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Cèmece vèrde

Cèmece vèrde s.m. = Cimice verde

Le cimici  verdi (Palomena Prasina) fanno parte di una famiglia di insetti eterotteri che utilizza l’olfatto come meccanismo di difesa, proprio come le puzzole.

Attaccano le piante e addirittura gli alberi, causando danni molto rilevanti.

Esiste anche la “Cimice marrone” (Eurydema ventralis) che attacca prevalentemente le piante orticole.

Quando minacciate o schiacciate, queste  cimici emettono da una ghiandola nell’addome una sostanza fortemente puzzolente.

A volte si trovano queste cimici, con disappunto e disgusto della massaia, attaccate alla biancheria del bucato messo ad asciugare all’esterno. Bisogna scuotere i panni per allontanarle in modo che non lascino la loro puzzolentissima e persistente traccia “odorosa” sulla nostra roba.

Contrariamente alla cimice dei letti (Cimex lectularius), chiamata anche con voce arcaica pèmece, plurale pìmece, questa non attacca l’uomo.

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Sparröne

Sparröne s.m. = Sparo, Sparaglione, Sarago-Sparaglione.

  • Al singolare è ‘u sparröne; al plurale è  i sparrüne.
    Genere di pesci Attinottèrigi (latino Sparus, greco Sparòs – fam. degli Spàridi).

Linneo, il noto naturalista del 1700 gli diede il nome scientifico di Diplodus annularis. Un sinonimo scientificamente accettato è Sparus annularis.

È facilmente riconoscibile per la livrea grigio-argentea con sfumature giallastre e per le pinne ventrali gialle. La macchia nera presente sul peduncolo caudale si estende sul bordo inferiore (Wikipedia).

Da noi è molto apprezzato in cucina. So che in altre regioni d’Italia è considerato un pesce “povero” e di scarso pregio (ma che volete farci? Poveretti! Sono terricoli e non vogliono pesci spinosi!).

Si può preparare arrostito sulla brace, fritto, a ciambotta, al pomodoro, in cartoccio, in bianco, ecc. È sempre buonissimo! 
Il profumo degli sparroni arrostiti  è uno degli odori caratteristici della nostra città.

Arrostire (e mangiare) sparroni non rappresenta solo un rito di alta gastronomia, ma anche la divulgazione di un’autentica attività culturale!

Nomi dialettali:

ANCONA – Sparo, Sbaro, Carlino
BARI – Sparinole, Sarjce
CAGLIARI – Sparlotte e Isparedda
CATANIA – Spareddu
CIVITAVECCHIA – Sparajone
CROTONE – Saracu, Sparamazzu
GAETA – Sparaglione, Sparitiello
GALLIPOLI – Spariolu
IMPERIA – Saragu
LA SPEZIA – Saagu
LIVORNO – Sparlotto
MANFREDONIA – Sbarroni
MESSINA – Sparagghiuni
MOLFETTA – Sparraune
NAPOLI – Sparaglione
PESCARA – Carlini, Sbarre
REGGIO CALABRIA – Sargu, Pupazzu, Sparagghiuni
ROMA – Saraghetto
SAVONA, GENOVA – Sparlo
SIRACUSA – Aspareddu
TARANTO – Sparagghiuni, Spari
VENEZIA, TRIESTE – Sparo


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Manacöne

Manacöne s.m. = Manica larga

Va bene anche la pronuncia manecöne.
Alla lettera significa “manicone”, larga manica. Sono tipiche dei sai francescani, spesso usate dai frati per celarvi le mani in inverno, al riparo dal freddo, o per nascondervi il fazzoletto.

Figuratamente mettìrle ‘nd’u manacöne significa togliere qualcosa dalla vista, dimenticare, e quindi non pensarci più.
È il caso, ad esempio, di un credito diventato inesigibile, o di un sopruso ricevuto, al quale non si vuole controbattere.

Indica anche l’atto di trarre vantaggio da una qualsiasi transazione.
Fare la cresta, serbare illecitamente per sé un vantaggio economico, fare peculato.

Con l’identico preciso significato l’ho sentita pronunciare da un amico originario della Campania (“mette rint’o manacone” ), mentre con una mano faceva l’atto di allargare una immaginaria giacca e con l’altra mimava di infilare qualcosa nella tasca interna, al posto del portafogli. Questo per fugare qualsiasi dubbio interpretativo!

Ringrazio il lettore Michele Castriotta per il suo prezioso suggerimento.

