Tag: Locuzione idiomatica

Ciambe-ciambe

Ciambe-ciambe loc. id.soprann. = Impronte, ditate.

1) Un mobile è pieno di impronte lasciate da mani unte o sudate? Ecco è tutto ciambe.ciambe!

Si può dire anche che sté ciambjéte, ove ciambe è una caricatura di zampa, perché il monello che ha fatto il danno è paragonato ad una bestiolina con le zampette…

Mi sa che anche ciambéte = manciata derivi da ciambe = zampa

2) Con il nomignolo Ciambe-ciambe era conosciuto un bravissimo sarto su Via Tribuna, fra Via Magazzini e Via Vittor Pisani, specializzato nel confezionare abiti da uomo. Molti allievi sono usciti dalla sua bottega, altrettanto bravi.

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Chjuì a cjile apjirte

Chjuì a cjile apjirte loc.id. = Piovere a scroscio

Alla lettera: piovere a cielo aperto.

In italiano a ‘cielo aperto’ possono essere, le miniere, le cave, o anche certe manifestazioni sportive, religiose, all’aperto, au plein air, come dicono i Francesi.

In italiano per la pioggia abbondante non esiste una locuzione così costruita. Si dice:

-piovere a catinelle
-piovere a iosa
-piovere a profusione
-diluviare
-scrosciare
ecc.

C’jì mìsse a chjöve a cjile apjirte, ‘nzapüme quànne la völe fenèsce = Si è messo a diluviare, non sappiamo quando la smette.

Nell’ambiente marinaresco qlcu dice anche chjöve a zeffónne = piovere abbondantemente, da farci rischiare di affondare.

Anche in napoletano si dice chiòvere a zeffùnno.

Nei paesi di lingua inglese curiosamente si dice: to rain cats and dogs = piovere gatti e cani.

Chissà che ne pensa l’Associazione per la Protezione degli Animali!!!

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Chjangia-chemò 

Chjangia-chemò loc.id.= Biancheria o abiti fuori moda.

“Era riferito al corredo che le mamme davano alle figlie quando si sposavano. Però i gusti delle figlie non combaciavano con quelli delle madri, ragion per cui tutti quegli indumenti non venivano utilizzati” (Amilcare Renato)

Insomma tutta la dote ‘i rrobbe (lenzuola, tovaglie, federe, camicie, tendine, centrini ricamati, sottovesti, tela per cucito, ecc.) giaceva per anni nei cassetti del comò. Occupava spazio, in attesa di essere adoperata prima o poi.

O per seguire la capricciosa moda, o per assecondare i differenti gusti, le figlie si orientavano verso altri prodotti lasciando i primi in fondo ai cassetti del comò, o nelle cassapanche per biancheria.

In questa aspettazione (vi piace questa parola?) si immaginava che questi vestiari ed effetti personali, come fossero animati, “stessero a piangere” (giacessero in attesa), auspicando di essere usati, indossati prima o poi.

Tjine tanta ggiöje de rrobbe ca sté a chjange ‘ind’u chemò e nen la pìgghje mé! = Hai tanta bella roba che giace (sta soffrendo, sta piangendo per la lunga attesa) all’interno del tuo cassettone, e tu non la prendi mai!.

In sintesi si è riconosciuto con questo chjiangia-chemò tutto il contentuto che giace per anni nel comò senza essere stato mai usato.

Al contrario tanti oggetti di biancheria da chjiiangia-chemò sono ora molto rivalutati per la loro testimonianza di un particolare momento storico della moda, del costume, del design.

Infatti, con il termine vintage, si riconosce negli oggetti fuori moda un valore aggiunto per le sue doti di qualità e bellezza, nonché per la loro testimonianza di un particolare momento storico della moda, del costume, del design.
Non si può tradurre vintage in manfredoniano. Vi rimando a spezzje andüche

Ringrazio vivamente l’amico Amilcare Renato, che mi ha riportato questa ormai desueta locuzione idiomatica, da lui sentita spesso da sua madre e da sua nonna.

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Chjàcchjere nen ce ne vònne

Chjàcchjere nen ce ne vònne loc.id. = Verità sacrosanta.

Il nostro conterraneo Lino Banfi dice simpaticamente: “una parola è poca e due sono troppe”.

Noi ricorriamo a “chiacchiere non occorrono”, perchè già si è detto tutto e sarebbe del tutto inutile aggiungere anche una sola parola.

