Zumbafùsse 

Zumbafùsse agg. = Saltafosso.

È un agettivo scherzoso per definire un pantalone troppo corto rispetto alla lunghezza delle gambe della persona che li indossa. Quindi pantalone corto sì, ma non nel senso di pantaloncino.

‘U cavezöne a zumbafùsse = Il pantalore a mezz’asta.

Succedeva quando i ragazzi adolescenti crescevano rapidamente, e i loro pantaloni dell’anno precedente purtroppo non crescevano anch’essi in lunghezza.

In ristrettezze economiche o lo si passava al fratello minore, o lo si lasciava indossare ancora una stagione in modo da farlo logorare completamente .

Quindi gli adolescenti della mia epoca e delle precedenti avevano molto spesso i pantaloni a zumbafùsse.

Qualcuno, ricordando un certo Raffaele, detto Lallüne, che portava perennemente i pantaloni in cotal guisa (vi piace cotal guisa? eh eh eh…), ha definito lo stile “a mezz’asta” con questo nome, che forse è ancora usato ai giorni nostri: ‘U cavezöne alla Lallüne = Il pantalone alla maniera di Raffaele.

Anche le mutande da uomo con la gambetta (ora si chiamano box) scherzosamente erano chiamate‘u cavezunètte a Lallüne = La mutanda (alla maniera di) Raffaele.

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Zuì-zuì

Zuì-zuì s.m. = Cordite

La cordite è un esplosivo senza fumi, a base di nitroglicerina, nitrocellulosa ed oli minerali, usato essenzialmente per le cariche di lancio delle artiglierie navali (Wikipedia).

Il nome deriva dal fatto che tale sostanza è spesso prodotta in fili, tubi, o cordicelle. La cordite fu sintetizzata sul finire del XIX secolo, dai chimici inglesi James Dewar e Frederick Abel, modificando opportunamente un esplosivo simile, chiamato balistite, che si usa nelle cariche di lancio armi da fuoco. (Sapere).

Qualcuno si chiederà come mai il compilatore di questo vocabolario, pur non essendo artificiere, sa dell’esistenza della cordite, e perché la chiama zuì-zuì ( va bene anche la grafia zuzzuì e zuìzzuì).

Bisogna tornare indietro nel tempo, nella seconda metà degli anni ’40. Allora venivamo fuori dalla guerra e la gente per portare la pagnotta a casa si ingegnava in mille modi. Uno di questi era di ricuperare materiale bellico sparso nelle campagne. Fra questi c’erano anche proiettili di mitraglia, bombe inesplose, cassette metalliche contenitori di cartucce, ecc.

Gennarüne ‘i pèzze vjicchje, noto rigattiere, comprava di tutto! Piombo, ottone, rame, ferro vecchio, ecc. ma il materiale esplodente no. Allora quelli che avevano raccolto materiale balistico, staccavano la pallottola dal bossolo dei proiettili e ricuperavano l’ottone e il piombo per venderli a Gennarino. Le stecche di cordite venivano abbandonate perché di nessun valore.

Qualcuno ha scoperto che dando fuoco, uno per volta, a questi “stecchini”, una specie di spaghetti, dopo un secondo sfuggivano di mano sibilando e zigzagando per l’aria, ad altezza bambino, fino ad esaurimento della cordite di cui erano composti. Questo saettare è stato battezzato, con un termine onomatopeico, zuìzzuì . Un prodotto bellico era diventato in mano a noi un mezzo di divertimento.

Zuì-zuì jind’a buttìgghje. Qualche birbante gli dava fuoco tenendolo in una bottiglia. Il botto era assicurato! Il rischio per l’integrità dei nostri occhi era moltiplicato per cento. Ma l’Angelo Custode esiste davvero, se siamo qui a raccontare le nostre marachelle.

Grazie al lettore Enzo Renato che mi ha dato lo spunto per la stesura di questo articolo.

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Züche 

Züche s.m. = Sugo, intingolo, condimento

Salsa, perlopiù a base di pomodoro, per condire le pastasciutte.

È sinonimo di rajó = ragù.

Le generazioni moderne dicono ‘u süche. Io personalmente preferisco la dizione antica di züche.

La lunga tradizione meridionale richiede una lunga cottura possibilmentre il tegame di terracotta sul fuoco del braciere. Soffritto di cipolla e lardo addaccéte in olio di oliva, carne ovina, bovina e suina, conserva di pomodoro.

