Zegrüne

Zegrüne s.m. = Tela di petto.

Si tratta di un tessuto piuttosto grossolano, a trama larga, usato in sartoria per dare rigidità e sostegno al colletto, alle spalline e ai due “petti” della giacca o del cappotto.

Infatti ‘u zegrüne viene chiamata anche “töle de pjitte” = tela di petto.

Quando qualche giovanotto camminava tutto impettito, ritto come un militare, si diceva ironicamente che si era fatto “‘nu vestüte de zegrüne” = un vestito confezionato interamente con tela di petto, talmente rigido da impedirgli qls movimento.

È composta da fibre vegetali e da crini di cavallo (forse proprio da crine viene il nome zegrüne). Ricordate la canzone di Vianello “Non è un capello, ma un crine di cavallo uscito dal paltò”? Ecco, era un filo dell’ordito della tela di petto

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Zechìcchje

Zechìcchje top. = Zio Checco

Località a levante di Manfredonia delimitata da Via Pulsano, Via Gargano e Via Dante Alighieri sul versante della montagna.

Parlo degli anni ’50, quando vi hanno costruito le palazzine delle Case Popolari e Via Pulsano era il “tratturo” conosciuto solo dai pecorai e Via Dante Alighieri non esisteva perché c’erano piante di fichi d’india fino all’Acqua di Cristo.

Andare a Zechìcchje era come dire andare fuori le mura. Il terreno di Zechìcchje era anch’esso tutto coperto di fichidindia.

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Zecchenètte

Zecchenètte s.m. = Zecchinetta

Gioco d’azzardo con le carte italiane. Questo nome deriva dalla corruzione della parola lanzichenecco dal tedesco Landsknecht, cioè servo della gleba (Land = terra, patria + Knecht = servitore)

Il gioco giunse in Italia nel XVI secolo portato dai mercenari tedeschi, chiamati appunto lanzichenecchi.

Nei decenni passati, la Zecchinetta era probabilmente il gioco d’azzardo più diffuso in molte bische dell’Italia centro-meridionale. In alcuni ambienti esiste ancora oggi. Non si può giocare nei locali pubblici.

Mi ricordo che in ogni cantina c’era sempre un cartello ben visibile dove il Commissario di Pubblica Sicurezza elencava i giochi di carte proibiti perché considerato d’azzardo. Fra essi c’era anche la misteriosa zecchinetta.

Vé juché au zecchenètte = È un giocatore incallito.
Indipendentemente dal gioco svolto. Era considerato uno sciagurato. Con un neologismo dicesi ludopatico.

Per coloro che volessero malauguratamente intraprendere la carriera dei giocatori incalliti, riporto le regole del gioco (reperite in rete):

Regolamento della Zecchinetta: giocatori da due in sù, mazzo da 40 carte italiano.
Si sorteggia chi deve essere il banchiere per la prima mano. Il prescelto stabilisce le puntate minime e massime. Quindi mescola, fa tagliare il mazzo e, colloca due carte scoperte verso il centro del tavolo e una scoperta davanti a sè.
Quest’ultima è la carta del banchiere, mentre le prime due sono quelle dove i giocatori possono puntare.
Quando le puntate sono state fatte il banchiere scopre una quarta carta dal mazzo.

– Se essa è uguale a una delle carte dei giocatori, egli vince tutte le puntate messe sulla carta omologa e le incassa.
– Se invece è uguale alla sua carta, egli paga alla pari tutte le puntate messe sulle due carte dei giocatori e il turno di banchiere passa al giocatore seduto alla sua destra.
– Se infine la quarta carta è diversa dalle tre carte scoperte, egli la colloca a fianco delle prime due e anche su di essa i giocatori possono piazzare nuove puntate.

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Zeccheneddére

Zeccheneddére s.m. = Giocatore (di carte)

Se volessi creare un neologismo, direi “zecchinettaio”, definizione che non esiste in italiano.

Personaggio un po’ losco, che dedicava il suo tempo al gioco di carte, dal quale ricavava da vivere spennando gli allocchi, e dotato di indubbia abilità, derivatagli dal continuo esercizio.

Il nome deriva dal gioco d’azzardo zecchenètte= zecchinetta. Ma costui sapeva maneggiare le carte in tutti i giochi che comportavano puntate di denaro (poker, mazzetti, tressette e scopa).

Generalmente questi ultimi due (tressette e scopa) servono solo a stabilire chi debba pagare la bevuta di birra, e si fanno tuttora anche nei bar, non considerati d’azzardo, perché non sono legati alla sorte, ma richiedono anche un po’ di abilità.

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Zecàrle

Zecàrle (o Zi-Càrles.m. = Sigaro.

Da fanciullo ero convinto che derivasse da “Zio Carlo”.

La mia curiosità mi ha spinto un po’ in avanti….

