Zóppe-zóppe

Zóppe-zóppe agg. = Intriso, inzuppato, fradicio

Riferito a persona che si è bagnata perché sorpreso dalla pioggia mentre era privo di qls riparo, oppure intrisa di sudore.

Madò, sté zóppe-zóppe de sedöre! Vàtte müte! = Madonna, sei tutto madido di sudore. Va a cambiarti!

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Zómbe-zumbètte

Zómbe-zumbètte  Detto= Salta-saltella.

Gioco fanciullesco.

Il piccolino si pone in piedi su una sedia, con le braccia alzate.
La mamma si mette di fronte a lui con le braccia tese in avanti, e, per invitarlo a saltare, gli canta sul motivo di Giro-giro-tondo, la seguente filastrocca:

Zómbe-zumbètte
e Marüje Alisabbètte.
Zòmbe ‘u matarazze
e la Madonne te pigghje mbrazze!

= Salta, saltella.e Maria Elisabetta. Salta il materasso e la Madonna ti prende in braccio!

Appena terminato il motivetto, il frugoletto si lanciava nel vuoto, certo che sarebbe cascato sulle braccia alla sua tenerissima madre.

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Zómbe 

Zómbe s.m. = Salto

Movimento con il quale ci si stacca dal terreno per ricadervi o nel medesimo punto o anche diverso, o anche su un livello più alto o più basso.

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Zòlla-zòlle

Zòlla-zòlle agg. = Trasandato.

Segno di evidentissima ineleganza, riconducibile al  forzato “casual” degli anni ‘30, quando la miseria non consentiva di vestirsi in modo decente.

Per esempio, si diceva Giuà, te sì vestüte accüme a ‘nu zolla-zolle = Giovanni, ti sei vestito come un barbone!

Ossia con abiti raccogliticci, la giacca di un colore, i pantaloni di un altro, le scarpe di un altro ancora….  Era normale che gli indumenti dei fratelli maggiori passassero in riciclo a scalare, rattoppati fino al loro completo disfacimento, ai fratelli minori.

Mi viene un sospetto: che si tratti di un soprannome, e non di un aggettivo, perché mi ricordo anche che si diceva:”…accüme a Zolla-zolle”, non solo “…accüme a ‘nu zolla-zolle”

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Zöche

Zöche s.f. = Corda, fune

Qualsiasi corda dai Manfredoniani terragni è chiamata zöche.

Faccio degli esempi:
quella utilizzata dalle massaie per stendere il bucato:
quella usata, legata al secchio, per attingere l’acqua dal pozzo;
quella adoperata per suonare le campane della chiesa;
quella impiegata nei giochi fanciulleschi (salto, altalena, tiro alla fune, ecc.)
quella in uso nello sport (salto, alpinismo, sci d’acqua)
quella (brrrr) utilizzata dai suicidi o anticamente per la tortura o per giustiziare i condannati all’impiccagione.

Diminutivo: zuculèlle  s.f. =  cordicella, funicella.  A volte, quasi a indicare uno spago, un laccio si usa il maschile zuculìlle.

Memorabile la frase pronunciata da un tizio che si sforzava di parlare in italiano, quando narrava della sua partenza per Milano, con la “bbalicia attaccata con la zoca”…

In marineria invece si usa un linguaggio più articolato, appropriato allo spessore della corda: sagola, cima, gomena. Non sentirete mai un marinaio usare zöche o peggio còrde.

Trascrivo a proposito di zöche,  quanto ho recentemente letto in rete sui termini spagnoli entrati nei  dialetti meridionali:
«Ebbene, anche il termine “zoca” proviene dallo spagnolo “soga”, con lo stesso significato di “corda, fune”. Si noti questo proverbio identico in spagnolo e italiano: “No se ha de mentar la soga en casa del ahorcado” = “Non si deve nominare la corda in casa dell’impiccato”.»

 

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Zòcchele

 
 

Il topo delle fogne (Rattus norvegicus) è un mammifero roditore simile al topo ma più grande, con muso appuntito e coda rivestita di squame.

È un animale diffuso in tutto il mondo. Apportatore della Leptospirosi, malattia mortale per l’uomo.
Sinonimi: surmolotto, pantegana, martorana

Zòcchele (dal latino sorculam) significa anche donna di malaffare. Con termine ancora più spregiativo  la prostituta di lunga esperienza viene detta zucculöne.

 

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Zìppere 

Zìppere s.m. = Zipolo, Zaffo, Cavicchio, Stecco.

