciuffo di foglie lineari, dal cui centro parte uno stelo eretto alto fino a un metro, coltivata per la radice commestibile molto gustosa, simile alla pastinaca, scura, ritenuta un tempo un efficace antidoto contro il veleno delle vipere.

Spiegazione cazzosa: Probabilmente qualcuna è rimasta stravolta dopo aver avuto un incontro ravvicinato con un soldato americano di colore, e l’ha riferito il particolare anatomico all’amica curiosa.

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Cazze ‘u Rè 

Cazze ‘u Rè s.m. = Donzella, signorinella, pesce carabiniere, girella.

La Donzella (Coris Julis) è un pesce di mare dell’ordine dei Perciformi, fam.delle Labridee.
Raggiunge la lunghezza massima di 20 cm.
È una specie ermafrodita: gli individui (sessualmente attivi ad 1 anno) nascono femmine e invecchiando diventano maschi.
Studi hanno dimostrato che tutti gli individui che superano i 18 cm sono esemplari maschili. Il cambio di sesso dura circa 5 mesi.
È molto vorace e cresce su fondali rocciosi o nelle praterie di Poseidonia, fino a100 m. di profondità. Le uova, giallo-trasparenti, sono deposte tra aprile e agosto. (…fine della puntata di Quark. Notizie attinte in rete…)

Viene erroneamente considerato di scarsa qualità, e perciò ritenuto commercialmente non interessante.  Invece ‘u càzze ‘u Rè  pronunciato tutto d’un fiato, ‘u cazzurrè = il cazzo del Re) nella nostra ciambòtte, fa la sua porca figura (scusate il toscanismo alla Benigni).

Sono curioso di sapere perché si chiama in questo modo. Che possa avere la forma fallica è ammissibile, ma perché del Re?  Forse perché molto decorativo: osservate  la foto (scattata da me) e ammirate la sua bella cromatica livrea.

Nomi regionali :
Abruzzo: signurinella
Puglia: cazze de re (Bari), cazzu di rre (Salento)
Sardegna: ziguella, pisciu re
Sicilia: pizzirè, viriola, minchia di re, viola, carabiniere
Toscana: cazzo di re, nicchio

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Cazze

Cazze s.m. = Pene

Apparato genitale esterno maschile. Il pene è l’organo riproduttivo maschile, costituisce l’ultimo tratto delle vie urinarie, e viene chiamato anche membro virile.

Nella parlata odierna “cazzo” ha soppiantato l’ormai obsoleto (clicca→) pengöne. Assieme al siciliano “minchia”, è diffuso compreso in tutta Italia.

Il termine viene usato spesso nel linguaggio normale quale rafforzativo di un concetto, o come senso di impazienza, senza pensare a tanti sofismi sul suo significato anatomico:

Che cazze sté decènne? = Cosa diavolo stai dicendo?

Mantjine ‘sta cazze de schéle! = Reggi questa benedetta scala.

‘Stu cazze de Pavelócce ce mètte sèmpe ammjizze = Questo noioso Paolino si intromette sempre nei nostri discorsi.

E che cazze! (Forma breve EKK) = E che diamine! Ma insomma! Ma è sempre le stessa storia! Possibile? Ma non vedi che é tutto sbagliato? Potevi pensarci prima! ecc.

‘Stu cazze! = È la risposta generica nonsense a qualsiasi domanda inopportuna o molesta. I Romani dicono: “Sì, lallero”

Che cazze vé truanne? = Chi stai cercando? (Si vede che è nervoso?)

Addu cazze stéje ‘stu cazze de ‘mbrèlle? = Dov’è finito l’ombrello? (Si nota che ha fretta?)

C’jì presentéte cazze cazze = Si è presentato senza essere stato invitato (Si vede che è infastidito?)

‘Stru càzze ‘mpernacchiéte = Questo minchione addobbato con pennacchi (Si vede che è ridicolo e sciocco?)

Si’ proprje ‘nu chéca cazze = Sei proprio un rompiballe

Ha purtéte ‘sti cazze de dìsche? = Hai portati questi accidenti di dischi?

Töne ‘a chépe de càzze = Costui ha la testa senza discernimento, senza cervello, come un glande.

Grazzje au cazze! = Ti ringrazio per quello che mi stai dicendo, ma io lo sapevo già da tanto tempo. O anche: è ovvio che le cose siano così, non c’è bisogno di intervenir: hai fatto la scoperta dell’acqua calda! (Quelli più fighetti dicono: Grazzje a Orazzje = Ringraziamenti al sig. Orazio)

Te ne vjine cazze-cazze = Te ne vieni, con improntitudine, a fare una richiesta assurda.

Gli esempi possono continuare all’infinito: la fantasia non ha limiti.

Curiosità: il sostantivo in lingua italiana pene, dal latino pènem, acc. di pènis, probabilmente è stato costruito sul verbo latino/italiano pèndere. Quindi “pene” = quello che pende, che penzola.

Con il beneplacito dei maschietti che si vantano tanto delle loro capacità di sostenere prolungate erezioni….

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Cavezungjille

Cavezungjìlle s.m. = Calzoncini (alim.)

Dolce natalizio.

Calzoni di pasta sfoglia dolce con ripieno di miele, o ricotta, cioccolato, noci e canditi.

Una volta quando il cacao era un lusso, si imbottivano di ceci lessati, mosto cotto,e cannella.

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Cavezunètte

Cavezunètte s.m. = Mutandina

Precisamente la mutanda di cotone tipicamente maschile, con gambetta e apertura anteriore chiudibile a bottoncino. Ora si chiamano boxer sulla guisa dei grossi mutandoni usati dai pugili (boxeur).

