Tag: Locuzione idiomatica

Teràrece ‘a cavezètte

Teràrece ‘a cavezètte loc.id. = Sopravvalutarsi, inorgoglirsi

Alla lettera significa: farsi tirare la calza. Come dire farsi servire.

Il significato del modo di dire è:  darsi importanza, farsi desiderare, non concedersi facilmente alle confidenze, mostrare disprezzo verso coloro che gli si rivolgono per un favore o un servizio.
Assumere un contegno grave e sostenuto improntato ad altezzosità. Agire con sussiego (Madò che paröla deffìcele)

Insomma costui è un antipatico che vuole farsi pregare, magari anche per compiere un atto semplicemente dovuto. Fa sembrare una concessione anche quello che deve fare per dovere.

Simile all’altra espressione Fàrece chére a mandenì = sopravvalutarsi. È molto caro ottenere i suoi favori.

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Tenì i delüre ‘ngùrpe

Tenì i delüre ‘ngùrpe loc.id.

Alla lettera significa avere dolori in corpo. Nulla a che vedere con il  mal di pancia..

I “dolori” sono metaforici per dire che si hanno aspirazioni segrete (a detrimento degli altri).

Un po’ come dire tenì i cendrüne a travèrse o tenì l’ogna spacchéte.
Nen tenènne fedócje de Mattöje, ca códde töne i delüre ‘ngùrpe! = Non aver fiducia di Matteo perché costui ha altre mire.
Giuànne nen me péje l’affìtte da düje müse. Coddu desgrazzjéte töne i delüre ‘ngùrpe! = Giovanni non mi paga la pigione da due mesi. Quel mascalzone ha altri interessi e trascura i creditori.
Può significare anche che il soggetto conosce dei segreti e ovviamente non intende rivelarli.
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Tenì facce

Tenì fàcce loc.id. = Essere sfacciato, sfrontato.

È ammessa anche la forma tenì ‘a fàcce.

Il suo contrario ovviamente è nen tenì facce = Essere timido, discreto, imbarazzato.

E tó tjine facce d’appresendàrete döpe quelle ch’ cumbenéte? = E tu hai la sfrontatezza di presentarti (al mio cospetto) dopo quello che hai combinato?

Jü’ nen tènghe fàcce d’appresendàrme nzìcchete-nzìcchète.= Mi imbarazza di presentarmi improvvisamente, a sorpresa, magari sarò inopportuno e intruso.

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Tenì a…

Tenì ‘a … v.i. = Sentire, avvertire

Sentire non nel senso di ‘udire’ suoni o parole, ma nel senso di avvertire stimoli di fame, sete, sonno, soddisfare i propri bisogni corporali.

Si dice tuttora: me töne ‘a féme, me töne ‘a sùnne, me töne ‘a söte, me töne a pescé, me töne a caché (scusate questi ultimi due esempi…corporali).

Quando si sente freddo, o caldo si dice: me fé fredde; me fé càvete.

Le generazioni attuali dicono “sende frìdde, sènde càlde” ma è un dialetto un po’ snaturato.

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Tenì ‘u tricche-tracche appezzechéte ‘ngüle

Tenì ‘u tricche-tracche appezzechéte ‘ngüle loc.id. = Essere impaziente, frettoloso

Figuratamente “avere un trìcche-tracche attaccato sulle terga” significa aver premura, fretta, impazienza, forse per paura che il petardo possa detonare con grande rapidità.

Se capita qlcu nel gruppo di amici e/o intende lasciarlo alla svelta, si sente dire: E chè, tjine ‘u tricche-tracche appezzechéte ‘ngüle? Stàtte ‘nu pöche quà!= E che (succede), hai un petardo appiccicato alle terga? Resta un po’ quì!

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Tenì ‘nu pónde ‘mmocche e ‘n’ate ‘ngüle

Questa pittoresca locuzione vuol indicare la situazione di disagio provata da qlcn costretto a sopportare e tacere anche un’evidente sopruso o ingiustizia, per evitare futuri risvolti spiacevoli.

Intendiamo parlare di “punti” dati con ago e filo e non di quelli che si segnano, giocando a bigliardo o a canasta, e che costituiscono il punteggio, appunto parlando di punti. Scusate il bisticcio (un po’ involontario, un po’ sì ? …).

Insomma il metaforico “punto in bocca” è chiaramente simile al detto figurato italiano “bocca cucita” per indicare il silenzio che si autoimpone il soggetto omertoso.

L’altro punto è dato, sempre figuratamente, per maggiore sicurezza, in modo che il misfatto non corra il rischio di fuoruscire in qualche maniera per altra via…

Attenti alla pronuncia!
Pónde (con la ó stretta, quasi u) significa punto:
Pònde (con la ò larga) significa ponte.

