Tag: sostantivo maschile

Šcaùtte

Šcaùtte (o Šcavùtte o Šcavùrte) s.m., agg. = Tozzo, tarchiato

È un termine ormai desueto. Designava una persona bassa, tarchiata, forzuta, come i cavalli “schiavi”, ossia provenienti dall’antica Slavonia o Schiavonia.
Così era intesa una Regione geografica e storica della Croazia orientale, che aveva stretti rapporti commerciali con la Repubblica di Venezia.
Per estensione erano detti “Schiavoni” o “Schiavi” anche gli abitanti slavi (non latini) provenienti dalla Dalmazia, sotto il dominio della Serenissima, considerati ottimi soldati, chiamati “i fedelissimi di San Marco”.
Ricordo che a Venezia esiste tuttora la “Riva degli Schiavoni”, adiacente Piazza San Marco, così chiamata perché vi approdavano per i loro commerci le navi mercantili slave, ed erigevano le bancarelle per la vendita dei loro prodotti.

Dei “cavalli schiavi”, muscolosi e pieni di forza parlano diversi documenti storici che provengono da Dubrovnich (la bellissima città adriatica detta “Ragusa di Dalmazia” dai tempi della Serenissima).

Sappiamo che quando spira il vento freddo dai Balcani le nevicate arrivano fin sulla costa adriatica.
Anche quel vento dagli antichi abitatori di Puglia e Basilicata era chiamato Šcavenidde”, ossia proveniente dalla Schiavonia.

Ringrazio di cuore il dott.Matteo Rinaldi per avermi fornito tutti i dati utili alla compilazione di questo articolo.
Mi ha fatto venire in mente un compagno di giochi, dalle parti di della Chiesa di S. Francesco, che era detto proprio Šcavùtte (anche Šcavùrte assonante con urte = orto). Ora collego il perché: era nostro coetaneo, ma a differenza di noi mingherlini, costui era grosso, forte e ben piantato!

Nota linguistica.
Vi ricordo che la consonante “s” accentata con il segno diacritico della “pipetta” (tecnicamente detta hacek), usata in alcune lingue straniere slave o nordiche, ossia la “š” si deve leggere come il francese ch o l’inglese sh, o l’italiano “sce” o “sci” (scena, scemo, sciarpa, sciroppo, ecc.).

Un esempio conosciuto anche da noi è il famoso marchio «Škoda» (auto, camion e motori marini).

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Santìlle

Santìlle s.m. = Santino

Riporto testualmente la definizione essenziale della Treccani:
«Piccolo cartoncino rettangolare stampato, che su un lato riproduce la figura di un santo o altro soggetto sacro, e sull’altro reca una preghiera o formula di invocazione»

La foto riproduce una immagine a noi molto cara.

In lingua italiana è passata la voce “santino” anche per designare l’immagine che i candidati politici-amministrativi producono di sé per la campagna elettorale.

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Suma’

Suma’ s.m. = Maestro, Mastro

L’appellativo suma’ era usato dagli allievi di bottega quando si rivolgevano al loro Maestro artigiano (sarto, fabbro, falegname, sellaio, muratore, lattoniere, fornaio, ecc.). Spesso costui era anche maestro di vita: con il suo esempio insegnava rispetto, onestà, correttezza. Un educatore rispettato anche quando gli allievi aprivano una loro autonoma attività.

Secondo la mia opinabile opinione è la forma contratta di “u màstre“. 

Il lettore Matteo Borgia – che ringrazio di cuore – ha formulato questa ipotesi sull’origine di suma’:
«L’attributo sua o suo è una forma di rispetto (sua signoria, sua maestà, sua santità, sua eccellenza, ecc. ecc.).
Perciò suma’ è la forma contratta di “sua maestria».

Allo stesso modo contratto, aggiungo io, si è formato surüje [contrazione di (clicca→) segnerüje] e, in siciliano, il vocativo vossia, e voscenza (vostra signoria, vostra eccellenza)

Parlandone a terzi gli allievi indicano il proprio maestro/a con: ‘u mastre müje, o ‘a mastra möje = il mio maestro, la mia maestra.

In termini generici basta ‘u mastre o ‘a mastre

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Cascatüre

Cascatüre s.m. = Setaccio, vaglio

U cascatüre è un setaccio usato in edilizia per separare in via umida la malta(*) dagli inerti la cui granulometria non è adatta all’uso cui sarà destinata, ossia per il sottofondo di pavimentazione, il rinzaffo, o per il fino.
Per questo, in base alla larghezza delle maglie viene chiamato rispettivamente “cascatüre grusse”, “cascatüre p’u rìcce” e “cascatüre suttüle”.

Ricordo la sua forma quadrata a bordi alti sostenuta da 4 stanghette. Una volta riempito il “cascatore” due operai afferravano le 4 stanghette e scuotevano il setaccio con movimento sussultorio. La malta passava “filtrata” nel contenitore sottostante (una carriola o una caldarella) e il pietrisco della misura non desiderata che rimaneva nel setaccio veniva ribaltato di lato.
L’immagine riproduce un bel disegno di S. De Biase. Ci sono i vari tipi di vagli. Quello verticale (17) era chiamato cernetüre a rèzze, quello rotondo (18) farnarille (entrami usati a secco) e quello con le stanghe (19) il nostro cascatüre.
Ora abbiamo la nomenclatura completa.

(*) La malta tradizionale (‘a càvece) viene detta tecnicamente “malta bastarda” ed era composta da tufina grossolana e/o sabbia di cava, calce idrata in grassello o in polvere, cemento e impastata con acqua fino alla consistenza voluta.