Lo zipolo è un bastoncino di legno con un’estremità leggermente appuntita. È usato specialmente per otturare il foro di spillatura delle botti. Il termine è di origine longobarda e deriva dalla voce antica zippel e dalla sua successiva italianizzazione zippa, che significa estremità appuntita oppure cuneo [da Wikipedia]

Nei lavori campestri prende questo nome uno stecco di legno, anch’esso appuntito, che serve a bucare il terreno per inserirvi i semi di piselli, di fave, ecc.

Dallo stesso etimo origina anche il termine italiano zeppa.

Qualcuno invece di tre sillabe (zip-pe-re) ne pronuncia due  (zìp-pre). È accettabile, specie se si volge al diminutivo zippretjille = stecchino, virgulto secco.

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Ziòlle

Ziòlle s.f. = Zia, zietta

Sorella di uno dei genitori, considerata rispetto ai loro figli; moglie dello zio.

Ziolle è un diminutivo affettuoso dei nipoti. L’italiano zietta non rende bene il sentimento che traspare dall’appellativo nostrano.

Quando il nome della zia è sottinteso, si dice Ziolle. Quando si antepone al nome proprio si pronuncia Ziolla.

Qlcu dice che è designata con questo appellativo solo la zia maggiore, o più anziana rispetto alla madre dei nipoti. Io personalmente chiamavo così tutte le sorelle di mio padre: Ziolla Rachelüne, Ziolla Felumöne, Ziolla Marüje, Ziolla Seppüne, indipendentemente dalla loro età.

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Ziéne

Ziéne s.i. = Zio, zia, zii, zie

“Il fratello del padre o della madre, rispetto ai figli di questi: zio paterno, da parte di padre; zio materno, da parte di madre | ( estens.) marito della zia | gli zii, lo zio e la zia”

Questa descrizione del vocabolario della lingua italiana mi va un po’ stretta…

Ritengo che gli zii, e specialmente le zie, siano per i loro nipoti persone molto più indulgenti e accattivanti dei propri genitori (che devono essere istituzionalmente e giustamente più severi).

Dal punto di vista grammaticale, in dialetto il termine ziène è del tutto invariabile.
Dall’articolo si deduce se è maschile, femminile, singolare o plurale.

Per l’attribuzione della parentela c’è tutta una classifica. Vediamo insieme:

Mio zio = ziàneme, ‘u ziéne müje
mia zia = ziàneme, ‘a ziéna möje
tuo zio = ziànete, ‘u ziéne tüje
tua zia = ziànete, ‘a ziéna töje
suo zio = ‘u ziéne süje
sua zia = ‘a ziéna söje
loro zio = ‘u ziéne löre
loro zia = ‘a zièna löre
i loro zii = ‘i ziéne löre
le loro zie = ‘i ziène löre

Se in forma aggettivale precede il nome proprio (esempio: lo zio Matteo), si usa ‘u zzüjeper il maschile e ‘a zzüja per il femminile.

Famme sapì quanne vöne ‘u zzüje Mattöje = Fammi sapere quando verrà zio Matteo.

‘A zzüja Marüje uà passé giuvedì = La zia Maria deve passare (passerà) giovedì

Rivolgendosi ad una persona avanti con gli anni che non si conosceva, si diceva: Ze-züje= Zio.
Ovviamente era una forma di rispetto per l’età, e poi non era lecito dare del tu agli anziani. Ze-züje, segnerüje add’jì ca jàvete? = Buon uomo, voi dove abitate?

Ultimo avviso di carattere fonetico: mentre in italiano la zeta è sorda (pronuncia di pezzo) in dialetto è sonora (come in azzurro)

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Zìcche-zìcche

Zìcche-zìcche agg. = Preciso, esatto.

Della misura precisa, che ha giustezza ponderale, cromatica, dimensionale rispetto ciò che ci si aspettava.

Me sò museréte i scarpe töje, e me vanne zìcche-zìcche = Ho misurato le scarpe tue, mi calzano a pennello.

Va bene anche detto ironicamente quando qualche sciocco si paragona ad altri che hanno doti chiaramente più eccelse.

Je sacce candé téle e quéle a Pavaròtte! – Sì. Zìcche zìcche, nen te manghe njinde… = Io so cantare proprio come Pavarotti! – Sì, nello stessa maniera, non ti manca niente…

Il prof. Michele Ciliberti  dice che l’etimologia è dal latino sic sic, cioè “così così”!

Nota fonetica:
La “z” va pronunciata sorda (come marze = marzo) e non sonora (come zöre = zero). Vedi la differenza di pronuncia tra zìcche-zìcche e ‘nzìcchete-‘nzìcchete.

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