È un termine non più usato. Ora semplicemente si dice ‘u mutande, quello da uomo e ‘u brachessüne quello da donna.

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Cavezöne alla zuàrre

Cavezöne alla zuàrre s.m. = Pantaloni alla Zuava

Alla zuàrre = Alla zuava, alla maniera degli Zuavi, spec. con riferimento a capi di vestiario di foggia simile alla divisa degli Zuavi.

Specificamente le gambe dei pantaloni non arrivavano alla caviglia, ma erano fermate sotto il ginocchio, con un bottone o un laccetto, e ripiegate ognuna in modo da formare uno sbuffo.

Erano i primi calzoni lunghi che un ragazzo indossava dopo essere andato con i calzoncini corti fino ai quattordici anni.

Erano un po’ curiosi. Li portavano anche gli adulti, in abbinamento a calzettoni a disegni a rombi e con colori scozzesi.

Fortunatamente sono andati fuori moda negli anni ’50.

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Cavezöne

Cavezöne s.m. = Calzoni, pantaloni

I puristi dicono che pantalone è un francesismo, e che in italianoi si deve dire calzoni, al plurale, come pinze, tenaglie, forbici, occhiali, perché formati da due elementi distinti quantunque uniti.

In dialetto diciamo ‘u cavezöne, come se fosse al singolare. Difatti due pantaloni si dice düje cavezüne.

Una volta si diceva che in casa è l’uomo che porta i calzoni, come per dire che ha autorità sulla moglie e sui figli.

Già, una volta.

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Cavamonde 

Cavamonde s.m. = Cavapietre

Operaio addetto all’estrazione di pietre da una cava.

Costui svolgeva un lavoro tra i più faticosi esistenti. Con un paletto d’acciaio (‘a pala-möne, il palo da mina) dal diamentro di circa 5 cm, a forza di braccia praticava un pozzetto nella roccia profondo almeno 50 cm.
Dentro questo foro disponeva una carica di tritolo (‘a möne = la mina) che faceva brillare con una miccia a comustione lenta, per frantumare la roccia in grossi pezzi. Ognuno di questi, con un grosso martello che si impugnava con entrambe le mani, veniva ulteriormente ridotto di pezzatura, secondo l’utilizzo che se ne doveva fare. Un lavoro massacrante.

Se non vi annoio, voglio proporvi una poesia del mio caro amico Lino Nenna, dedicata a suo padre che di professione faceva proprio il cavapietre.

Méne pussènde e callöse
japèrte cöme ‘a pètele de röse,
p’a facce stanghe e scarnüte:
‘u mestjire l’ò vìste abbelüte
P’ ‘a fatüje fatte škìtte dai vrazze
e pöche chjöche tenöve mbacce.
Jìnde ‘u sguarde ‘na dulcèzze,
ma l’ùcchje luccecande de stanghezze.
‘A söra tarde turnöve, ce accarezzöve,
revedènne ‘i vüse nustre,
jìnd’u cöre süve l’anzje
de vedìrece grùsse.
Jìsse camböve škìtte pe nüje
ma ‘u tìmbe nen l’ò accarezzéte méje.
Pe la mènde alla famigghje
e p’u cùrpe alla fatüje
ò cunzeméte acchessì ‘a vüta söve.
Tótte ce’ò déte pe tanda amöre
chisà se ‘u Segnöre ce l’ò pegghjéte a cöre.

Traduzione per i lettori non manfredoniani:

Mani possenti e callose/ aperte come petali di rosa/con la faccia stanca e scarnita/il mestiere lo ha reso avvilito/per il lavoro fatto solo di braccia/e poche rughe teneva sulla faccia./Dentro lo sguardo una dolcezza/ma gli occhi lucidi di stanchezza./A sera tardi tornava, ci accarezzava/rivedendo i nostri visi/ dentro il cuore suo l’ansia/di vederci cresciuti./Egli viveva solo per noi/ ma il tempo non lo ha accarezzato mai./Con la mente alla famiglia/ e con il corpo al lavoro/ha consumato così la vita sua.
Tutto ci ha dato con tanto amore/chissà se il Signore lo ha preso a cuore.

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Cavafanghe 

Cavafanghe s.m.= Draga, aspira fango

 

Attrezzatura della marineria per cavare dai fondali del bacino portuale gli accumuli di fango in modo da aumentarne il pescaggio, ossia la profondità. I fanghi portati in superficie, se non ricordo male, venivano deposti su uno zatterone e scaricati in alto mare.

L’etimo è chiaro: cavare, tirare fuori. estrarre + fango.

Siccome l’imbarcazione era sempre rumorosa, puzzolente e sporca, il termine è passato scherzosamente a designare qlcu non proprio di bell’aspetto, diciamo non un fighetto.

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Catenjille

Catenjille s.m. = Anello a muro

Si tratta di un anello di ferro tondo (il ferro è grosso Ø mm 15) dal diametro di circa cm 12, passante in un occhiello anch’esso di ferro. Questo era munito di codolo a punta che si infiggeva nel muro.

Si vedevano sulle pareti delle case a piano terra, ad altezza uomo, e servivano per legarvi la cavezza delle bestie da soma o anche la corda per stendere la biancheria.

catenjille più piccoli, in italiano chiamati ” occhielli per tende”, hanno il diametro cm 3, e sono di ottone per evitarne l’ossidazione a causa dell’umidità esterna.

Servivano per sorreggere la “rete” sull’uscio di casa, e scorrevano su una bacchetta di ferro tondino sostenuta da due occhielli a vite.

Da non confondersi con catenìgghje=cordoncino. (clicca)

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