Vìcce

Vìcce s.f. = Tacchino

Il tacchino (Meleagris Gallopavo) è un gallinaceo domestico, originario dal nord America.
È caratterizzato da testa e collo nudi, con bargigli rossi che pendono, penne nerastre. I maschi possono allargare la coda a ruota. Infatti Linneo lo chiamò “Gallopavo“, ossia gallo-pavone

Per invitare il piumato animale a mostrare la sua ruota, i bambini gli gridavano, a debita distanza: Vìccja-vi’, fa’ la segnöre, glu glu glu glu! = Tacchino, tacchi’, fa’ la signora, glu glu glu glu!

Ovviamente la ruota la faceva quando piaceva a lui…

I piccoli del tacchino sono chiamati vicciarjille.

Quando qualcuno mangia una minestra, e ama raccogliere fino all’ultima goccia di brodo o di sugo, suscita una domanda spontanea: che, ha da allatté i vicciarjille? = che, devi allattare i tacchinelli?
È un autentico sfottò, specie perché i tacchini non sono mammiferi, e che quindi non allattano i loro piccoli.

Il chiarissimo Prof. Michele Ciliberti – che ringrazio pubblicamente – mi ha gentilmente fornito l’etimologia di questo sostantivo:

«Il nome “vicce” in dialetto è promiscuo, cioè indica sia il maschio sia la femmina.
Prima di dare l’etimologia del nome, occorre fare una considerazione di carattere storico: tale animale è stato importato in Europa dopo la scoperta delle Americhe. 
Nel XVI secolo il latino era la lingua della Scienza e della Chiesa, per cui a livello volgare spesso veniva utilizzato in modo del tutto approssimativo.
Infatti, per indicare questo nuovo animale , ispirati dal suo piumaggio, si è utilizzato il sostantivo latino “bombjcem“. Il nostro dialetto ha utilizzato solo la seconda parte del nome “bjcem” (la “b” si è trasformata in “v” come in tante altre parole tipo barca – varca, bocca-vocca ecc.). Il nome “bombjcem” in latino significa “veste di seta”, infatti così appariva il piumaggio dell’animale.»

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Vianöve

Vianöve s.f. = Carreggiata stradale bitumata.

Alla lettera significa “via nuova”.

Hanne fàtte ‘u scòndre söpe a vianöve de Sepònde = C’è stato un incidente stradale (hanno fatto uno scontro) sulla strada di Siponto.

Agli inizi degli anni ’50 l’unica strada asfaltata era la S.S.89 Garganica che attraversava tutta Manfredonia. Poi vi erano quelle (poche) lastricate con pietra vulcanica: Corso Manfredi, Corso Roma, Via Maddalena e le loro traverse. Tutte le altre vie cittadine erano di terra battuta, irregolari, da cui affioravano sovente rocce calcaree bianche. Lascio immaginare a voi come diventavano queste con la pioggia…

Quindi la ‘via nuova’ cittadina era anche chiamata l’asfàlde = l’asfalto, dal nome della prima sostanza (roccia impregnata naturalmente di bitume) usata per rivestire il manto stradale (detto MacAdam cementato). Successivamente si è usato il catrame (instabile all’aumento termico) e ora il bitume, ricavati dalla distillazione del petrolio greggio.

Penso che il termine vianöve derivi dal fatto che per stendere la carreggiata, la strada dev’essere sbriciolata e rifatta di nuovo.

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Vèvete

Vèvete s.f. = Bevuta

L’azione di bere per dissetarsi.

Tènghe ‘n’ arsüre, fàmme fé ‘na vèveta d’acque = Ho un’arsura! Fammi fare una bevuta d’acqua!

Ora si preferisce dire bevüte.

Ce süme fatte ‘na bevüte de vüne dòlece= Ci siamo fatti una bevuta di vino dolce.

Ma io sono un po’ tradizionalista e quoto per vèvete.

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Vettüre

Vettüre s.f.= Autovettura, autoveicolo

Anche il lingua italiana esiste il termine vettura per indicare l’automobile. Significa anche vagone ferroviario adibito al trasporto di passeggeri (mitico l’invito del Capo-Stazione: Signori in vettura: si parte!).

In tempi più recenti l’auto è semplicemente ‘a mèchene = la macchina.

Giova ricordare che fino agli ’40 la ‘macchina’ designava o la macchina agricola (mietitrice, seminatrice, trebbiatrice) o la bicicletta!

