Don Camìlle

Don Camillo il candido

Don Camìlle jètte a Monte, 

e truàtte ‘na sèrpa morte. 

Ce credöve ca jöve n’anguille.

Oh, che pìzze de don Camìlle!

Don Camillo (non si sa se era un prete o un signorotto del posto) andò a Monte Sant’Angelo e [lungo la strada] trovò una serpe morta. Credette che era un’anguilla. Oh che pezzo di [semplicione è quel] Don Camillo!

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Ungiüne

Ungiüne   s.m. = Bastone a uncino

L’amico Enzo Renato mi ha dato lo spunto per questo articolo. Utilizzo copiando alcune sue righe, sperando che non mi denunci per plagio.

«…L’ungiüne è un bastone ricavato dalla biforcazione di un ramo alberello. Un braccio di lascia lungo, e fungerà di appoggio e l’altro corto, per il manico.  Tipico bastone per adoperato per svariati utilizzi.

Per uso  agricolo: cattura e abbassa i rami per facilitare la  raccolta di frutti alti, come nel fico, nei fichi d’india

Per uso pastorale: per appoggio e per catturare gli animali dalla caviglia.

Particolarmente resistente e forte deve essere però ricavato dal mandorlo, dal pero, dal susino, dall’albicocco; un po’ meno dall’olivo giacchè troppo eslastico e con troppi nodi e occhi sulla superficie, a meno che non venga messo a mollo per giorni e poi pelato a coltello.

Particolarmente apprezzato ‘u ngiüne a paròcche.(←clicca)   Alla sommita dei due bracci (quindi sul manico) è una grossa e tondeggiante sporgenza, un pomo, determinato proprio da un nodo del legno all’incrocio dei due rami a V.

Stessi concetti per il corno a V della fionda (a furcenèlle)(←clicca): ai due rami vengono annodate due banderelle di camera d’aria rosse di bicicletta, unite da un rettangolo di cuoio o tomaia.»

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Ammazzé i frajùle

Ammazzé i frajùle loc.id.= Cessare il lavoro

Ammazzé significa fare un mazzo, stringere insieme, fare un fascio. Mentre frajùle è un termine generico e può significare:  attrezzi dotati di manico (pala, zappa, rastrello, ecc.).

Quindi questa locuzione indica il termine del lavoro, o perché è finita la giornata, o perché si è ultimata l’opera. Ordinare gli attrezzi (zappa, rastrello, vanga, ecc.) in modo che siano pronti per il successivo utilizzo.

Meh, ammazzéme ‘i frajùle e jémecìnne = Beh, chiudiamo tutto e andiamocene.

Esiste anche una locuzione che indica la stessa operazione: 
Arrezzeljè i fjirre
= Ordinare, rassettare, ricollocarli nella propria sede dopo l’utilizzo, gli arnesi del mestiere (lima, sega, martello, cacciavite, punte di trapano, forbici, ferro da stiro, trincetto, pettini, ecc. a seconda dell’attività svolta).

Il maestro artigiano, per i ferri del mestiere, raccomandava: “un posto per ogni cosa,e ogni cosa al suo posto”.

Ringrazio l’amico Michele Castriotta per avermi suggerito la stesura di questo articolo.

 

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Requèste

Requèste s.f. = Riserva, scorta

L’accantonamento si riferisce specificamente ad alimenti acquistati in sovrabbondanza per futuri utilizzi.
Ovviamente si tratta di derrate non deperibili, come legumi secchi, riso, pasta, scatolame, biscotti, farina, caffè ed altro.

La brava massaia ne tiene sempre in casa a requèste, per ogni evenienza.

A requèste un cubetto di lievito o una busta di affettati in frigo si trova sempre!

Come in italiano il sostantivo si fa precedere da una preposizione semplice ( di riserva, per scorta, in accantonamento, a deposito, in aggiunta), così in dialetto si usa la preposizione “a”: a requèste.

Ricevo dal prof.Michele Ciliberti, che qui ringrazio pubblicamente, un prezioso suggerimento sull’origine del vocabolo:
«Etimologia: dal latino re-quæro da cui anche quæstus e quæstua, con il significato di ricerca, richiesta, affare, guadagno e commercio. Mettere da parte ciò di cui si ha bisogno».

