Vandasciòtte

Vandasciòtte agg. = vantatore, borioso, spaccone, vanaglorioso, millantatore, vanitoso.

Persona che usa vantarsi e attribuirsi, in ogni suo dire, di qualità o gesta del tutto eccezionali e superiori a quelle di chiunque.

Qualità o azioni non motivate né tanto meno riconosciute dagli astanti né dagli assenti.

Forse qualcuno lo asseconda, solo per educazione, ma in fondo non dà credito alle sue castronerie (vi piace questa parola?), consapevole che sono esagerazioni belle e buone.

Sinonimi (cliccare sui singoli termini):
Fé sèmbe l.’ùve a düje rósseesempio concreto,
Grannezzüse, maniaco di grandezza
Sbafandüse. un po’ vintage e il più simpatico.

Ho scoperto casualmente che lo stesso termine è usato anche a Cerignola, e con qualche piccola variante (vantaiuotte) anche in altri paesi del sub-appennino dauno.

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Fé sèmbe l’úve a ddüje rósse

Fé sèmbe l’úve a ddüje rósse loc.id. = Essere gradasso, spaccone

Alla lettera: fare sempre l’uovo con due tuorli.

Una cosa possibile, ma piuttosto rara. Invece quando qualcuno si vanta di fare sempre cose mirabolanti bisogna diffidare.

C’è sempre qualcuno, in ogni cerchia di persone (al bar, tra amici, alla spiaggia,  al circolo, alla sede di un partito, in parrocchia, al dopolavoro, ecc.) che è esagerato in ogni suo racconto, quando parla di donne, di caccia, di pesca, di pranzi, di professionalità, di furbizia, di abilità al volante, di potatura degli ulivi, di preparazione del limoncello, ecc

Ovviamente parla in prima persona…. come per sottolineare “come me non c’è nessuno”, “io so’ io, e voi non siete un cà”, insomma una perona insopportabile.

Sinonimi (clicca→) Sbafandüse, (clicca→) Grannezzüse (clicca→) Vandasciotte

 

 

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Aggemendé

Aggemendé v.t. = molestare, importunare

Corrette anche le altre versioni gemendéje, ggemendé,  aggementé e aggemendéje

Un verbo niente affatto simpatico,  perché infastidire, importunare, tormentare qlcn può sfociare nel reato di “bullismo” o, peggio, di mobbing (molestie e minacce) purtroppo diffusisi in questi anni.

Nen gemendànne ‘u chéne, ca dorme, ca códde te mòzzeche = Non molestare il cane che dorme, perché quello ti morsica!

Maèstra, Giuànne m’aggeménde! = Maestra, Giovanni mi disturba.

Ne stanne a ggemendé i crestiéne! = Non infastidire (continuamente) le persone!

In questo caso anche “le persone” è un modo generalizzato per indicare se stesso, come vittima paziente  del rompiscatole.

Non riuscivo a trovare l’etimologia di questo termine. Una cosa è certa: gemendé non deriva dal sostantivo cemento!

Ecco che arriva la risposta del prof. Michele Ciliberti al quale rivolgo il mio vivo ringraziamento:
«Deriva dal latino “cimentare” col significato di provocare, sfidare. Oppure da “gemere” transitivo, cioè “far piangere qualcuno”, quindi, infastidire.»

Sulla variante aggementé derivata dalla locuzione latina ad+cimentare, la prof. Carmela Ognissanti conferma il significato, cioè quello di «attribuire considerazioni, riflessioni proprie negative ad un’altra persona.»  Grazie.

Insomma l’aggemendatöre è un autentico rispiscatole.

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Jì a Nàpele pe ‘na rapèste

Jì a Nàpele pe ‘na rapèste

Alla lettera significa: Andare a Napoli per (comprare) una rapa selvatica.

Il termine rapesta deriva dal latino rapistrum ed indica proprio la rapa, un ortaggio povero e di poco sapore tanto da esser passato ad indicare una persona sciocca ed incompetente (testa di rapa).

Metaforicamente vuol dire: Affrontare un progetto oneroso e impegnativo e ottenere un risultato del tutto insignificante.

Canzonando l’allievo, il maestro artigiano, visto il risultato scarso alla fine della giornata, gli profferiva questa simpatica locuzione: sì jüte a Nàpele pe ‘na rapèste!. Ossia: hai speso tutto il tuo impegno e alla fine hai ottenuto un risultato irrisorio.

Qualcuno, in maniera simile, afferma che Capacchione jètte a Nàpele pe ‘nu cappjidde (o in maniera meno rozza cappjille) andò da Manfredonia fino a Napoli solo per comprare un cappello.

I Napoletani invece… vanno a Porto! (clicca→) Jì a Puorte pe na rapesta,

Ne valeva la pena?