Ora si vendono miscele a secco di malta preconfezionata, cui basta aggiungere solo l’acqua per ottenere l’impasto della finezza voluta.

Foto e notizie tratte dal volume “ARTE E MESTIERI A MANFREDONIA” del compianto Giuseppe Antonio Gentile. Ediz. Centro di documentazione storica-Manfredonia. Tip. Cappetta 1987.Foggia

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Fìšque

Fìšque (taluni pronunciano fìšcule o fìškle o  fìšche) s.m. = Fiscolo

Il fiscolo (del lat. fiscusfiscina «borsa, cesto») è un recipiente filtrante in cui vengono poste le olive macinate per sottoporle alla torchiatura.

I fiscoli sono generalmente composti di fibre assemblate in cordoncini che poi sono intrecciati in maniera da formare dischi del diametro di circa 60 cm. Ogni fiscolo si presenta come un doppio disco filtrante sigillato ai margini e forato al centro.

 

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Jastematöre

Jastematöre s.m. = Bestemmiatore

Persona che usa sovente bestemmiare senza ragione i Santi, Dio e le cose sacre (clicca->) jastöme, anche come irritante intercalare.

Per estensione si intende con jastematöre anche persona con il vizio del (meno grave) turpiloquio, ossia che usa spesso e volentieri parole oscene, le cosiddette parolacce.
Faccio un solo esempio (di cui mi scuso in anticipo) che riporta una telefonata di rimprovero. La traduzione non è proprio alla lettera:

«Mattö’, strunzelöne, c’jì fatte l’une e mèzze, cazze! Quanne cazze t’arretüre? Sté ‘u piatte alla tàvele ca ce arrefrèdde, e che cazze!» = Matteo, accidenti, siamo arrivati all’una e mezza! Ma tu quando decidi di rincasare per il pranzo?

Mammamöje, Giuànne jì ‘nu jastematöre ca te fé škande! = Mamma mia! Giovanni è un bestemmiatore da far paura.

Al femminile è invariabile, non esiste un termine per bestemmiatrice.
In italiano esiste anche il termine biastematore, sicuramente di origine toscana, molto simile al nostro.

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Mugnéle

Mugnéle s.m. = “Mignale” o Mignano

Si tratta di una scalinata ad una sola rampa, costruita esternamente all’edificio per accedere al piano superiore.

Grazie all’impagabile “Vocabolario” di Caratù-Rinaldi ho appreso che esiste in italiano il termine mignano  (o meniano) derivato dal latino maenianum, con cui nella Roma antica si indicavano i balconi o i ballatoi aggettanti (sporgenti) esterni delle case.

La foto mostra il mignale di Via S.Chiara.

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Cavalle

Cavalle s.m. = Cavallo


1 Cavalle (anticamente cavadde) = Cavallo. Equino di grossa taglia (Equus ferus caballus) che conta innumerevoli specie, per forma e dimensione, Addomesticato da millenni, viene adattato ai vari usi (traino, sella, corsa).
Al femminile fa jummènde = giumenta. Il puledro è detto vannüne o vannenjille.

2 Cavalle = Lanzardo o Sgombro cavallo. Pesce marino della famiglia degli sgombri (Scomber Japonicus Colias). Diffuso nei nostri mari.
Differisce dagli sgombri comuni (Scomber scombrus) per il disegno della livrea che, invece della tigratura sfumata dal dorso verso la zona ventrale, presenta macchie grigiastre sul ventre che spesso di uniscono a formare delle vermicolature.

(Termini tecnici e foto reperiti in Wikipedia)



 
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Péne

Péne s.m. = Pane

L’indispensabile alimento di ogni giorno a base di farina, acqua, sale e lievito.

La pronuncia nostrana deriva da quella francese di pain.

In tutto il mondo esistono infinite forme di pane, ma uno solo è il modo di prepararlo, che si svolge in tre fasi: impastare acqua e farina, lasciar lievitare, passare in forno.

Noi Pugliesi siamo probabilmente i più abili forse perché disponiamo di materia prima eccellente.

La foto (tratta dal web) mostra il pane di Monte S.Angelo in forme da 3 e 4 kg.  Le nostre mamme lo facevano in casa, col lievito madre (‘u crescènte) ed una pagnotta durava un’intera settimana.  Col passare dei giorni  si induriva sempre di più, e veniva usato abbrustolito, bagnato e condito, e infine a pancotto.

Anticamente in alcune famiglie il pane fresco veniva chiuso a chiave nello “stipone” per evitare che finisse prima, perché più appetitoso.
In sostanza colà si mangiava solo pane raffermo, ugualmente buono, ma decisamente meno invitante di quello fragrante di forno.
Non era questione di dieta ma di tasca, per farlo durare più a lungo.

Vi rimando ad un Detto scherzoso.  Cliccate qui.

Ricordo che quando mi cadeva sul pavimento un pezzo di pane, mia madre mi obbligava a raccoglierlo, baciarlo (sì, baciarlo, perché sacro!) e poi a mangiarlo ugualmente.
Credo che anche in altre famiglie vigeva questa procedura. Per questo siamo cresciuti pieni di anticorpi. E chi ci ammazza, a noi?

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Cutelìzze

Cutelìzze s.m. = piccolo movimento, oscillazione.

Deriva dal verbo cutelé a sua volta proveniente dal latino cutere e cutulare col significato di muovere, scuotere, dondolare.

Vatte cùlche e nen te cutelanne = Vai a coricarti e non ti muovere!

Nel nostro cutelìzze si individua specificamente una lieve scossa tellurica.

Assemègghje ca ho fatto ‘nu cutelìzze! = Sembra che abbia fatto una lieve scossa di terremoto!

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