Gli anziani si ostinano a chiamarla ‘a vettüre, similmente ai Francesi che dicono “la voiture” (pronuncia: la vuàtüre) . I Montanari anziani addirittura dicono tuttora ‘a vetturèdde, la vetturella…

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Vetrüne

Vetrüne s.f. = Porta a vetri

Da non confondere con la vetrina dei negozi, chiamata oggi allo stesso modo.

Principalmente indica l’infisso, di legno o di alluminio, che chiude l’uscio delle abitazioni a piano terra (‘u sutténe).

Il ‘sottano’ oltre alla porta a vetri aveva anche la porta di legno a due battenti che di notte rappresentava la seconda e più robusta barriera, chiusa dall’interno con il varröne

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Vetréne

Vetréne s.f. = Morbillo

Malattia infettiva e contagiosa. Si manifesta, spec. nei bambini, con febbre elevata e chiazze rosse su tutto il viso e il corpo.

Purtroppo quale strascico del morbillo facilmente i neonati contraevano una esiziale bronchite. In assenza di antibiotici, non ancora inventati, le conseguenze erano disastrose e la mortalità infantile molto elevata.

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Vestemènde

Vestemènde s.m. = Abito carnevalesco

Il carnevale è stato sempre un’occasione di spensieratezza, specie per il popolo di Manfredonia. Il fatto di potersi travestire, non essere riconosciuti, dava euforia a giovani e vecchi.

Per fare la propria mascherata ognuno inventava un propro vestemènde, da quelli più semplici (giacche indossate rivoltate, federe di cuscini usati come cappuccio, ecc.) a quelli più sofisticati ispirati alla Commedia dell’Arte (Pulcinella, Colombina, Arlecchino), fino all’immancabile pagliaccio (da bianco Pierrot o Clown multicolore).

Vestemènde si potrebbe tradurre, se mi passate il termine, con “costume teatrale”.

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Vése

Vése s.m. = Bacio

Parola di etimologia spagnola. Gli Iberici scrivono bèso ma pronunciano veso

Faccio un esempio sulla forte influenza che ha avuto la lingua spagnola sul nostro dialetto: la frase: “Dàmme nu vése” (dialetto parlato fino agli anni ’50; ora si dice bbéce) è quasi identica alla stessa richiesta detta in spagnolo: “Dame un béso”.

In spagnolo le consonanti b v si pronunciano entrambe con l’identico suono, ossia con un leggerissimo soffio in punta di labbra, come se si dovesse spegnere una candelina.

L’ascoltatore non può notare la differenza tra le due consonanti che è evidente solo nello scritto. Questo spiega perché noi diciamo in dialetto: varvire, àrve, vràzze, vrùcchele, avàste, ecc. per barbiere, albero, braccio, broccoli, basta, ecc.,

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Vescéte

Vescéte agg. = Roso da parassiti.

Il parassita in questione è la vèsce, nota ai pescatori anche con il nome di mànge-e-chéche = mangia e caca, per la sua icredibile voracità.

Il legno vescéte, ossia attaccato dalla vesce (Teredo navalis) presenta lunghe gallerie e si briciola, divenendo friabile per l’assenza di fibre, tutte divorate da questo parassita.

Il termine per estensione si riferisce a qls oggetto corroso.

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Vèsce

Vèsce s.f. = Teredine

Con il nome di “Vèsce” (o vèscje) in marineria si indicano le Teredini (Teredo navalis), dette dai pescatori manfredoniani anche “mange-e-chéche” = mangia e caca, tutto un programma.
 
Dal nome di questa insaziabile creatura che attacca anche il legno delle imbarcazioni, per similitudine, si è passati a definire la voracità di certe persone ingorde.
 
Il legno attraversato dalle gallerie causate dalle Teredini dicesi “vescéte” [pronunciato con doppia “sc” (come pescéte)] perde qualsiasi consistenza e può essere frantumato come un biscotto con la pressione di una sola mano.
 
Leggo in rete:
«Le Teredini, uno degli organismi xilofagi (voraci mangiatori di legno) che vivono e proliferano nelle acque salmastre, rosicchiavano le palificate degli antichi porti che costituivano sostegno dei moli e delle bocche di porto. Stessa sorte toccava al fasciame delle imbarcazioni, traforate in breve tempo dai molluschi. Le teredini eleggono come loro habitat naturale i legni infissi o galleggianti in acque salmastre portuali, li erodono dall’interno nutrendosi della fibra legnosa formando una cannula calcarea interna al legno dove alloggiano. In poco tempo sono in grado di distruggere le caratteristiche dei maggiori legni conosciuti.»

Oh! Tjine ‘sta sorte de vèsce! = Ehi!, Hai questa insaziabile voracità!

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