Pöte

Pötes.m. s.f. v. intr.= Piede, potatura, può

1 – Pöte – al maschile significa semplicemente piede, riferito sia  a quello umano, sia a vari oggetti (pöte ‘u ljitte = piede del letto, pöte-u-vrascjire = piede del braciere, ecc.)

2 – Pöte – al femminile (‘a pöte o anche ‘a putatüre) indica l’operazione di sfrondatura delle piante coltivate (olivi o da frutta) allo scopo di accrescerne la resa.

3 – Pöte – Con lo stesso suono si indica la terza persona singolare del verbo putì, potere.  Ad esempio:
Giuanne nen pöte venì jògge= Giovanni non può venire oggi.
Mamme nen pöte mangé ‘a frettüre = mia madre non può mangiare la frittura (peccato!)

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Passé ‘a revìste

Passé ‘a revìste loc.id. = Perquisire

Alla lettera significa “passare la rivista” ma non nel senso di porgere un “magazine”, un rotocalco…

Si avvicina di più – per assonanza – a rovistare, frugare. Questi due verbi si riferiscono all’ispezione condotta su oggetti o in ambienti (bauli, scantinati, soffitte, campi, armadi, ecc.)

Specificamente passé ‘a revìste significa perquisire, cioè ricercare sulla singola persona oggetti indesiderati (armi, droga, lame, esplosivi o altro) prima di ammettere l’ingresso in luoghi sicuri.

L’ho sperimentato al “servizio di sicurezza” dell’Aeroporto di Palese:  al mio passaggio si è acceso l’allarme del metal detector perché distrattamente non avevo cavato le bretelle. Subito un Agente (armato) mi ha invitato a seguirlo e in un altro vano mi ha passéte ‘a revìste, palpeggiandomi dappertutto….
Assicuratosi che non ero un terrorista, perché senza le bretelle addosso il metal detector non dava alcun segnale, mi ha permesso l’ingresso al gate.

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Arröte

Arröte avv. = Di nuovo, ancora una volta, nuovamente, daccapo.

Si usa ancora questo avverbio?

Ricordo che veniva pronunciato da chi, dopo aver esortato qualcuno a smettere di compiere un’azione, magari un po’ tediosa, la vede rifare daccapo, quasi a dispetto.

Ad esempio: se una mamma, dopo aver faticosamente zittito il suo frugoletto che frignava con richieste esose, lo sentiva lagnarsi nuovamente, inevitabilmente avrebbe esclamato: « Arröte!» = Ancora! [ti avevo detto di smetterla, e tu ricomii!].

Il prof.Michele Ciliberti, che ringrazio pubblicamente, suggerisce che arröte  deriva dal latino “Ab retro”, cioè nuovamente, ancora.

 

 

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I spéde stanne appöse e i fòdere cumbàttene

Le spade stanno appese e i foderi combattono.

Ovviamente si parla un linguaggio figurato, perché nessuno si sognerebbe di affrontare un combattimento avvalendosi di inoffensivi foderi contro le combattive spade.

Si declama questa frase per evidenziare che. nell’affrontare una situazione difficile, si stanno usano mezzi inadeguati e perciò palesemente non efficaci.

In campo lavorativo talvolta mi è toccato “combattere con i foderi” contro una concorrenza decisamente più agguerrita….ma queste erano strategie aziendali di marketing mirate a un riassetto territoriale che è un po’ ostico da accettare dalle forze di vendita.

L’amico Michele Carbonelli commenta:
«Il riferimento è alle persone al top nel mondo della cultura, delle arti, della scienza, della scuola, dell’imprenditoria, dell’editoria, che declinano la partecipazione attiva alla gestione del Paese, lasciando che siano le mezze tacche ad essere elette e a gestire questa società complessa, multirazziale e sperequata.
I danni conseguenti sono incalcolabili per il bene nazionale e internazionale. Ecco allora persone ambigue, ignoranti, collusi col malaffare e prevaricatrici diventare figure di riferimento di questa nostra società. E come dicevi tu “sciabbele appese, fodere a cumbatte”»

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Lórde

Lórde agg. = Sporco, lurido, sozzo.

Aggettivo molto diffuso per indicare una frutta, un indumento, qualsiasi oggetto non pulito.

Al femminile si pronuncia con la “ò” larga.

Attenti alla pronuncia e alla grafia!  Guardate questi esempi:

‘U giaccöne lórde = il giaccone sporco

‘A giacchètta lòrde = la giacchetta sporca.

Sinonimi:di lórde
‘nzevéte, macchjéte, ammuffardüte, ‘ncaccavüte,  ‘nfanghéte, ‘ntruzzeléte.
‘mbrattéte. Quest’ultimo mi sembra più garganico, ma è talvolta usato anche dai Sipontini, perché ugualmente comprensibile. .

In italiano la gamma è più ampia:
macchiato, imbrattato, inzaccherato, infangato, unto, bisunto, impataccato, sudicio, insudiciato, sozzo, lercio, lurido, lordo.

 

 

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Tedìgghje

Tedìgghje s.m. = Ascella

Accettate anche le variant1 tetìgghje, tetìgne, tedechìgghje

Incavo posto al di sotto dell’articolazione del braccio con la spalla.

L’ascella è particolarmente ricca di peli – che compaiono in età puberale – e di ghiandole sudoripare.

Inoltre è molto sensibile al solletico, dal cui verbo (clicca→) tedeché = solleticare, titillare derivano il sostantivo tedìgne = ascella, .e l’aggettivo tedecüse = sensibile al solletico.