‘Ndànde ‘Giuànne ò vìnde e chiacchjere nen ce ne vònne = Intanto Giovanni ha vinto (la partita a carte) e non c’è altro da aggiungere, perché la posta è legittimamente sua…

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Chjacchjere mòrte

Chjacchjere mòrte loc.id. = Ciance, Parole parole parole…

Quando si ascoltano tante belle parole, tante promesse che non verranno mantenute, come le promesse elettorali, si classificano come chiacchiere vuote, morte, che non arrecano alcun beneficio reale, né ora né mai.

A volte quando qlcu minaccia o riferisce guai in arrivo da parte di terzi, lo si rimbecca classificando le sue come chiacchiere morte.

Va bene anche la locuzione chjàcchjere vacànde = parole vuote.

Che ste decènne? Quìste so’ chjàcchjere vacànde! = Che stai dicendo? Queste sono ciance.

Ringrazio l’assiduo lettore Michele Murgo per lo spunto fornitomi.

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Chiàcchjere-mòrte

Chiàcchjere-mòrte loc.id. = Sciocchezza

Locuzione usata sempre al plurale per significare:parole senza peso, inutili, sciocche.

Argomento senza importanza.

Anche riferito a fatti concreti ma trascurabili, senza rilevanza.

Che te mange jògge? Quacche cusarèlle, robbe de chiàcchjere-morte = Cosa mangi oggi (di buono)? Qualche cosina, niente di speciale.

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Chéne-mùrte

Chéne-mùrte loc.id.. = Insificante, apatico.

Il termine, raccolto di recente, designa qlc elemento del gruppo che non ha smalto, o brio, o vivacità.

Non prende mai alcuna iniziativa, è “spento” anche se di giovane età.

Insomma indica una persona senza vitalità, che è fermo come un cane morto!

Mattöje jì proprje ‘nu chéne murte = Matteo è proprio in tipo apatico.

Talvolta invece indica un fetore insopportabile paragonabile a quello che esala da una carcassa di cane insepolto.

Föte a chéne murte = Puzza come un cane morto.

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Chédö-chédöje…

Chédö-chédöje… loc.id. =  Ma è scontato! Ma è evidente!

È una sintetica espressione che spiega l’assoluta evidenza di un evento, del tutto scontato, lapalissiano.
Un nostro Detto parla esplicitamente di una scusa ipotetica, di un motivo pretestuoso: chédö-chédöje ca ‘u baccalà jì saléte.

Uso le parole dell’amico Enzo Renato che spiega la storia del baccalà salato:
« Tanto si sa che e’ così….Prima che te ne vieni a quella conclusione e/o rinfacciarmelo. E certo che è salato! Che scoperta!»

Può anche manifestare la mancanza di volontà di intrufolarsi negli affari altrui. Parola d’ordine: rispetto di ogni “privacy” e nessun fraintendimento delle proprie intenzioni. Che non pensino che…
Nen so jüte a truàrle, angöre chedö-chedöje avessa cröde ca vogghje scanagghjé i fatte süje. = Non ci sono andato a fargli visita, per evitare che creda che io ci sia andato per sapere i fatti suoi.

Anche la parlata garganica accoglie questa locuzione con pronuncia diversa: chedè-chedèje.

Si potrebbe tradurre: ‘che è, che non è’…ma credetemi, sento più immediata l’espressione dialettale.

Chedè/chedèje/chedöje sarebbe “che è” con una “d” eufonica come in “ad, ed”, o come il “t” francese nei verbi in forma interrogativa alla terza persona que reste-t-il? [che rimane?]. Quindi dovrebbe portare la grafia che-d-è, ma non voglio essere così

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Che facce ca tjine

Che facce ca tjine! loc.id. = Sfrontato!

Espressione che vuole contestare qlcu che mostrasi spudorato, arrogante, insolente, impertinente.

Che fàcce ca tjine! E mò che che vularrìsse fé angöre? = Che sfacciato che sei! Ed ora che vorresti fare ancora?

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Ceccjöne vècchje

Ceccjöne vècchje loc.id. = Bamboccione

Semplicione, adolescente che vuole fare i giochi fanciulleschi con i bimbi più piccoli.

La sua mole talvolta sicuramente lo avvantaggia, per esempio nella corsa. Allore quelli che intervengono a sedare le inevitabili dispute, gli dicono che lui è ceccjöne vècchje, ossia che non deve competere con gli altri che sono in condizioni di inferiorità.

La madre per dissuadere il suo bimbo dal frequentare un gruppo turbolento, gli dice: nen ce jènne, ca quìdde so’ tutte ceccjüne vjicchje = non andarci che quelli sono tutti grandi e grossi (rispetto a te, e perciò saresti a disagio con loro).

Notate il plurale: ceccjüne vjicchje

Lo stesso dicasi del bulletto che è forte con i deboli, ma debole con i forti. (Scusate questa Massima: mi è scappata, senza riflettere).

 

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