Tag: Locuzione idiomatica

Nen tenì manghe ‘na magghje

Nen tenì manghe ‘na magghje loc.id. = Essere in bolletta

Alla lettera questa locuzione si traduce in: “non avere nemmeno una maglia”.  Ma non parliamo della maglia della biancheria intima, né di maglie di rete, né di anelli di catenine….
Parliamo di una moneta antica di infimo valore.

Fino a pochi anni fa, prima dell’avvento dell’Euro, si diceva : Nen tènghe manghe ‘na Lïre = Non ho nemmeno una lira.

ll dott. Sandro Mondelli (che qui ringrazio pubblicamente), dandomi lo spunto per questo articolo, ha detto testualmente: «Significa essere in bolletta. La “maille“, parola franco-provenzale, era la più piccola moneta angioina, di valore bassissimo.»

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Cazze-cazze

Cazze-cazze sopr., loc.id.

Il curioso soprannome fu affibbiato ad una certa Angela-Maria, quindi passata nella memoria collettiva come ‘Ngiamarüje cazze-cazze, la quale usava questo simpatico intercalare, qualsiasi frase uscisse dalla sua bocca.

Rivolgendosi ad un’amica, si lamentava che  – era quasi l’ora di pranzo – e suo marito Calogero non tornava a casa. Venne fuori un memorabile florilegio:

«Jogge Calògge, (cazze), c’jì fatte mezzjurne,(cazze) e códde (cazze), angöre nen ci’arretüre, (cazze!)» = Oggi Calogero ***, si è fatto mezzogiorno ***e costui *** non è ancora rincasato***

Una volta il Vescovo andò una Parrocchia in visita pastorale. Il Parroco, conoscendo il suo intercalare, le raccomandò di non avvicinarsi troppo al Presule. Ovviamente il Monsignore a chi si rivolse quando fu attorniato dai fedeli?  Alla nostra ‘Ngiamarüje!  Non credo che costei si sia fatto scrupolo di mitragliare il Pastore di cazze cazze!

Un altro uso di cazze-cazze  si ha quando si vuol dare un po’ di “colore” all’equivalente e più castigata locuzione (clicca qui→)  rè-rè, nel senso di mettersi in bella mostra, in evidenza, mostrarsi, intromettersi.
Mò ce ne vöne jìsse, cazze-cazze, e völe avì püre raggiöne = Ora se ne esce lui, bello bello, e vuol aver anche ragione.

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Taccaréte de cechéte

Taccaréte de cechéte loc.id. = Botte da orbi

Ammessa anche la variante  taccaréte alla cechéte.

L’espressione “botte da orbi” di origine toscana si è affermata anche in lingua italiana.

Descrive una situazione tumultuosa, dove delle persone si scambiano percosse  fitte e violente, date a casaccio.

Insomma si immagina una persona non vedente che mena pugni senza sapere se e dove colpirà il malcapitato destinatario della gragnuola,  ma che imprime alla sua azione percotitrice (vi piace questa parola?) velocità e forza.

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Fé pedéte-pedéte

Fé pedéte-pedéte loc-id = Lasciare impronte o orme.

Era un rimprovero certo, lanciato dalle nostre mamme quando camminavamo per casa mentre lei stava lavando il pavimento, oppure quando d’inverno rincasavamo con le scarpe inzaccherate dalla pioggia.

Stéche lavànne ‘ndèrre, nen faciüte pedéte-pedéte! = Sto lavando il pavimento, non imbrattatelo con le vostre scarpe!

Stujàteve i pjite se no faciüte pedéte-pedéte! = Passate le scarpe sulla stuoia, altrimenti lasciate tante orme sul pavimento!

 

Se vogliamo fare una similitudine, ricordiamo i segni rilasciati con le mani, al significato n. 1 di ciambe-ciambe.

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Jöve njinde

Jöve njinde loc.id. = da molto tempo

Una locuzione che si usa nelle domande o nelle risposte relative a fatti risalenti a tempi precedenti:

Jöve njinde ca nen ce venöve a Mambredònje = È da tanto tempo che non venivo a Manfredonia.

Da quanda tjimbe nen te mange düje scagghjùzze? Eh, jöve njinde! = Da quanto tempo che non ti mangi due scagliozzi? Eh, da tanto!
Quel Jöve njinde = niente è un antifrasi per dire “era troppo tempo”

 

 

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Zia-jó?…Bah!

Zia-jó?…Bah! – loc.id. = Cucù?…Séttete.