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Candecatöre

Candecatöre s.m. = Banditore di asta

Nel linguaggio marinaresco era usato per indicare il banditore della vendita all’asta. Successivamente è stato adottato il termine, diciamo più moderno, di astatöre, praticamente simile al termine italiano Astatore.

Il soggetto doveva essere iscritto all’ «Albo degli astatori dei prodotti ortofrutticoli, carnei ed ittici», la cui normativa è compresa nella Legge n. 125 del 25 marzo 1959.  La figura dell’Astatore fu soppressa nel 2012,.

Era un abilissimo professionista, conoscitore della qualità dei prodotti che i pescatori conferivano al mercato ittico per la vendita ai grossisti.

I pesci,  suddivisi in specie (triglie, sparroni, seppie, cicale, polpi, sogliole, sgombri, ecc.) erano posti in “telai” e raramente pesati: generalmente si vendevano a cassette.

I cosiddetti telére =  “telai” erano delle cassette a bordi bassi, una volta di legno, poi di plastica rigida riutilizzabili, ed ora di polistirolo ingombrante e inquinante.

Il lotto dei pesci (ad esempio 20 cassette di cicale) veniva presentato dall’astatore partendo da un prezzo base, sul quale, a voce, i vari grossisti offrivano un rialzo fino all’aggiudicazione, annotato da Carlo Attanasio, un attentissimo Ragioniere presente all’asta, il quale rilasciava una  “bolletta” in due copie che attestava l’avvenuta compravendita. Una serviva all’acquirente per l’uscita del prodotto del mercato, e l’altra al pescatore per l’introito del venduto.

Per l’incasso, che generalmente avveniva  il giorno successivo, dato che il pescatore era in mare al lavoro, c’era un familiare delegato che passava a riscuotere presentando la sua copia della bullètte allo sportello pagatore del “Banco di Napoli”, che era ubicato in un gabbiotto all’interno del mercato stesso, il cui cassiere era  il rag. Celestino Telera.

Ringrazio sia Amilcare Renato, figlio di un Astatore in servizio al mercato dal 1950 al 1960, sia il prof. Matteo Castriotta, figlio di pescatore, per le preziose notizie fornitemi sull’andamento delle operazioni riportate in questo articolo.

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Fìgghje de putténe

Fìgghje de putténe inter. = Figlio di puttana.

Definizione indispettita, improperio lanciato verso qlcu che ha agito male nei confronti del parlante o della comunità.

‘Nu fugghje de putténe ho menéte ‘ndèrre ‘u péle d’a lüce! = Un mascalzone ha atterrato un palo della illuminazione pubblica.

Questa invettiva, pronunciata con durezza, è un’offesa abbastanza grave,  ma in taluni casi ha assunto una connotazione diversa.
Può essere pronunciata scherzosamente, allora la frase quasi affettuosa e ammirativa per la scaltrezza e l’abilità dimostrata dal soggetto cui l’epiteto è diretto.

Infatti  questi figli di madre ignota, vissuti in ambiente degradato, dovevano imparare presto a diventare scaltri, dinamici, e abituarsi a lottare contro la crudezza che la vita presenta giorno per giorno.
Ovviamente erano avvantaggiati rispetto agli altri figli “normali”, perché sapevano affrontare e risolvere qualsiasi difficoltà si fosse presentata ai loro occhi.

Ormai l’epiteto “Figlio di puttana”è comune in tutte le lingue:

Ricordo che fu la prima frase che i Manfredoniani impararono dagli Americani, con cui erano in contatto durante l’occupazione Alleata nell’ultima guerra, fu, in un inglese maccheronico:

Sàreme-a-bbìcce, ossia Son of a bitch = Figlio di una cagna (qui intesa come prostituta, abbreviato in letteratura con sob).

Ovviamente noi monelli non sapevamo il significato della definizione, ma la ripetevamo a sproposito, solo perché aveva un bel suono.

Rammento anche di aver letto il noto labiale di Maradona: Hijo de puta!

Variante: Fìgghje de frechéta ‘ngüle, o fìgghje de zòcchele  (anche nella forma breve  fìdezòcchele).

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Chi ce jàveze prüme, ce vèste

Chi ce jàveze prüme ce vèste = Chi si alza per primo si veste.

Purtroppo accadeva, ai tempi della grande crisi economica a cavallo delle due Guerre mondiali, che non tutti i numerosi figli avessero di che vestirsi.

Colui che al mattino si levava prima degli altri sceglieva tra i poveri abiti dei fratelli quello da indossare. In questo modo qualcuno era costretto a rimanere in casa per mancanza di indumenti..

Esiste una variante più circoscritta ad una specifica famiglia:

«A chése de Azzaröne, chi ce jàveze prüme ce vestöve» = A casa Azzarone, chi si alzava prima si vestiva.

L’amico Domenico dà una sua testimonianza riferita agli anni 1945/1950:
«Ce jèmme a còleche p’i rrobbe ‘ngudde, se no quanne ce respegghjamme nen l’avrìmme truéte…» ossia: ci andavamo a coricare con gli indumenti addosso, altrimenti al risveglio non li avremmo trovati.»

Metaforicamente il Detto si trasferisce in altri ambiti (domestici, lavorativi, politici, amministrativi): chi ce jàveze prüme cummanne = Chi si alza per primo comanda. Ossia non si osserva alcuna norma. o non si rispetta alcuna gerarchia.
Insomma il caos.

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