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Söle-ljöne

Söle-ljöne s.m. = Solleone

Va bene anche scritto sölljöne o sölliöne.
Periodo estivo, generalmente da metà luglio a metà agosto, caratterizzato da gran caldo, specie nelle ore del meriggio.

Il termine è composto da söle, sole e ljöne (segno dello Zodiaco) perché in quel periodo il sole si trova in tale segno.

‘Stu söle-ljöne fé škatté ‘u cüle ai magiulücchje! = Questo solleone è insopportabilmente caldo!

È tipico di Manfredonia il detto riferito alle lucertole.
Cliccate qui —> magiulècchje!

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Acciüdamosche

Acciüdamosche s.m. = Paletta schiacciamosche

Va bene anche scritto e pronunciato elidendo la “a” iniziale : l’acciüdamosche oppure ‘u ‘cciüdamosche = (l’arma, l’oggetto che) uccide le mosche. Il nome alternativo pecchjètte è recente, e secondo me, rappresenta una vera e propria una appropriazione indebita di un termine italiano di ben altro significato. Infatti il picchietto è quel martelletto appuntito usato nei cantieri navali per scrostare manualmente la carena delle imbarcazioni infestata da concrezioni calcaree.

Utile oggetto di un metodo antichissimo usato per eliminare i fastidiosi insetti volanti. Consiste in un rettangolino di materiale vario, leggero, fissato ad una lunga impugnatura ad asta.

I nostri nonni contro le mosche si impegnavano in lunghe battaglie che duravano l’intera mattinata.

Il metodo era assolutamente ecologico, Non c’era bisogno di insetticidi o pesticidi, Era una guerra accanita one-to-one = uno-contro-uno.

Ricordo di aver visto a casa di un anziano vicino di casa un picchietto di fattura domestica, la cui paletta era costituita da un pezzo di reticella metallica, di quelle usate come zanzariera, con i bordi protetti da un sottile orlo a cordoncino, e fissata ad un lunga asticella di legno. Funzionava alla stessa maniera di quelli posti in vendita negli empori, fatti di plastica e fil di ferro, o tutti di plastica come nell’immagine in alto.

Mi viene a mente “Il prode piccolo sarto” dei Fratelli Grimm, che ne uccise sette in un colpo usando un pezzo di stoffa come ‘cciudamosche.

E per finire, una divertente definizione tratta da “Nonciclopedia”:
«SCHIACCIAMOSCHE:
Bacchetta terminante con un allargamento della stessa, almeno di un rapporto di larghezza di venti a uno, di forma vagamente poligonale, ma presentante angoli smussati, per non incorrere in ferimento dell’usufruttuario, che, in prima persona, maneggia l’oggetto, dotato in taluni casi di gruccia per poter essere appeso ad un qualche spunzone, come chiodi di svariate fogge e di ogni sorta, la cui utilità è di debellare il fastidio che dei piccoli organismi, appartenenti all’ordine dei Ditteri, e alla classe dei Muscidi, portano con il ronzio causato dallo sfregamento delle loro ali e l’attrito con l’aria delle medesime.»

Il Dipartimento della Salute dello Stato Pennsylvania nel 1900 invitava le famiglie ad usare lo schiacciamosche (swat the fly =schiaccia le mosche)

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Canze

Canze s.m. = Pausa, tregua

È un termine di origine marinaresca e contadina ormai in via di estinzione, perché viene ancora usato, nella forma negativa, solo dalle persone anziane nella locuzione nen dé canze per significare non dar tregua, non concedere una interruzione, non dare respiro.
Per estensione, senza dé canze, vale come: sfiancarsi, agire senza porre tempo in mezzo, operare incessantemente, ecc.

Succede che mentre si sta portando a termine un lavoro, arriva un secondo impegno cui bisogna applicarsi, senza soluzione di continuità.

Fé la spöse, cucené, lavé, stènne, assuché, steré i panne.. jògge ‘a jurnéte nen me dé canze! = Far la spesa, cucinare, lavare, stendere, asciugare, stirare… oggi la giornata non mi dà tregua.

Vuoi vedere che canze derivi da vacànze? No, è troppo ardita questa ipotesi… Più probabile che sia una forma alterata dello spagnolo descanso = riposo, requie. Quindi descanso = dé canze = dar riposo.
Ricordo che cansado in spagnolo vuol dire stanco.

Ringrazio vivamente il lettore Michele Castriotta per la sua graziosa imbeccata, che mi ha consentito la stesura di questo articolo.

