Tag: sostantivo maschile

Córre-córre 

Córre-córre s.m. = Fuggi-fuggi

Il termine ha diverse sfaccettature di significato. 

  • Scompiglio, riferito a folla che fugge disordinatamente e in preda al panico. 
  • Allarme ingiustificato
  • Pericolo incombente che spinge alla fuga.
  • Necessità corporale impellente.

La ripetizione di correre (corri, corri!) dà l’idea della rapidità o dello scompiglio con cui si identifica il lemma.

Sté partènne? Te si’ mìsse ‘u mutànde e ‘a magliètta pulüte? Angöre ‘nziamé nu córre-córre.. = Stai partendo? Hai indossato la biancheria pulita? Non si sa mai, potresti trovarti in una situazione difficile.

La brava mamma pensa che in caso di disgrazia, i soccorritori avrebbero trovato il suo pupo tutto in ordine…
Non sa la poverina che purtroppo, in caso di infortunio traumatico, per prima cosa si allentano tutti gli sfinteri del malcapitato e le mutande saranno comunque piene di liquidi e sostanze organiche.

Nota fonetica: 
La “ó” con l’accento acuto si pronuncia stretta, quasi una “u”, mentre quella con l’accento grave “ò” si pronuncia larga.
Notate la differenza fra ‘u ze rósse e ‘a ze ròsse  = il rosso (un individuo rosso) e la rossa.

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Córle

Córle s.m. = Trottola

Trottola di legno tornito, munito di punta metallica. Aveva la forma di cono con la base a calotta. Esistevano di varie misure da 6 cm (‘u córle più diffuso) a 10 cm di altezza (detto ‘u pataccöne).
Si azionava mediante un grosso spago formato da due o più capi ritorti di canapa, detto zajagghje. Lo si avvolgeva sulla trottola e si lanciava su un terreno compatto. Il rapido srotolamento dello spago imprimeva alla trottola un movimento rotatorio tale da farla restare ritta sulla punta a pirlare a lungo su se stessa.

Si facevano giochi di squadra, con questi oggetti, che duravano un intero pomeriggio.
Il terreno ideale era di tufina battuta. Si tracciavano si di essa con la punta della trottola due cerchi concentrici: quello interno del diametro di 20 cm e quello esterno max 180 cm e delimitava la distanza da cui lanciare la propria trottola.
Tutto lo schema, come quello del gioco della campana era chiamato ‘a vènghe (←clicca).
Nel cerchio piccolo di poneva la trottola del giocatore che nel lancio iniziale per prima cessava di roteare.
Gli altri, a turno cercavano di centrarla pronunciando ad alta voce la propria volontà, rivolgendosi alla vènghe, ossia al tracciato sul terreno.
La dichiarazione d’intento più diffusa, perché non impegnativa, era: venga vè, pennìcchje da söpe = cerchio tracciato, colpirò sopra il giocattolo che è nel centro dell’area piccola proprio per scalfirlo. Se il lanciatore non la colpiva doveva semplicemente attendere il successivo turno di lancio.
Qlcu più sicuro dichiarava: “Vènga vé tutte sòtt’ è ffore de mè“, oppure: “Venga, vè,  jü e Giuànne söpe e tutte quànde sòtte” = Io e Giovani continueremo i lanci e tutte le altre trottole vanno poste al centro per subire le incursioni…
Però, se il lanciatore non centrava la trottola che faceva da bersaglio, era la sua che doveva rimanere nel cerchio centrale a subire gli attacchi degli altri.
Lo scopo era la distruzione dei giocattoli avversari, ma raramente i córle si spaccavano per questi lanci, anche se i “proiettili” erano patacconi,

Dietro suggerimento del lettore Pino La Torre, aggiungo il glossario per completare l’argomento:

– Pennìcchje: Scalfittura, infossatura, buchino inferto dalla punta metallica di una trottola ad un’altra trottola giacente al centro della vènghe;

– Pennózze agg, = Pennuzza, nel senso si leggerezza. Indica una trottola di media grandezza che rotea sul palmo della mano, senza alcuna vibrazione, in modo così lieve da farsi sentire a malapena, segno evidente di buona riuscita;

– Lüme agg. = Lima. Sinonimo di pennózze. Forse perché la punta è perfettamente levigata come se fosse stata trattata con una lima a grana fine;

– Trùne, agg. = Tuono. Nel caso opposto al precedente, la trottola è difettosa, perche nel conficcare la punta metallica arroventata nel legno, non la si è mantenuta in asse. Quindi trùne/grave, pesante, contrario a pennózze/leggera;

– Zarabbabbàlle agg. = Instabile. È così definita quella trottola che per errata calibrazione, è disassata, e quando gira fa sul terreno una strana traiettoria, quasi saltellante ed è impossibile raccoglierla in mano.

Oggi i córle si vendono solo a Monte S.Angelo. I pellegrini di una certa età li comprano per nostalgia, ma non ci gioca più nessuno purtroppo ?

In Italia, la piccola”trottola” prende diversi nomi: “Ciucidda”, in Sicilia (Pachino – Siracusa), “Girifalco” in Calabria, “Morrocula” in Sardegna, “Strummola” a Palermo, “Strummolo” a Napoli, “Cùrrulu” in alcuni paesi del Salento, più simile al nostro “córle”.

Il prof. Michele Ciliberti mi ha specificato che «Lo στρòµβος/strombos o strobilio era il gioco che praticavano i bambini greci già nell’antichità. Nell’idioma greco antico era detto στρομβιλιων/strombilion, ossia “piccola pigna” o “cono”, oltre che per via del movimento rotatorio che si poteva imprimere a tale oggetto.»