Un giochino con i bimbi della prima infanzia. Negli ulti anni si è spogliato della veste locale ed ha indossato i panni delle altre regioni trasformandosi in Cucù?…Bah!. In altre parti d’Italia dicono Bu-bù?…Sèttete!, oppure Cu-cù?…setté!.

Ci si pone di fronte al frugoletto, si nasconde il viso con le mani e si chiede Zia-jó?, come per dire, dove sono ansato a finire? Il bambolotto rimane sicuramente perplesso vedendo sparire il volto conosciuto dietro le mani. Dopo un attimo, si tolgono le mani e si mostra il volto sorridente esclamando un bel: Bah!. Il fanciullino trova divertente questo fatto di veder ricomparire la faccia conosciuta, e ride compiaciuto per la sorpresa.

Non credo Zia-jó abbia un significato preciso. Ritendo che l’effetto piacevole per il pupo sia causato dal contrasto fra il suono cupo della ó chiusa (Zia-jó?) legato al nascondimento della faccia, e la squillante vocale aperta à (Bah!) pronunciata al suo rassicurante riapparire.

Ringrazio la lettrice Pasquina Vairo che mi ha fornito questo magnifico spunto.

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Vuletéta d’ùcchje (‘na)

Vuletéta d’ùcchje (‘na) loc.id. = Attimo

Letteralmente: (una) girata di occhi, un rapido distogliere dello sguardo, un momento di disattenzione.

Corrisponde alla locuzione in lingua italiana: un’attimo di disattenzione, di distrazione.

Eh cazze! ‘Na vuletéta d’ùcchje e m’hanne frechéte u borsellüne! = 0h diamine! Un’attimo di distrazione e mi hanno sottratto il borsellino!

Evidentemente era di martedì, nella ressa dell’affollatissimo mercato settimanale.

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Vuleté a tarandèlle

Vuleté a tarandèlle loc.id. = Sdrammatizzare

Ridimensionare una situazione, trovare genialmente una via d’uscita da un discorso troppo impegnativo o decisamente compromettente.

Vebbù, Giuà, vuletàmele a tarandèlle = Va bene, Giovanni, cambiamo disco.

In italiano si direbbe che la cosa “va a finire a tarallucci e vino”, come tutte le cose italiane cosidette serie…

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Vótte Sabbèlle! 

Vótte Sabbèlle! loc.id. = Forza, dài, coraggio.

È certamente un incitamento, incoraggiamento, un’esortazione, ma perché usare un nome proprio?

Vado per similitudini: “Gratte, gratte Marianne! Cchiù gratte e cchiù guadagne“. Era il grido del venditore di granite ottenute raspando con una specie di pialletta un blocco di ghiaccio (detto ‘u cannùle). L’imbonitore incoraggiava sua moglie di nome Marianna. Da lì è rimasto nel dialetto il termine Grattamarianne = Granita.

Quindi potrebbe essere anche questo “grido” una sollecitazione, un pungolo usato una prima volta verso una certa Isabella, e poi ripetuto e tramandato, dimenticandoci chi era costei, e in quale occasione fu pronunciato questa esortazione.

Adesso, si dice: “Mèh, jé, spicciàmece, dàmece da fé!” = Dài, su…forza sbrighiamoci, diamoci da fare.

I Napoletani dicono: Uagliù, vuttate ‘e mmane! = Ragazzi, muovete le mani, non state in ozio.

Ringrazio Tonia Trimigno per avermiricordato questa colorita espressione.
Chiederò conferma ai miei informatori, che sono più anziani di me.

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Venì ‘a bòtte (fàrece venì la)

Venì ‘a bòtte loc.id. = Spazientirsi. Perdere le staffe.

Impulso irrazionale e aggressivo di reagire a qlc provocazione. Equivale a salire il sangue alla testa.

M’jì venute la botte e l’agghje menéte ‘nu recchjéle = Ho perso le staffe e gli ho assestato uno ceffone.

Equivalente anche la locuzione Fàrece venì ‘u quarte = reagire d’impulso, perdere il controllo, non mantenere la padronanza di sé, il dominio dei propri sentimenti.

Abbéde a te, ca se me vöne ‘u quarte nen sacce manghe jü add’jì ca jéme a fenèsce = Attento, ché se mi spazientisco non so come finirà la faccenda (alla lettera: Bada a te, perché se mi sale il sangue alla testa non so nemmeno io dov’è che andiamo a finire).

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