Na mamme cambe a cjinte figghie, e ccjìnde figghje nen gàmbene a ‘na mamme 

Na mamme cambe a cjinte figghie, e

ccjìnde figghje nen gàmbene a ‘na mamme

Una  madre è capace di allevare e badare a cento figli, mentre purtroppo non sempre avviene la stessa cosa da parte dei figli verso la loro mamma quando diventa anziana, specie se non è più autosufficiente.

Il numero cento è un’iperbole per indicare una pluralità in contrapposizione all’unità.

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Ciócce ne jì, ca töne i corne…

Ciócce ne jì, ca töne i corne,

vöve ne jì, ca töne ‘a chése.

Sammecöle de Monde

e Madònne de Sepònde,

salvàteme da ‘sta bbestia feröce!!!

Ciuco non è, perché ha le corna, bove non è perchè ha la casa.
San Michele di Monte e Madonna di Siponto, salvatemi da questa bestia feroce!

Soluzione facile facile.

Ringrazio Salvatore Casalino dal quale ho ricevuto il suggerimento.

 

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Stïpe ca trùve

Stïpe ca trùve  prov.

Alla lettera: Stipa che trovi.

Va bene anche la grafia omofona (dallo stesso suono)  Stüpe ca trùve

È un Detto sintetico ed efficace. Significa:  mettilo da parte perché potrebbe tornarti utile.

Quando il lavoro artigianale era fiorente, i ragazzi di bottega tendevano a buttare via degli spezzoni di stoffa, di ferro, di legno, di cuoio, a seconda genere di attività svolta del loro Maestro.

La risposta era scontata.

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Se ‘u mbrjiste jöve bbune, ce mbrestarrìnne püre ‘i megghjöre

Se ‘u mbrjiste jöve bbune, ce mbrestarrìnne püre ‘i megghjöre 

Il concetto del Proverbio si esprime meglio in questa frase:

Se la pratica di concedere prestiti fosse davvero una cosa buona, si presterebbero perfino le mogli.

Meglio non fidarsi dei creditori. Prudenza, sempre..

Con “prestito” non si intende parlare solo di denaro, ma anche di oggetti vari.

Sapeste quanti libri, spartiti musicali, lime, cacciaviti, borsoni, ombrelli, prolunghe elettriche, uova, riduttori Schuko, ecc. non sono più rientrati, nonostante avessi ribadito alla consegna l’ovvio concetto che quegli oggetti chiamassero “Pietro” (e che quindi erano destinati a ritornare indietro).

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Cavalle de carrozze: bböna giüvendó e mala vecchjéje

Cavalle de carrozze: bböna giüvendó e mala vecchjéje prov.

I cavalli più belli (quelli destinati al tiro delle carrozze signorili) in gioventù, nello splendore della loro vigoria, sono trattati molto bene. Disgraziatamente  in vecchiaia vengono trascurati e se la passano male.

Purtroppo la stessa cosa, di frequente, accade per le persone anziane. Da giovani sono individui utili, produttivi, riveriti, ma da vecchi sono spesso trascurati se non del tutto abbandonati.

Cantava Modugno: “Il vecchietto dove lo metto?”. Amara realtà.

Ringrazio Michele Granatiero che mi ha dato lo spunto per farmi comporre questo articolo.

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Cazze-cazze

Cazze-cazze sopr., loc.id.

Il curioso soprannome fu affibbiato ad una certa Angela-Maria, quindi passata nella memoria collettiva come ‘Ngiamarüje cazze-cazze, la quale usava questo simpatico intercalare, qualsiasi frase uscisse dalla sua bocca.

Rivolgendosi ad un’amica, si lamentava che  – era quasi l’ora di pranzo – e suo marito Calogero non tornava a casa. Venne fuori un memorabile florilegio:

«Jogge Calògge, (cazze), c’jì fatte mezzjurne,(cazze) e códde (cazze), angöre nen ci’arretüre, (cazze!)» = Oggi Calogero ***, si è fatto mezzogiorno ***e costui *** non è ancora rincasato***

Una volta il Vescovo andò una Parrocchia in visita pastorale. Il Parroco, conoscendo il suo intercalare, le raccomandò di non avvicinarsi troppo al Presule. Ovviamente il Monsignore a chi si rivolse quando fu attorniato dai fedeli?  Alla nostra ‘Ngiamarüje!  Non credo che costei si sia fatto scrupolo di mitragliare il Pastore di cazze cazze!

Un altro uso di cazze-cazze  si ha quando si vuol dare un po’ di “colore” all’equivalente e più castigata locuzione (clicca qui→)  rè-rè, nel senso di mettersi in bella mostra, in evidenza, mostrarsi, intromettersi.
Mò ce ne vöne jìsse, cazze-cazze, e völe avì püre raggiöne = Ora se ne esce lui, bello bello, e vuol aver anche ragione.

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Quanne ‘u ciócce nen völe böve, evògghje a frešché

Quanne ‘u ciócce nen völe böve, evògghje a frešché

Quando l’asino non vuole bere, è inutile fischiare.

Figuratamente si cita questo Detto quando i consigli elargiti, gli incarichi assegnati  o gli ordini impartiti non ottengono l’esito cercato.

Origine del Proverbio, diffuso in tutto il mondo rurale del Sud Italia:

Il contadino che si serviva dell’asinello per i suoi lavori, durante le pause conduceva l’animale presso un abbeveratoio per consentirgli di rifocillarsi.

Per impartirgli i vari comandi, l’uomo  emetteva brevi  segnali vocali (àaah, ìiih, èrre-gghjàa) o anche dei fischi, brevi o lunghi che erano ben recepiti dalla bestiola.

Ma talvolta, davanti alla pila, nonostante i ripetuti e pecifici fischi invitatori, l’asino caparbiamente non si china a bere.

Nel Potentino il Detto conclude: riscë ca r’acqua è trobbla.= dice che l’acqua è trobida.

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Cìcce cummanne a Cöle, e Cöle cummanne a Cicce

Cìcce cummanne a Cöle, e Cöle cummanne a Cicce prov.

Questo Detto si i riferisce a persone che provano ad svincolarsi dai proprî obblighi e doveri, e tentano di farli ricadere sugli altri.

Antichissimo e antesignano modo di illustrare il moderno “scaricabarile” citando nella traduzione Francesco (Ciccio) che comanda Nicola (Cöle) e Nicola che comanda Francesco. Alla fine nessuno dei due si mette all’opera.

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Zingramjinde

Zingramjinde s.m=  Pettegolezzo

Esiste anche la variante zingarüje s.f.

Serie inopportuna e indiscreta di pettegolezzi, bugie e malignità continue e insistenti, tesi a mettere in cattiva luce qualcuno/a.

Ovviamente colui che mette in atto queste chiacchiere maligne è definito zìnghere o zingaröne, ossia zingaro,  univocamente considerata persona inaffidabile, scaltra, imbrogliona.

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