Rènghe (o arènghe)s.f. = Aringa
Pesce marino teleosteo (Clupea harengus ), dal dorso scuro e dal ventre argenteo o dorato, che vive nei mari freddi.
Ai consumatori giunge semi-secco, salato e affumicato. (Clicca sull’immagine per ingrandirla).
Il suo consumo in Italia è decisamente calato dalla fine degli anni ’50.
Fino ad allora spesso una sola aringa, divisa a tocchi, rappresentava la frugale cena invernale dell’intera famiglia.
Praticamente si mangiava pane e “odore” di aringa. Cioè un chilo di pane e una sola aringa di 200 gr da dividere per 6 o 7 persone. Tutto qui.
Erano apprezzate quelle femmine, perché al loro interno si trovavano, un po’ disseccate, le uova come un ammasso granuloso, formato da migliaia di granellini, anch’essi salatissimi e affumicati. Boccone prelibato perché privo di lische.
Non era consuetudine utilizzare le aringhe in cucina. Si mangiavano senza bisogno di cuocerle.
Al massimo si riscaldavano al fuoco del braciere per farle ammorbidire, per svilupparne gli aromi e facilitarne la spellatura.
Ce sènde ‘n’addöre de rènghe! = Si avverte un profumo di aringhe!
Le ho riviste dopo tanti anni sulle bancarelle dei mercati rionali. Ma adesso le comprano solo gli ultra sessantenni, per una volta soltanto, tanto per ricordare le “spezie antiche”.
L’ipertensione alla loro età sconsiglia i cibi salati.
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