Ùgghje 

Ùgghje s.m. = Olio

Sostanza liquida insolubile in acqua, di origine vegetale, animale o minerale, con caratteristiche proprie per ogni tipologia.

1 – L’olio vegetale, dalla notte dei tempi, dalle nostre parti è stato sempre e solo quello ricavato dalle spremitura delle olive. Si usava solo per uso alimentare e con parsimonia, altrimenti (come ci ammonivano i nostri genitori) c’era il rischio che comparissero delle croste sul cranio (‘i scorze ‘nghépe).
Sappiamo tutti che è un prodotto pregiato della nostra Puglia, checché ne dicano i Toscani e i Liguri, che forse hanno saputo meglio reclamizzare l’olio delle loro Regioni convincendosi che i loro prodotti siano  i migliori d’Italia.

Gli oli ricavati dai semi di girasole, di soia, di vinaccioli, di colza e da chissà quali altri semi e propinati come sostituti di quelli di oliva sono un’offesa alla nostra millenaria cultura alimentare mediterranea.

L’olio di semi “per fritture”, dal costo infimo, e reclamizzato come “più leggero”, è una contaminazione americana degli anni ’60. Io sono fondamentalista anche nell’alimentazione non lo adopero mai.

2 – L’olio minerale, ricavato dalla distillazione del petrolio greggio, è usato come lubrificante nei motori a scoppio (a combustione interna) molto apprezzato e costoso.

3 – Quello animale, è quello ricavato dal fegato dei merluzzi, ricchissimo di vitamine e sali minerali. Veniva usato come ricostituente per combattere il rachitismo dovuto a carenze alimentari.  Adesso  i nostri bimbi hanno il problema inverso, quello dell’obesità….

Ricordo che a scuola, nell’immediato dopoguerra, quando tutti risultavamo ipo-nutriti  (cibo scarso, poche proteine, latte solo se stavamo ammalati…) il Maestro ogni mattina ci propinava, per disposizione del Ministero della Salute pubblica come misura e cura contro il rachitismo, un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo a testa, attinto da una orribile bottiglia gelosamente custodita nel suo armadietto.

Il bello della storia, di per sé lodevole, era che un unico cucchiaio passava di bocca in bocca a tutti gli scolari della stessa classe!!!

Quelli purtroppo erano i tempi che vivevamo, e solo dopo molti anni, rammentando quel “rito” giornaliero, ci siamo resi conto che fosse un po’…rivoltante.   Comunque siamo sopravvissuti, forti, sani e certamente con qualche grosso anticorpo in più!

Scusate se ogni tanto inserisco qualche ricordo personale….

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Ugghjarüle

Ugghjarüle s.m. = Oliera, orzaiuolo

1) Oliera. Ampolla o altro recipiente con beccuccio usato a tavola per versare l’olio sui cibi da condire.
Quello pugliese è di latta saldata o di acciaio inox, con coperchio incernierato e beccuccio lunghissimo. State certi che è meglio del salvagocce, perché non fa perdere inutilmente il prezioso condimento.

2) Orzaiolo. Infiammazione suppurativa delle ghiandole sebacee della palpebra, che si forma nello spessore di questa e si apre sull’orlo libero e sulla superficie congiuntivale, risolvendosi per lo più spontaneamente.

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Ugghjaréle

Ugghiaréle s.m. = venditore ambulante di olio.

Non credo in italiano esista il termine oleovendolo (come pescivendolo) oppure olearo oliaio (come casaro, lattaio) o anche oliere…(come barbiere)….No,oliere mi sembra che faccia pariglia con saliere e pepiere…..

Comunque ci siamo intesi: l’ugghjaréle era una persona che, con un recipiente di latta legato al portapacchi della sua bicicletta condotta a mano, girava a piedi per le strade di Manfredonia richiamando le massaie con il suo grido prolungato: Uhé l’ùgghje, uhé l’ùuuuugghje! = Ohé, l’olio!

Se qualcuna lo chiamava, appoggiava la bicicletta alla parete e misurava con il suo decilitro di latta la quantità richiesta. Se una voleva “mezza misura” – ossia anche a 50 cc. per volta, perché non sempre la massaia disponeva di soldi per comprarne a litri – il suo occhio esperto sapeva dosare esattamente metà del suo misurino da mezzo quinto(100 cc.).

L’ugghjaréle è una figura ormai scomparsa, come quasi tutti gli addetti al commercio ambulante di Manfredonia.

Una volta giravano con i carrettini, o con cesti e panieri portati a braccio, molti merciai che vendevano latte, carbone, frutta, bottoni, lucido per scarpe, occhiali, aceto, pesci, castagnaccio, bustine di shampoo Palmolive, lana filata per maglieria, verdure, capperi, gelati, corbezzoli, stoffe, còzzele e carècchje uhé!. Addirittura il cavadenti (‘u türa-jagnéle) era ambulante!