 

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Accònge

Accònge s.f. = Velo nuziale

Potrebbe somigliare al termine italiano ‘acconciatura’, ma questo indica solo pettinatura, messa in piega, taglio dei capelli.

L’accònge è il velo bianco che, opportunamente elaborato, arricchito da diademi vari, la sposa si pone sul capo per la cerimonia nuziale.

Spessissimo il velo ha una coda lunghissima, sorretta da due paggetti per non farla sporcare sul pavimento quando si avvicina all’officiante.

Più l’acconge era lunga e più destava ammirazione, specie tra le donzelle che miravano anch’esse al loro momento magico.

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Accòlte-accòlte

Accòlte-accòlte loc.avv. = Intimamente, in maniera raccolta, strettamente.

Il significato dell’avverbio intimamente è riferito ad un luogo ristretto, dove tuttavia si trovano tutte le comodità. Un mini appartamento, ad esempio, dove gli spazi sono limitati, ma non manca di nulla.

Anche una sola stanza dove ci si intrattiene numerosi, appare accolte-accolte.

Oh, quà jìnde stéme belle accolte-accolte! = Oh, qui dentro stiamo bene, intimamente

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Acciungàrece

Acciungàrece v.t. = Paralizzarsi.

Essere colpito da paralisi, diventare cionco, storpio, sciancato, specie agli arti.

Deriva dall’italiano cionco agg. con vari significati (troncato, mozzato, monco, spossato di stanchezza o debolezza, storpio, sciancato, paralitico).

E che, te sì acciunghéte ‘i méne? = E che, ti sei paralizzato alle mani?

È un rimprovero verso qlcn che non si dà da fare.

Quìddi méne ce avrìnn’acciunghé!= Quelle mani (che non stanno mai ferme) dovrebbero anchilosarsi.

Il rimbrotto questa volta è, al contrario, rivolto verso chi ha propensione ad allungare le mani addosso alle donzelle….

Nòneme sté sèmbe acciunghéte söpe a ‘na sègge = Mia nonna (che è paralitica) sta sempre bloccata sopra una sedia (a rotelle).

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Acciüde 

Acciüde v.t. = Uccidere.

Privare della vita, far morire, spec. con mezzi o modi violenti.

Domèneche che vöne amm’acciüde ‘u pùrche, vulüte venì püre vüje? = Domenica prossima dobbiamo uccidere il maiale, volete venire anche voi?

Qlcu dice accedì. Trovo più corretta la prima versione. Infatti l’imprecazione antica è: Ca lu vònne acciüde!
= che lo vogliano uccidere! Non ca lu vònne accedì.

Semmai accedì è la terza persona singolare del verbo uccidere, al passato remoto (scusate la grammatica) come altra versione di accedètte. Insomma come dire:accedìje = egli uccise.

Ah, bisogna ricordare che il verbo, se riferito a una persona, regge il dativo e non l’accusativo….Uffa con questa grammatica….
Insomma in dialetto si dice: Jìsse accedì a Mattöje = Lui uccise (a) Matteo. Metto la “a” solo per fare l’esempio.

Chjiche volte t’agghja accjude a te! = qualche volta, se continui a molestarmi, ti devo  uccidere! (detto in tono scherzoso, naturalmente!)

Invece si costruisce all’accusativo se riferito a bestie: Jìsse accedètte ‘u pùrche – ‘a mòsche – ‘a jallüne – l’agnjille = Egli uccise il maiale – la mosca – la gallina – l’agnello.

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Acciavatté

Acciavatté v.t. = Arrangiare

Sistemare qlco. alla meglio, con mezzi di fortuna e con risultati non eccellenti.

Acciavatté (o anche ciavatté), così come ciavattöne, hanno origine da “ciabattino”.

Se il ciabattino volesse confezionare le scarpe come fa lo specializzato calzolaio, otterrebbe un risultato di scarso pregio.

Agghje aggiustéte ‘u müre, e jì venüte tutt’acciavattéte = Ho riparato il muro, ed è venuto tutto arrangiato.

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