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Nennìlle

Nennìlle s.m. = bambino, adolescente

Una volta era usato ´u nennìlle, per indicare fino il figlioletto viziato e coccolato di persone altolocate, dalla nascita al raggiungimento dell´adolescenza.
Il pupo, crescendo sarebbe diventato ´u segnurüne = il signorino, e poi, per ragioni anagrafiche, il “signore”, cui si addiceva l´ossequioso “don”, che non spettava solo ai preti.

Al femminile fa nennèlle.

Nel napoletano si usa tuttora, oltre ai vezzeggiativi nennillo e nennella, anche ninno e nenna nella forma primitiva, per indicare i ragazzi e le ragazze.
Ricordate la celebre canzone napoletana “Luna caprese”?:
“... adduorme a nenna mia, ca sta scetata,
e falla ´nnammurà cu ´na buscia…
= Addermenta la mia ragazza che sta sveglia, e falla innamorare con una bugia…

Da noi nennìlle viene usato per scherno, quando qualche persona adulta fa delle richieste, delle azioni o esprime dei giudizi da finto ingenuo o da adolescente sprovveduto.

Uh, uì, ‘u nennìlle peccenìnne! Teh, mùzzeche ‘stu ditjille = Uh, eccolo, il bambino piccolino. Toh, mordi questo mignolo (così verifico se ti sono spuntati i primi dentini davanti)!

La frase veniva accompagnata dal gesto di avvicinare il mignolo disteso verso la bocca. del nennìlle .
Non sempre la cosa terminava in maniera liscia: c´era sempre aria di zuffa a fronte di questo gesto!

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Zingramjinte

Zingramjinte s.m. = intrigo, garbuglio, macchinazione

Opera di alcune persone malpensanti che si inventano maldicenze e altre nefandezze indirizzate specificamente a danno di una o più persone.

Diciamo che sono azioni più gravi di un semplice pettegolezzo, o come dicono quelli che hanno letto molti rotocalchi, di gossip. Questo è dettato da curiosità, mentre ‘u zingramjinte è imposto da cattiveria.malvagità.

Perché lo fanno?

Purtroppo alcuni individui inetti, di scarsa rilevanza morale, culturale o professionale, tendono a infangare gli altri, così si illudono di dare risalto alla propria immagine insignificante, di cui sono perfettamente consapevoli.

In parole povere: affosso te per elevare me.

Attenzione a non confondere pandémüje con pandummüne (sinonimo di paljatöne…)

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Sdrumatöre

Sdrumatöre s.m. = battitore (mar.)

Lo sdrumatöre (al plurale fa sdrumatüre). era un arnese da lavoro usato in passato per praticare uno specifico tipo di pesca, detto ´u sdröme, da noi pressocché scomparso, come ´a sciabbeche.

L´attrezzo era costituito da un´asta di legno di varia lunghezza (max 2 metri, ossia a seconda dell´altezza della murata dell´imbarcazione).
Ad una delle estremità della pertica veniva fissato un largo disco,  anche esso di legno.  L´altra estremità fungeva praticamente da manico.

L´attrezzo, impugnato dal marinaio, veniva manovrato dalla barca battendo il disco sul pelo dell´acqua. In aggiunta talvolta si batteva il mare anche con la pala dei remi.

Riporto la descrizione che, assieme alla foto, mi è stata fornita da Bruno Mondelli, cui va il mio sentito ringraziamento.

«Il rumore spaventava i pesci che, presi dal panico, fuggivano incuranti delle reti che erano state posizionate in precedenza attorno a loro, finendo inesorabilmente intrappolati dalle sottili maglie.»

Quello di far rumore per spaventare gli animali sulla terra ferma era usato in Africa nelle battute di caccia grossa. Per stanare e indirizzare le bestie  selvatiche (tigri, zebre, ecc.) verso il luogo di appostamento dei tiratori, si impiegavano decine di indigeni che avanzavano affiancati,  urlando e percuotendo tamburi o altro materiale sonoro.
Tuttora in uso in Sardegna per la caccia al cinghiale.

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Fröca-pezzènte

Fröca-pezzènte s.m. = Vento gelido di tramontana.

È un modo semiserio di indicare il vento gelido di tramontana.

Alla lettera significa che è micidiale per i poveri mendicanti (i pezzenti, appunto, clicca qui) che, non avendo panni per coprirsi, sono esposti alle conseguenze nefasti della tramontana.

Scherzosamente è detto anche feleppüne.

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