In  italiano si dice: “il gioco non vale la candela” oppure “la spesa non vale l’impresa”.

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Pùrche p’u cumbètte ‘mmocche (‘u)

Pùrche p’u cumbètte ‘mmocche (‘u) Prov. 

Il porco con il confetto in bocca . In effetti il confetto in bocca al maiale è inadeguato o sprecato, perché il suino è abituato a mangiare ben altre sozzerie.

Si cita questo Detto quando si vuole additare qualcuno che non si trova a proprio agio o non è adatto a sostenere o ad affrontare situazioni o circostanze inusuali o superiori alla sua capacità.

Questo Detto è simile all’inadeguatezza del noto “asino in mezzo ai suoni” o a quella della “chitarra in mano ai cafoni“.

Scherzosamente si indicava ad es. qualcuno che, mentre gli amici sono in jeans e maglietta al bar o dal barbiere, si presenta in bottega con abito elegante, giacca e cravatta.

 

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Ammeràrece au spècchje

Ammeràrece au spècchje loc.verb. = Specchiarsi, guardarsi allo specchio.

Viene chiaramente dallo spagnolo mirarse en el espejo, guardarsi allo specchio.

Sté sèmbe ammeràrece au spècchje = sta sempre a guardarsi allo specchio.

Ammìrete au spécchje, nen vïde quèdda macchje ‘mbacce u cullétte?   (Sp. Mírate) = Guardati nello specchio, non vedi quella macchia sul colletto?

 

Ha poca attinenza col verbo italiano “ammirare”, che si traduce con apprezzé, respetté

 

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Pescetjille e cannócce 

Pescetjille e cannócce  loc.id. = Sciochezze

Alla lettera significa pesciolini e cannucce (da pesca)

Si cita questa locuzione per dire che stiamo parlando o siamo di fronte a persone o a fatti di scarsa rilevanza.

Sò robbe de pescetjille e cannócce = sono discorsi trascurabili, di nessuna importanza.

Chiaramente è gergo marinaresco, perché si parla di pesci e di canna da pesca, di dimensioni ridotte, usati come termini di paragone per confrontare altre piccolezze umane o  argomentazioni insufficienti, o  risultati inadeguati alle aspettative.

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Tubbètte

Tubbètte s.m. = Ventosa di molluschi, cartuccia

Questo sostantivo ha due significati:

1) Ciascuna delle ventose che si trovano per tutta la  lunghezza tentacoli dei polpi, ben evidenti su due file.

Sui moscardini invece sono disposti su una sola fila.

Quelli delle seppie, dei calamari, e dei totani quantunque su due file, sono molto più piccoli

 

2) Fondello della cartuccia per fucile da caccia. Generalmente è di ottone o metallo non ossidabile e contenente l’innesco.
Sul fondello si inserisce il bossolo di cartoncino duro, o di plastica, contenente i pallini.

Per estensione dicendo tubbètte i cacciatori intendono la cartuccia intera non solo il fondello.

 

Esiste una specie di gioco/sfottò volgare che nomina questo tubbètte. È un dialogo tra una ragazza e il suo focoso innammorato.. Il nome maschile è adattato (Giuànne, Mecöle, Frangìsche, Tonüne, Lorènze, ecc.) di volta in volta dalla donzella che inizia il giochino.

Lei, orgogliosa: Mattöje jì ‘u müje!.(Matteo è mio)

Lui, ansioso: Accüme jì ‘u tüve? (Come è tuo?)

Lei, allusiva: Arméte.(Armato)

Lui, curioso: Che arme porte? (Che armi porta?)

Lei, maliziosa: Arme e tubbètte.(Arma  e cartucce)

Lui, rapido e conclusivo: Appuppe ‘u cüle,ca mò te lu mètte!..(Disponiti per una penetrazione)

Scusate la frase conclusiva esplicita del dialogo, ma io qui ho semplicemente riportato ciò che le mie orecchie innocenti ascoltarono molte vole durante la mia adolescenza..

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Rìnje

Rìnje oppure arìnje s.f. = Origano

L’origano comune (nome scientifico Origanum vulgare, è una pianta perenne aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae (da Wikipedia).

È una pianta infestante, che attecchisce facilmente nei terreni collinari o sassosi.

Si utilizza come pianta aromatica, spiluccandone le foglioline e la cima essiccate, nella cucina mediterranea.

Immancabile sulla pizza, e in intingoli con pesce o carne

Se occorre l’articolo scrive in due modi diversi per l’omofonia (la rìnje o l’arìnje).  Nella frase che non richiede articolo prevale rìnje.

Per esempio: 

Accattéme l’arìnje (o la rìnje o ‘a rìnje)
Mìtte ‘nu pöche de rìnje.

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