Da strombilion è derivato il termine strummulu o in Sicilia  e strummolo in Campania.

*  *  *

Il dott. Matteo Rinaldi, autore assieme a Pasquale Caratù di un pregiatissimo Vocabolario dialettale manfredoniano, mi scrive a questo proposito:

«Ti ricordo che le punte in ferro, ai famigerati córle li andavamo a ordinare da mast’Necöle Telera, la cui officina si trovava all’imbocco di vico Clemente in una rientranza delle mura, ed era ricavata da un mezzo vagone ferroviario.  Tra l’altro i giochi con il corle erano due, se ben ricordi; il primo era ‘a vvènga vènghe‘ e l’altro era ‘ai pennicchie‘, cioè a colpire ‘a patacca’ (così si chiamava la parte lignea della trottola).

Sono ricordi indelebili perché scolpiti fortemente nella mente di noi ragazzi di un tempo che ci accontentavamo di pochi giocattoli procurati a stenti e spesso da noi stessi ideati.»
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Cöre

Cöre s.m. = Cuore.

La pronuncia del termine francese, scritto Coeur è identica alla nostra.

Madò, m’ha fatte zumbé ‘u cöre da ‘nbjitte pe ‘sti cazze de tricche-tracche!! = Madonna! Mi hai fatto saltare il cuore dal petto con questi accidenti di petardi!

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Copra-mesèrje

Copra-mesèrje s.m. = Soprabito

Significato letterale: copri-miseria.

Così spiritosamente, compatibilmente con le condizioni di indigenza in cui realmente si viveva, era chiamato un qualsiasi soprabito o cappotto o pastrano che si indossava d’inverno.

Il vestito di sotto spesso era lacero o rattoppato, perché le condizioni di miseria purtroppo non consentivano l’acquisto di altri capi d’abbigliamento.

Il lodato copra-mesèrje nascondeva pietosamente tutto e con quello si poteva ostentare una certa dignità nella povertà, almeno all’apparenza..

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Conza-piatte 

Conza-piatte s.m. = Conciapiatti

Persona che per mestiere riparava non solo i piatti, come si evince dal termine, ma ombrelli e altri piccoli oggetti.

Deriva da cunzé = conciare, aggiustare e piatte, di chiaro etimo.

E’ diventato soprannome da mestiere.

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Còmete 

Còmete = Recipiente

Contenitore per raccogliere generalmente i liquidi da trasportare.

Si tratta di un sinonimo di mercjöne.

Esempio: Ha purtéte ‘u còmete? E mo’ add’jì ca t’agghja mette ‘u làtte? = Hai portato il recipiente? E adesso dove ti debbo versare il latte?

Deriva da comodo?

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Cogna-lapps

temperamatite-metallo-1fCogna-lapps s.m. = Tempera-matite.

Un oggettino utile. In loro assenza si faceva ricorso al temperino (‘u curtellózze) e adesso al taglierino.

Non mancava mai dall’astuccio di legno con il coperchio a slitta, dove riponevamo la penna, la matita, la gomma e il temperalapis.

Il termine deriva da cugné, rendere appuntito come un cuneo, e da lapps = lapis, matita.

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Cjirre

Cjirre s.m. = Tentacolo, cerro

1) cjirre = tentacolo .Con questo termine, al plurale (‘i cjirre), si indicano i tentacoli del polpo, del moscardino, dei calamari, dei totani e delle seppie, rigorosamente in numero di otto per ogni mollusco (octopus = otto piedi?).

Per estensione indicano, al singolare (‘u cjirre) anche un ciuffo di capelli piuttosto corto oppure non pettinato.

Se questo ciuffo è ribelle al pettine si definisce cjirre-matte forse perché i capelli già dalla radice si dipartono in direzioni diverse e non in un solo verso. Anche con il cranio rapato si riconosce questo cjirre-matte perche i pori piliferi sono spesso disposti a spirale.

Credo che derivi da cirro per la forma allungata di un tipo di nuvola: in meteorologia indica una nube che si presenta sotto forma di lunghi filamenti bianchi.

2) cjirre = cerro. Il Cerro (Quercus cerris) è un albero della famiglia delle Fagacee. È una specie di quercia dal legno duro, apprezzato dai costruttori di imbarcazioni.

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Cìtte-e-cìtte

Cìtte-e-cìtte s.m. = Cipria per belletto.

Per ravvivare le gote, le nostre nonne usavano una cipria colorata di varie sfumature di rosa.

Bisognava usarne pochissima se no sembravano maschere di carnevale!

Allora due colpetti col batuffolo, uno di qua e uno di là: citte-e-cìtte.
Il trucco doveva essere discreto, infatti alla lettera il sostantivo significa: zitta-e-zitta, lo sappiamo solo io… e me stessa.

Moh, mìttete ‘nu pöche di cìtte-e-cìtte! = Dài, mettiti un po’ di cipria (sulle guance)!

Stranamente ha un’assonanza con il celebre motivo americano cantato in duettobda Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald: “Cheek-to-cheek” [pronuncia cikttucik] = guancia a guancia.

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Ciuccètte

Ciuccètte s.m. = Succhiotto

Tettarella di gomma. Se bucata viene data, attaccata alla bottiglietta del latte detta biberon, da succhiare ai poppanti. In italiano dicesi ciuccio

Se invece non è bucata, si mette in bocca ai bambini (spec. ai lattanti) per calmarli o per farli addormentare. In italiano dicesi succhiotto.

Quando qlcu ragazzo adduce la tenera età per esimersi da un’azione rischiosa, si dice: mo’ l’hamm’e dé ‘u ciuccètte = Ora dobbiamo dargli il succhiotto!

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