Abburrì 

Abburrì v.t.. = Esasperare

Perdere la calma, arrivare al colmo dell’irritazione

‘Sti uagnüne m’hanne abburrüte = Questi ragazzini mi hanno esasperato.

È simile all’italiano “aborrire” ma in lingua significa odiare, detestare, esecrare.

Ha una chiara origine dal verbo spagnolo aburrir = annoiare, tediare, ma col significato più intensivo.
Difatti abbiamo i derivati  spagnoli aburrido, aburrimiento, rispettivamente tradotti in dialetto in abburrüte  e  abburremjinde (←clicca).

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Abbunéte

Abbunéte agg. = Ingenuo, bonaccione

Detto di chi è eccessivamente ingenuo, sì da sembrare di poco senno.

Che non ha malizia, che agisce con ingenuità, semplicità, dabbenaggine, alla buona.

Ovviamente da non confondere da chi è abbonato a un giornale o alle corse degli autobus.

Per evitare confusione suggerisco la locuzione: tenì l’abbunamènde au..giurnéle, au tröne, alla cerculére = Aver l’abbonamente al..giornale, al treno, alla circolare.

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Abbùne-abbùne

Abbùne-abbùne loc.idiom. = Senza aspettarselo,

Si dice questa locuzione quando qlcu inaspettatamente si intromette nei nostri affari, e magari ne distoglie il fine, o devia l’attenzione, o rimprovera, percuote, urla, ecc.

Stöve tanda-bèlle camenànne: abbune-abbune c’jì avvecenéte ‘na maskere e m’ho ‘nghiute di curiànde = Stavo tranquillamente passeggiando quando si improvvisamente si è avvicinato qlcu mascherato e mi ha riempito di coriandoli.

Abbune-abbune so’ cadute ‘ndèrre. = Senza che me l’aspettassi sono caduto per terra.

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Acciuppenéte

Acciuppenéte agg. = Paralizzato, immobile

Accettabile anche la versione acceppenéte

L’aggettivo si riferisce a persone che non possono muoversi autonomamente, e vivono purtroppo sempre a letto o sulla sedia a rotelle.

Sògreme sté acceppenéte ‘nda ‘nu ljitte e ce so’ japjirte i chjéje! = Mia suocera è immobile in un letto e le si sono aperte le piaghe da decubito.

Deriva dal verbo acciuppenàrece= diventare come un ceppo, duro e immobile.

Talvolta usato dalle nostre mamme come iperbole per indurci a frenare la nostra esuberanza.
Stàtte ‘nu pöche acciuppenéte söpe a ‘sta sègge! = Stai un poco fermo e seduto su questa sedia!

Il prof Ciliberti, cui va il mio ringraziamento, mi fornisce l’etimologia: proviene dal latino “ad cippum“, cioè “stare al ceppo” legato e immobile ad un palo, ad una colonna. Molti condannati venivano legati a una colonna ed esposti al pubblico ludibrio.

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Abbunàneme

Abbunàneme s.f. = Buonanima

Allorquando, nel corso di una conversazione, si nominava una persona deceduta, si diceva abbunàneme de … = la buon’anima di… , in segno di rispetto verso l’anima del defunto.

Me so’ sunnéte abbunaneme di pàteme….
Oppure: Me so’ sunnéte a pàteme, bbunàneme invece di abbunàneme.

Perché si è usata o si usa ancora tanta riverenza verso il defunto, era obbligatorio? Al Nord dicono “il povero Tizio”, “la povera Tizia”

Questa la mia opinione (opinabile): ritenendo che l’anima della persona si trovasse alla presenza del Creatore, la nostra chiamata in causa lo avrebbe sicuramente distolto per farlo avvicinare alla vacuità delle nostre povere chiacchiere.

Ovviamente la nostra intromissione sarebbe stata inopportuna perché è irriverente verso Dio.

Al femminile suona abbonàneme o bbonàneme

Quando si nominava una persona deceduta in giovanissima età, si usava al maschile benedìtte  o al femminile  benedètte.

Döpe tand’anne, mamme pènze sèmbe alla benedetta Luciüje = Dopo tanti anni (dal decesso), mamma pensa sempre alla povera Lucia.

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Mìttele a nöme: “nen ce penzànne”

Mìttele a nöme: “nen ce penzànne” loc.id. = Rassègnati per la perdita del tuo credito

Alla lettera significa: Mettigli il nome: “non pensarci”

È un’esortazione  che si rivolge a qualcuno, in via amichevole, quando ci confida di temere per i suoi vecchi crediti in sofferenza, dopo aver constatato tardivamente l’insolvibilità del debitore.

Purtroppo è l’unico consiglio che si può dare ad un amico creditore che aspetta il rimborso da qualcuno, e che vede affievolirsi le speranze di ricuperare il duo avere, per l’evidente stato di insolvenza del debitore. Insomma un invito alla rassegnazione.

Il debitore insolvibile è colui che, per fortuna solo figurativamente, fé i büche ‘nghépe = fa i buchi in testa, oppure che làsse ‘i fusse = lascia i fossi, nel senso che lascia diversi conti in sospeso presso tante persone e non poi paga a nessuno.

In contabilità questi crediti si definiscono “in sofferenza” o “in contenzioso”. Nella vita reale si chiamano mìttele a nöme:”nen ce penzanne” = mettici una pietra sopra e non pensarci più, altrimenti ti rodi il fegato inutilmente.

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Pöse cchjù ‘ssé ‘nu quìnde ‘ngüle ca ‘nu cundéle ‘ngùdde

Pöse cchjù ‘ssé ‘nu quìnde ‘ngüle ca ‘nu cundéle ‘ngùdde  prov,

Pesa assai di più un quinto (200 grammi di cacca) in culo che un quintale (di altra merce) addosso.

Quando l’intestino chiama…bisogna correre.

Difatti si usa la locuzione(clicca→) córre-córre proprio per indicare l’impellenza.

Il proverbio, saggiamente, suggerisce di non trattenersi a lungo, perché può succedere il patatrac! Quei 200 grammi pesano troppo!

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Caccé ‘i carte

Caccé i carte loc.id.,= Procurarsi una serie di documenti.

Quando una coppia decide di contrarre matrimonio, deve produrre una nutrita documentazione necessaria per le formalità di carattere civili e/o religiosi.

I nubendi (vi piace questo sostantivo?) devono esprimere in Comune la Promessa di matrimonio, ottenere il Nulla-Osta, provvedere alle Pubblicazioni in Comune o in Parrocchia e ottenerne la dichiarazione di avvenuta pubblicazione e probabilmente a richiedere altri Certificati vari.

Il tutto si intende con la sintetica locuzione caccé ‘i carte.

Costruito probabilmente sulla traccia del francese cartes = carte e papiers = documenti

 

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Munezzére

Munezzére o munezzéle s.m. = Immondezzaio, discarica

Grande deposito a cielo aperto ove si conferisce la spazzatura di uno o più centri abitati.

Le discariche ora sono regolate da normative molto rigide per evitare inquinamento delle falde acquifere del sottosuolo.

Quando le mamme vedevano troppo disordine nella camera dei figlioli esclamavano:
E che àmme fatte quà,’u munezzére? = E che abbiamo fatto di questa camera, un immondezzaio?

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