Ho appreso che proviene dallo spagnolo: si scrive Cigàrro e si pronuncia thigàrro, col th sibilante, quasi sigàrro. Questo spiega l’assonanza.

Ovviamente il popolino preferiva acquistare il sigaro lo faceva per spendere poco. Fumava il puzzolentissimo sigaro Toscano. Le Tabaccherie avevano sul bancone una specie di piccola ghigliottina usata per tagliare il sigaro in due metà, o in cilindretti di 2 cm di altezza, da usare uno alla volta per caricare la pipa di creta, preferita dai carrettieri o dai pescatori anziani.

I pregiati sigari Minghetti o Cavour o addirittura gli Avana erano usati solo dai proprietari terrieri locali e offerti ai loro illustri ospiti nei loro possedimenti per mostrare il loro status sociale.

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Ze-rósse

Ze-rósse agg. e s.m. = Fulvo

Al maschile è ze-rósse (con la “ó” pronunciata stretta)
Al femminile fa ze-ròsse (con la “ò” pronunciata larga).

Significato letterale: Zio rosso/zia rossa. Non bastava dire il rosso, o la rossa? Forse perché l’appellativo zio/zia viene rivolto dai bambini riferendosi a persone adulte,  mostrando così una  certa forma di rispetto

Ze’rósse malupüle = Rosso Malpelo, rimasto nella memoria collettiva dal nomignolo affibbiato al protagonista di una novella di Giovanni Verga pubblicata nel 1890.

Sinonimo: Fàcce-canìgghje = Faccia di crusca: Rosso di capelli e con il volto pieno di efelidi (come la crusca).

I “pel di carota”, sono ritenuti soggetti simpatici e speciali.

Salvo alcuni Detti molto distanti dalla mia affermazione: ma non date retta alle malelingue!

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Zàrre

Zàrre agg. = Bacucco

Aggettivo che si usa solo nella locuzione vecchje zàrre, per indicare una persona molto anziana, magari un po’ rimbambita…

l’agg. zàrre è invariabile, mentre il sost. cambia di genere e di numero: ‘u vecchje-zarre, ‘a vècchja zarre, ‘i vjicchje zarre.

In italiano si dice “vecchio bacucco” per indicare un vegliardo rimbecillito.

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Zaràffe 

Zaràffe s.m. = Faccendiere, affarista

Costui si improvvisava mediatore e procacciatore di affari, organizzava incontri, gioco d’azzardo e festini, proponeva locazioni di immobili, procurava facchini, prostitute e falsi testimoni, indirizzava gli automobilisti verso certi meccanici fidati, conosceva i gommisti, i vetrai, i ristoranti e i fittacamere di assoluta fiducia, ecc.

Insomma rispondeva a qualsiasi richiesta, li vedevi spuntare miracolosamente se ti trovavi in difficoltà, per risolvere immediatamente i tuoi problemi. Dietro compenso, naturalmente.

Poco chiaro, un po’ losco, un po’ bandito, spesso e volentieri rifilava un bidone a qualche malcapitato.

Viveva del compenso che riusciva ad ottenere da ognuna delle sue “disinteressate” consulenze.

Il termine ha valenza molto negativa.

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Zappunöte

Zappunöte top. = Zapponeta

Toponimo indicante un Comune, autonomo dal 1975, di circa 3000 abitanti, a spiccata vocazione agricola. Fino a quell’anno è stata una frazione di Manfredonia, da cui dista km 18.

Il toponimo sembrerebbe connesso all’attività di zappatori dei primi abitanti, quando il barone Michele Zezza nel 1768 favorì l’insediamento di un nucleo di braccianti in un suo latifondo, costruendo loro un primo lotto di case.

Altre fonti lo fanno derivare da sappinus (abete), con l’aggiunta del suffisso collettivo –etum. Qualche altro più fantasioso, definì Zapponeta come un luogo dove si zappa e si raccolgono monete, data la straordinaria fertilità del terreno circostante.

Gli abitanti sono chiamati Zappenuddére = Zapponetani.

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Zappenuddére

Zappenuddére agg.,  s.m. = Zapponetano

Abitante o relativo al Comune di Zapponeta.

Il Zapponetaro in genere è considerato dai Manfredoniani un buon lavoratore cui non difetta la moneta. Coltiva intensamente suoi arenili: a rotazione semina e raccoglie pomodori e ortaggi di superficie nella stagione calda, e carote, finocchi, cipolle e patate nella stagione fredda.

Ricordo alcuni ragazzi zapponetari che venivano a Manfredonia a studiare al Liceo e alla Ragioneria. Tra questi ultimi un certo Michele Scommegna. Aveva l´hobby del canto. Facemmo insieme un paio di serate a Vieste e mi sembra a Mattinata. Poi del 1964 ebbe un successo internazionale col nome di Nicola Di Bari.

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