Da non confondere con ugghjarüle.

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Uéte

Uéte s.m. = Accesso

Accesso, passaggio, varco, luogo attraverso il quale si passa, per esempio, in una recinzione, in una “chiusa”, ossia un uliveto o un mandorleto.

Anche i due pilastrini, in muratura o in ferro, che sorreggono la cancellata di accesso.

Frangì, ha viste se sté serréte ‘u uéte? = Francesco, hai controllato se è chiuso l’accesso?

Forse proviene, per estensione, da “guado” (latino vadum ), passaggio praticato attraverso una siepe o attraversamento di un corso d’acqua..

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Ucchje pescéte

Ucchje-pescéte agg.= Congiuntivite

È il nome di una patologia che colpisce l’occhio e si manifesta con abbondante lacrimazione che si raggruma durante il sonno.

Scatenata da agenti esterni, quali polvere o abbagliamento, provoca un fenomeno infiammatorio con conseguente fotofobia, dolore e lacrimazione.

Può anche avere origine batterica per la presenza nel sacco congiuntivale di streptococco o stafilococco, che provocano un’infezione, risolvibille con l’uso di antibiotici appropriati.

Le nostre mamme ci liberavano le palpebre “incollate” dalle cispe (‘i scazzìlle) con acqua borica tiepida.

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Ùcchje da före

Ùcchje da före loc. id. = Crepi l’invidia.

È la traduzione più verosimile. Alla lettera significa (restate con gli) occhi fuori dalle orbite (per il rammarico di non poter avere altrettanto).

La locuzione ha valore anche di esclamazione.

‘A fìgghja möje jì bèlle e aggarbéte: ùcchje da före! = La mia figliola è bella di aspetto e garbata nei modi: crepi l’invidia!

Ùcchje da före descrive anche semplicemente l’espressione di chi è colto da sorpresa o da meraviglia.

Come dire: riempirsi gli occhi spalancati, o rimanere a bocca aperta.

Sò stéte a Parìgge: ucchje da före! = Sono stato a Parigi: sono rimasto estremamente colpito dal fascino e dalla bellezza di questa città, che merita pienamente il suo bel titolo di Ville Lumière.

Beh, non è proprio una traduzione letterale, ma sapete che il dialetto ha una estrema capacità di sintesi….

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Ùcchje

Ùcchje s.m. = Occhio

Organo della vista, che percepisce gli stimoli luminosi e li rimanda al cervello che li traduce in immagini.

Esistono alcuni modi, figurati o reali, per descrivere persone con caratteristiche specifiche, nei quali si citano gli occhi.

Faccio degli esempi:
Nen lu pùte dïce manghe: « che bell’ùcchje  tjine ‘mbacce!»= Non gli posso dire nemmeno: che begli occhi e hai in viso!
Descrizione di un soggetto irritabile o permaloso.

Add’jì ca töne l’ucchje töne ‘i méne = Dove ha gli occhi ha le mani.
Constatazione della vivacità del bimbo: tocca tutto ciò che vede. Oppure di un soggetto abituato a trafugare, a sottrarre (veramente si dice rubare) oggetti insignificanti o preziosi che stuzzicano il il suo istinto ladresco per impossessarsene.

Torce l’ùcchje = Torcere gli occhi. Provare o causare un grosso spavento.
Mò, accüme ce avvecjüne ‘nu giòvene, Mariètte torce l’ùcchje = Ora come si avvicina un giovanotto, Marietta prova terrore (forse perché ha avuto una precedente delusione amorosa, e per ora non vuole più saperne di giovanotti).

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Uauàcce

Uauàcce s.m. = Ventriglio.

Negli uccelli, parte dello stomaco ricca di fibre muscolari, nella quale vengono sminuzzati i cibi più dur.

Si tratta anche di un soprannome locale

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Uasta-mestjire

Uastamestjire agg. = Arruffone

Dicesi di colui che si dà da fare in ogni modo, ma con mezzi modesti, perlopiù senza grandi risultati.

Significato letterale guasta-mestiere, ossia che non sa dare lustro al mestiere scelto.

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Uasta-crìste

Uastacrìste s.m. e soprannome.= Guasta Cristo

Il “Cristo” d’argento che si poneva alla testata del letto, contornato da tanti pezzi in filigrana d’argento assemblati in una vetrinetta, si poteva accidentalmente dissaldare.

Si chiamava il saldatore per la riparazione. Evidentemente costui era arruffone, e invece di riparare il simulacro, lo riduceva in condizioni peggiori, lo guastava. Da qui il nomignolo.

Ma sono tutte fandonie, come per Sfascia-chemò. Gli artigiani erano bravissimi. Il soprannome talvolta è ironico o semplicemente canzonatorio.

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