In assenza di carne si chiamava zucarjille o züche fìnde.

Insomma era un vero rito domenicale. Il suo profumo si spandeva per casa e per strada.

Se penso ai sughi pronti di adesso, in barattolo, di latta o di vetro, ad uso dei singles o delle massaie frettolose, mi prende un’irrefrenabile malinconia.

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Zuché 

Zuché v.t. = Succhiare

Si può anche usare, come per molti verbi dialettali, la versione “prolungata” zuchéje.

Specificamente, aspirare un liquido stringendo le labbra sul punto da cui può fuoriuscire.

Zuché ‘u ciuccètte = Succhiare dal biberon.

Fà ‘u pertüse all’ùve e züche, ca jì frìške!= Fa’ un forellino al guscio dell’uovo e succhia, perché è fresco!

Il sinonimo surchié si riferisce a tirar su col naso quando si è raffreddati o quando si piange. È un atto da bimbetti non da persone ben educate.

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Zucculié 

Zucculié v.i. = Aggirarsi maliziosamente

Girare con insistenza intorno a un luogo alla ricerca di qlco o di qlcu per concludere affari un po’ loschi.

Add’jì ca jéte zucculiànne? = Dov’è che andate aggirandovi?

Etimo incerto: probabilmente si riferisce alle zoccole (Surmolotti), topi delle fogne, che escono prevalentemente di notte.

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Zucchelatüre 

s.f. = Battiscopa

In dialetto non era proprio il battiscopa, perché, almeno fino agli anni ´50 esso era sonosciuto.

Invece della striscia in legno, marmo, plastica, alla base delle pareti interne delle case, si dipingeva una doppia passata di colore piú scuro di quello del muro, con funzione protettiva o decorativa.

La zucchelatüre poteva essere dipinta con funzione puramente decorativa anche in alto sulla parete, prima dell´inizio del soffitto, come una specie di cornicetta dipinta di marrone scuro.

I pittori decoratori, come il famoso maestro Gelsomino, erano molto bravi a tracciarla col pennellino, a mano, bella uniforme, sempre dello stesso spessore, alla stessa altezza per tutto il perimetro della stanza.

Il nome deriva da zoccolo, base su cui poggia qualcosa.

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Zorrètte 

Zorrètte sopr.,. = Zorro, personaggio hollywoodiano.

Piccolo e grazioso Zorro, personaggio avventuroso del cinema prima e della TV dopo.

Un Manfredoniano fantasioso, appassionato di sagre e Carnevale, tutti gli anni si travestiva rigorosamente da Zorro. Qualcuno gli affibbiò il simpatico nomignolo di Zorrètte.

Chicca: gli piaceva anche far mascherare (e far fotografare) anche i suoi nipoti con gli abiti da Zorro

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Zórre

Zórre s.m. agg. = Caprone, irco

Il maschio della capra è ritenuto cocciuto, bizzarro, imprevedibile, caparbio, ostinato.

Come aggettivo calza bene al caparbio quando prende una decisione improvvisa, agisce d’istinto, e non si fa distogliere minimamente e ammurröje accüme a ‘nu zórre = carica come un caprone.

Ammurröje è la terza persona singolare del verbo (clicca→) ammurré.

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Ammurré

Ammurré v.i. = Impuntarsi, incaponirsi, recalcitrare

Ostinarsi con caparbietà, impuntarsi, recalcitrare.

Il verbo deriva dal latino ad murra (minerale duro usato anticamente per fare vasi e coppe).

Uì, ò ‘mmurréte cum’a ‘nu müle! = Eccolo, si è ostinato come un mulo. Si è impuntato. Non vuole ascoltar ragioni.

Ammurré significa anche agire  in un modo irrazionale e non condivisibile, seguendo spazientiti il proprio istinto irruento.

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Zórle

Zórle s.f. = Vivacità irrefrenabile.

Incontenibile, allegria, scherzosità, ilarità, vivacità

Stàteve söte! E che v’ho prgghjéte jògge, a zórle? = Statevi quieti! E che vi è preso oggi, la voglia matta di giocare?

Il sostantivo deriva dal verbo zurljé, giocherellare festosamente.

Quanne accumènzene a zurljé nen la fenèscene cchjó = Quando cominciano a giocherellare non la finiscono più.

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