Tag: sostantivo maschile

Chjalètte

Chjalètte s.m. = Tarallini con glassa ( a occhialino)

E’ un prodotto dolciario casareccio.

Sono delle ciambelline composte di farina, zucchero, uova e ricoperte di glassa. Di dimensioni minori delle scarièlle.

Sono chiamati anche taralle ‘ngeleppéte , ossia ricoperti di giulebbe (glassa di albume e zucchero).

Si può scrivere come spesso viene pronunciato, col rafforzativo iniziale: cchjalètte.

Questi dolci fanno parte della tradizione culinaria di Pasqua di tutto il Sud Italia. Alcuni, in fase di preparazione, li cospargono di confettini colorati

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Chiapparüne 

Chiapparüne s.m. = Càppero

Etimo di origine arabo-persiano Al-qâbar.

Il cappero (Capparis spinosa) appartenente all’ordine delle Brassicacee, fam. Capperacee, è coltivato fin dall’antichità ed è diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo.

Cresce spontanea solo sulle rupi calcaree, nelle falesie (coste rocciose con pareti a picco sul mare), su vecchie mura, formando spesso cespi con rami ricadenti lunghi anche diversi metri. Necessita di sole e di pochissima acqua.

Della pianta si consumano i boccioli, detti capperi, e più raramente i frutti, detti cucunci, a forma di piccolissimi cetriolini. Entrambi si conservano sott’olio, sotto aceto o sotto sale.

In dialetto si usa chiapparüne sia al singolare, sia al plurale.

Io ricordo anche un Montanaro con la voce squillante che, fino a pochi anni fa, vendeva i capperi per le vie di Manfredonia: “Chiapparìne, chiapparìiiiine!”

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Chetògne

Chetògne s.m. = Mela cotogna

La frutta, come la mela cotogna è linguisticamente parlando, sempre al femminile (la pera, la banana, la pesca, l’albicorra, la ciliegia, ecc.) In dialetto invece è maschile ‘u chetògne. Al plurale la ‘ó’ ha un suono acuto ‘i chetógne.

Il cotogno, qui inteso come pianta (Cydonia oblonga) appartiene alla famiglia delle Rosaceae

La polpa del frutto, che è praticamente immangiabile anche in fase di maturità, pochissimo dolce, dura, e piuttosto acre, subisce con la cottura, una trasformazione drastica degli zuccheri “a lunga catena” contenuti ( quindi “poco dolci”) in zuccheri decisamente “dolci”, con uno spiccato profumo di miele.

‘I chetógne erano nominati in una sorta di filastrocca che si recitava per fare la conta (al posto di “Ah, nghi. ngò, tre civette sul comò…):
Chépe chetógne
‘u möse d’ajóste
e la cucchjére
e la furcjüne
e la scu-tèl-la.

Il bambino che faceva la conta, sillabava la filastrocca toccando con la punta delle dita – ad ogni accento tonico –  gli altri disposti in cerchio. Ogni sillaba ad un bambino. Le ultime tre sillabe venivano pronunciate rallendando il ritmo in modo che chi era toccato per ultimo con la sillaba -la di scutèlla era il designato.

Ah stavo dimenticando la traduzione: Testa di mela cotogna, il mese di agosto, e il cucchiaio, e la forchetta e la scodella.

Quel chépe chetógne può significare “una delle più grosse mele cotogne”, o anche “una delle prime che cadono dalla pianta”.

Comunque non c’è alcuna logica nelle filastrocche.  Difatti quale logica ci sarebbe nell’accertare che le tre civette sul comò facevano l’amore con la figlia del dottore?

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Chésecavalle

Chésecavalle s.m. = Caciocavallo

ll caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell’Italia meridionale di forma tondeggiante, a “sacchetto”, prodotto con latte particolarmente grasso di mucche podoliche, con l’aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale.

Mio padre lo chiamava chésecavadde, come cepodde, martjidde, curtjidde, passarjidde jaddüne, e tutte le parole che in italiano contengono la doppia elle, specie come desinenza. La lingua si evolve perché certe pronunce erano ritenute rozze.