Oggi stesso ho ricevuto dalla lettrice Pasquina Vairo una divertente possibile origine della locuzione.
La ringrazio pubblicamente e invito i lettori a contattarmi per suggerimenti, correzioni, inserimenti, ecc. Ricordatevi che io non sono uno studioso ma un semplice appassionato dilettante, e quindi non sono io il depositario del dialetto.

Ecco il testo di Pasquina:

Mio padre mi raccontava che una volta, a Manfredonia ci fu un comizio fascista. Mentre l’oratore parlava c’era un silenzio totale. Ad un certo punto qualcuno scorreggiò rumorosamente e l’oratore, adirato, esclamò:
-“Chi è stato?”.
Uno dei presenti gridò:
– “Cum’jì, c’iavüte misse ‘nu pónde ‘mmòcche e mò ce vulüte mètte n’ate ‘ngüle?

Aggiunge Pasquina: “Non so se questo episodio sia vero ma è carina come spiegazione”…

Esilarante!

 

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Tenì ‘nu ghjòmmere ammjizze ‘u stòmeche

Tenì ‘nu ghjòmmere ammjizze ‘u stòmeche loc.id.= Avere un gomitolo in mezzo stomaco.

È una locuzione idiomatica locale, che non indica una difficoltà di digestione, o una pesantezza derivata dall’ernia iatale.

Il italiano la locuzione simile “avere un peso sullo stomaco” indica un rimorso di coscienza.

Invece in dialetto significa: essere obbligati a sopportare malefatte altrui; non poter dire apertamente quello che si pensa; fare buon viso a cattivo gioco; sopportare malvolentieri anche quello che non è sopportabile.

Ma prima o poi si sbotta, e ci si libera dal peso.

Quando cadde il Fascismo, una persona disse a mio padre: döpe vìnd’anne m’àgghje luéte ‘nu ghjòmmere da ‘stu stòmeche = Finalmente, dopo vent’anni, mi sono levato questo peso dal mio stomaco.

Se qlcu ha pensato a qls uomo politico attuale, paragonandolo a un gomitolo nello stomaco – solo per fare un esempio letterario, per carità – ci ha azzeccato!

Per la cronaca mio padre a quel tale rispose, lapidario: arrecrìjete!(*) = Gioisci! Che sia stato schietto, o sarcastico, o profetico non so dirlo.

(*)Sillabate per non sbagliare la pronuncia: ar-re-crì-je-te

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Tenì ‘i möde

Tenì ‘i möde loc.id. = Avere tatto, essere avveduto.

La traduzione letterale “avere i modi” è troppo riduttivo, limitando tutto all’esteriorità dell’atto.

Il significato vero è quello di possedere senso dell’opportunità, accortezza nel parlare o nel modo di comportarsi, avere gentilezza, tatto, prudenza, modertatezza, ecc.

Al primo posto metterei, se siete d’accordo, la dote dell’educazione.

Insomma un soggetto amabile sotto ogni punto di vista.

Giuànne me piéce! Códde töne ‘i möde! = Giovanni mi attizza! (suscita in me una grande passione per il suo aspetto e per i suoi modi accorti e premurosi)

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Tenì ‘i cendrüne a travèrse

Tenì ‘i cendrüne a travèrse  loc.id. = Macchinare, tramare, essere malintenzionato

Va bene anche tenì i cendrüne de travèrse.

Una volta chiarito cos’è questo cendröne, cerchiamo di capire perché questi chiodi stanno di traverso…

La locuzione vuol dire che qualcuno sta macchinando qualche azione a danno di altri. Insomma costui ha pensieri bellicosi, o intenzioni fraudolenti.

Quindi – per il parlare figurato – significa che non va tutto liscio. Ossia metaforicamente, nell’asse di legno spunta la testa di qualche chiodo perché non era stato conficcato bene. Il chiodo non è sceso dritto ma è andato di traverso. Se l’azione malvagia è grossa, il chiodo diventa in proporzione un cendröne.

Invito i lettori a dare una spiegazione, o a scrivere una replica se conoscono l’origine, di questa locuzione che sia più plausibile o più calzante. Grazie!!!

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Tenì ‘a morte addröte ‘u cuzzètte

Tenì ‘a morte addröte ‘u cuzzètte loc.id. = Trovarsi in imminente pericolo di morte.

Alla lettera significa avere la morte dietro il collo, pronta a ghermire la povera vittima.

Cuzzette è l’occipite, proprio la parte posteriore del collo.

In italiano si dice “sentire il fiato dietro al collo”, ossia avere sentore di un avversario o di un pericolo che ci insegue e sta per agguantarci.

Nel dialetto si parla proprio di morte, che è vicinissima sia per la salute cagionevole, sia per l’età avanzatissima, sia per un’impresa rischiosa, che mettono tutte a repentaglio la vita di qlcn.

Qualche esempio? Un malato terminale, un ultranovantenne, un artificiere, un soldato combattente, ecc…

Ecco, costoro tènene sèmbe ‘a morte addröte ‘u cuzzètte. = sono sempre vicinissimi alla morte.

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