Uascèzze s.f. = Abbondanza.
Abbondanza di cibo, a crepapelle.
A ufo.
Mangiare incontrollati.
Rimpinzarsi oltre misura, da fare schifo…
Sinonimo: sburdacchjamjinde
Abbondanza di cibo, a crepapelle.
A ufo.
Mangiare incontrollati.
Rimpinzarsi oltre misura, da fare schifo…
Sinonimo: sburdacchjamjinde
Usato prevalentemente al plurale, il termina designa gli elementi che servono a sellare il cavallo o ad attaccare gli animali da tiro a carri, carrozze e sim., come ad es. il morso, le redini, le briglie, il ecc.
Come quasi tutte le parole che in italiano iniziano per GU perdono la G (uànde, uèrre, uasté = guanto, guerra, guastare). Deriva da guarnì = guarnire, completare, rifinire (da cui finimento).
Talora il termine allude agli “attributi” maschili.
Töne tutt’i uarnemjinde a poste = Costui è ben guarnito. È un vero “macho”
Deriva da guardare e passare. Temutissimo rettile il cui incontro è comunqua da evitare. Siccome l’unico serpente velenoso che vive in Italia è la vipera, dev’essere per forza la Vipera aspis, diffusa su tutto il territorio italiano tranne che in Sardegna.
Recitavano i campagnoli: ‘u guardapàsse, addjì ca te mòzzeche addà te lasse = La serpe ti lascia (stecchito) nello stesso luogo ove ti ha morso; ossia l’effetto del suo veleno è talmente rapido che non ti consente di muoverti per cercare aiuto.
Notate che per evitare lo jato [in questo caso la ‘u dell’articolo e la u iniziale del sostantivo] la parola è stata pronunciata con la g iniziale, che quando è seguita dalle vocali a, i, o, u, cade inesorabilmente.
Lavoratore agricolo a contratto annuo, assunto nelle aziende dell’Italia meridionale. Termine derivato dal germanico waldmann: wald=bosco mann=uomo.(Devoto-Oli).
Era inteso specificamente colui che mena bovini al pascolo. Insomma un nostrano cow-boy.
Caratterizzati da un vago odore di stallatico anche se con la persona e la biancheria pulite.
Come soprannome esistono Ualéne e Ualanjille.
Ricordo un certo Pasquéle ‘u ualéne. Mi piaceva l’assonanza fra il nome e il mestiere.
Nota fonetica.
Quando i termini dialettali che assomigliano a quelli italiani iniziano la “g” dura, vengono modificati.
Talvolta la “g” diventa “j”
Per esempio: gatta diventa jàtte; gamba diventa jàmme.
Talora invece la “g” cade e non viene proprio pronunciata.
Per esempio: guastare = uasté; guerra = uèrre; guanti =uànde; guarnizione = uarnezzjöne.
Soprannome di uno dei tanti rami della famiglia Palumbo.
Ualanjille deriva da Ualéne (vedi) ossia Gualano, guardiano di bestiame.
Soprannome derivato dal mestiere.
Uagnöne s.m. e s.f. = Bambino, bambina.
L’individuo umano dalla nascita all’adolescenza.
Al plurale fa Uagnüne, inv.
‘ U uagnöne d’a putöje = l’apprendista artigiano
Dispr. Uagnunàstre = giovincello scapestrato, protagonista di malefatte.
Dim. Uagnungjille/uagnungèlle = adolescente; si usa anche per imputare a un giovanotto o una ragazza quasi adulti un atteggiamento puerile, non da adulti. Perciò sono ritenuti inaffidabili.
L’etimologia è molto incerta. Una delle ipotesi imputa la derivazione da “galio-galionis” = giovane mozzo, servo delle navi.
Di qui il termine guaglione diffuso in tutto il Sud con lievi variazioni adattati alla parlata locale (vagnone, uagnöne, uaglione, ecc.)
Uaciüle s.m. = Bacinella, catino
Il termine deriva dal lat. bacinum.
Catino, bacile, bacinella: recipiente per liquidi, largo, poco profondo, di uso domestico.
L’oggetto era sostenuto da un trabiccolo di ferro battuto chiamato pöte-uaciüle = porta-catino.
Anticamente era in rame e aveva un uso liturgico (come acquasantiera, o per abluzioni rituali, o per somministrare il Battesimo).
Quelli di uso corrente erano di ferro smaltato. Io ne ho visti di creta smaltata, della stessa pasta i piatti, e anche di porcellana fine.
Ora li fanno di pura plastica Moplen, ma nessuno li usa più, nemmeno per lavare il culetto ai neonati, perché in casa fortunata.
Mi hanno chiesto se la parola uaciüle reca già l’articolo accorpato al sostantivo.
Urge una nota linguistica. Veramente si dovrebbe dire ‘u vaciüle, accettabile anche ‘u uaciüle (non ‘u aciüle) quindi l’articolo non è accorpato, ma è la pronuncia che trasferisce la ‘u’ dell’articolo trasformando la consonante iniziale.
Faccio un esempio, ‘guanto’ si traduce in guànde, ma con l’articolo è ‘u uànde.
Articolo determinativo maschile singolare.
Preferisco scrivere ‘u, per indicare che è caduta la l: si dovrebbe dire, e talvolta si dice lu.
Ha anche funzione di pronome personale maschile di terza persona singolare, nella forma atona di egli, lui, usata come complemento oggetto.
Quànne ‘u vute? = Quando lo vedi? Quando vedi lui?
T’agghje déte ‘u péne: com’jì ca nene te lu mànge? = Ti ho dato il mane perché non te lo mangi?
Picchiare su una porta e simili, per farsi aprire o per annunciarsi (Sabatini-Coletti)
Esiste la variante tuzzeljé più nel senso figurato, come per dire ripetere sempre la stessa richiesta di denaro, di prestazioni, di beni.
Tuzzeljije a quèdda pòrte = Bussa a quella porta.
Evògghje a tuzzelé! Nen ce sté nesciüne! = “È inutile bussare qui! Non vi aprirà nessuno” (Toto Cutugno, “Soli”)
Si usavano le nocche delle dita per bussare. Ora si bussa a mano solo per chiedere di entrare nell’ambulatorio del medico o in un ufficio pubblico.
Una volta i portoni erano dotati di un battocchio metallico, dalle più svariate fogge, perché gli abitatori del piano superiore potessero sentire quelli che bussavano. Un ingegnoso tirante azionato manualmente riusciva ad aprire il portone senza bisogno di scendere le scale.
Poi sono stati inventati il pulsante sul portone che azionava campanello elettrico al piano e dal piano il pulsante elettrico che azionava l’apriportone. Successivamente è arrivato il citofono e il video citofono a colori…
Chiacchierio insistente; discorso inutile e inconcludente e portato per le lunghe.
E parlöve, e parlöve, e tetùng e tetàng: nen la fenöve cchjó! = E parlava e parlava, e bla bla bla, non la finiva più!