Torniamo a noi: questo formaggio viene detto così perché, per la stagionatura, legato in coppia, viene posto “a cavallo” di una pertica orizzontale. Se la stagionatura supera i dieci mesi il formaggio assume una sapore leggermente piccante, apprezzatissimo dai buongustai.

Curiosamente esiste un formaggio largamente usato in Turchia e nei Paesi balcanici (Bulgaria, Macedonia, Serbia, Romania), chiamato quasi come il nostro chésecavalle, il Kaşkaval кашкавал ma prodotto con latte di pecora e consumato dopo una brevissima stagionatura.

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Chése-recòtte

Chése-recòtte s.m. = Cacioricotta

Il Cacioricotta è un formaggio tipico del Sud Italia. Prodotto ibrido della lavorazione del latte.

È usato come pietanza e anche grattugiato sui maccheroni al sugo.

Io preferisco la ricotta dura grattugiata col sugo di pomodori freschi al basilico.

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Chése 

Chése s.m. e s.f. = Cacio, casa

1) Chése s.m. (dal latino càseus): latte di pecora, di capra, di mucca o di bufala cagliato, salato, cotto e preparato nelle forme, da cui dicesi anche formaggio. Curiosità i tedeschi dicono Käse (pron. chése, come la nostra).

2) Chése s.f. = edificio di muratura che serve da abitazione.

A chése = a casa mia. Infatti l’agg. mia è sempre sottinteso. Se voglio dire a “casa tua” dico: a càste.

Jüje a chése e tó a càste = Io a casa mia e tu a casa tua.

Al plurale gli articoli ‘u ‘a diventano ‘i, mentre il sostantivo resta invariato.

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Chépetórne

Chépetórne s.m. = Capogiro, vertigine

La prima parte del termine, chépe chiaramente significa capo, testa. L’altrà parte tórne è derivano dal francese tourner e significa proprio girare.
Ricordo una canzone di Yves Montand: Tu me fais tourner la tête = Tu mi fai girar la testa.

Accettabili anche le varianti capetórnechépetónne.

Chépetórne designa lo stordimento causato dallo svolgimento di taluni giochi fanciulleschi, o di un vorticoso valzer. Quindi con un sorriso si aspetta che cessi.

Se invece il capogiro ha origine patologica è chiamato proprio geramènde de chépe = giramento di testa, capogiro. Sovente accompagnato da vomito e diarrea (jì da söpe e da sòtte).

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Chépecanéle 


Chépecanéle
s.m. = Cenone

Chépecanéle s.m. = Cenone

Chépecanéle  alla lettera si traduce con  “capo-canale”, locuzione che non significa nulla.

È più probabile che derivi da baccanale = cenone affollato, baldoria, gozzoviglia.

Era tradizione che il proprietario del fabbricato offrisse alle maestranze che avevano ultimato il solaio (vultéte ‘i làmje) una cena in un trattoria-cantina preavvertita dell’evento (Ciumarjille, Giuànne, Pachjireche, Mešküne, Menjille, ‘Nzaléte, ecc…)

 

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Chepasöpe

Chepasöpe s.m. = Salita

Tratto di strada per cui si sale.

Erta, pendio difficoltoso da scalare.

Pittorescamente i Montanari dicono chépe ad alte, con lo stesso significato: testa rivolta verso l’alto.

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Chépabbàsce

Chépabbàsce s.m. = Discesa

China, pendenza, strada in pendenza, tratto in discesa.

‘U chépabbasce d’u Semenàrje = La discesa di Via Seminario

Figuratamente significa percorso inarrestabile, malore fisico o psicologico o economico da cui è difficile riprendersi.

Pegghjé ‘nu chepabbasce = rovinarsi, andare in malora.

Amme pegghjéte ‘nu chépabbàsce = Abbiamo imboccato una difficile china da cui è arduo risalire.

I ragazzi di oggi, tutti acculturati, usano il termine desciöse = discesa.
Non mi piace questo termine geneticamente modificato…

Il contrario, cioè la salita, è detta ‘u chépasöpe o l’anghjanéte, dal verbo anghjané = salire.

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