Assuzzé

Assuzzé v.t. = Uguagliare, appianare, livellare

Da questo verbo deriva l’aggettivo sùzze (←clicca) = uguale nel  raffronto tra due o più soggetti.

Per esempio:  tagliare dei paletti di una recinzione tutti alla stessa altezza.
Oppure recidere i gambi dei fiori, nel comporre un mazzo, per pareggiarli nella parte terminale.
O anche livellare le asperità di una qualsiasi superficie (un campo o un pavimento o una panca).

Usato ironicamente assuzzé significa  rimpinzarsi. Insomma assumere un cibo dapprima ritenuto eccessivo per la capacità ricettiva del proprio stomaco, ma poi compiacersi per l’avvenuta degna collocazione.

Stamatüne me sò assuzzéte döje farréte! = Stamattina mi sono collocato due farrate (…nello stomaco)!.

Filed under: ATagged with:

Fìgghje de jatte angappa sórge.

Fìgghje de jatte angappa sórge. = Figlio di gatta acchiappa topi

Audio Player

Si tratta di linguaggio figurato. Il figlio del gatto/a proprio per la sua natura felina ha tendenza a catturare i topi. Generalmente si ereditano le qualità familiari.

I Latini usavano il Detto: «Qualis pater, talis filius» per evidenziare la somiglianza caratteriale o fisica tra padre e figlio.
La regola ha valore anche in senso negativo.
Se una persona cresce in ambiente familiare delinquenziale, è difficile che diventi un frate francescano…

Però da un campo di pietre o di letame può sempre nascere un fiore.

Mio padre ribadiva, per evidenziare lo stesso concetto di ereditarietà: Pétre e fìgghje: stesse tappe, stèsse legnéme = Padre e figlio stesso tappo, stesso legname.  Noi diciano che sono fatti della stessa pasta.
Oppure Pétre e fìgghje, vedènne, facènne = Padre e figlio, vedendo facendo.
Come dire che il figlio agisce imitando spontaneamente l’atteggiamento dei genitori che sono i suoi modelli di vita: come vede così fa, nei buoni e nei cattivi esempi.

Esiste un altro proverbio simile che afferma l’abilità del gatto anche al buio (clicca→ qui)

Filed under: Proverbi e Detti

Ardüche

Ardüche s.f. = ortica

L’ortica (Urtica dioica) è un’erba infestante diffusa in tutto il mondo. “Si trova frequentemente nei terreni azotati, ad esempio tra le macerie e i luoghi incolti, vicino ai centri abitati, o nei lati più umidi e ombrosi dei boschi, dal mare alla montagna” (Wikipedia)

È un pianta erbacea della famiglia delle Urticacee con numerose specie diffuse n tutto il mondo, dalle zone tropicali a quelle temperate. Quasi tutte sono dotate di temibili peli urticanti sul fusto e sulle foglie.

Trova largo uso in erboristeria per le sue qualità antinfiammatorie e diuretiche.

Ho scoperto con raccapriccio che l’ortica è usata anche in gastronomia perché – udite udite! – alcuni la mangiano (dopo averla lessata) nei ripieni dei ravioli, nei risotti, o nel pesto con pinoli e pecorino, al posto del tradizionale basilico.

Ce la mangiàssere löre!

Filed under: ATagged with:

U lùche cchjù frìdde jì ‘u fucarüle

 ‘U luche cchjù frìdde jì ‘u fucarüle = il luogo più freddo è il focolare

È un Detto antico che descrive le condizioni di indigenza di una famiglia nella di cui casa il focolare – che dovrebbe essere il suo suo luogo più caldo –  è  miseramente gelido per il fatto che non si cucina da tempo.

Se il focolare, ‘u fucarüle (←clicca) è il luogo più freddo, figuratevi il resto della casa!

Purtroppo fino al 1951 non esisteva la “Cassa integrazione guadagni”, né l’indennità di disoccupazione, e se il capo famiglia si ammalava o perdeva il lavoro, in assenza del salario, in casa sua tutti soffrivano letteralmente freddo e fame!

Però  lodevolmente molto spesso scattava la solidarietà del vicinato che interveniva con cibarie di prima necessità.

Ho visto mia nonna che aveva staccato un grosso pezzo di pane dalla sua pagnotta, lo ha celato sotto il grembiule e lo ha portato ad una famiglia che versava in queste condizioni.  Lo consegnò alla mamma,  “pe fé mangé ‘i uagnüne“, per delicatezza, in un angolo appartato della casa, senza che nessuno la vedesse,  per non intaccare la dignità di quella mamma.
Che tempi tristi!

A volte il Detto descrive anche figuratamente delle situazioni di disagio o di difficile soluzione, o di accoglienza non proprio entusiasta,

Il sostantivo lùche = luogo, è un po’ arcaico, ed è stato soppiantato dal più sbrigativo “pòste” = posto, luogo, sito.

Filed under: Proverbi e Detti

U péne jìnd’u cìcene…

Il Detto completo recita:

Te fazze trué
‘u péne jìnd’u cìcene
e l’acque jìnd’u canìstre.

Era una esplicita minaccia delle mamme rivolta a quei marmocchi irrequieti.
Sì ti darò pane e acqua, ma nei contenitori inadatti in modo che non tu possa raggiungerli. +
Una punizione severa.

Infatti il pane nell’orciuolo (clicca→u cìcene) non si può estrarre, e l’acqua nel canestro non può essere contenuta.

Come quando si minaccia di far vedere i sorci verdi.

Filed under: Proverbi e Detti

Ciavarre

Ciavarre s.m. = Capretto

 È un termine usato nel settore della pastorizia pervenutoci tale e quale dal dialetto abruzzese.

Nel corso dei secoli transumanza (la migrazione stagionale di greggi e pastori che venivano a svernare in pianura) ha portato, oltre agli ovini, anche molti termini abruzzesi o molisani in Capitanata. E non solo quelli attinenti la pastorizia.

La trasmigrazione linguistica avviene in tutto il mondo tra comunità confinanti. La Basilicata, per esempio nella parte nord-orientale (il Vulture-Melfese) ha una cadenza foggiana. Nella parte nord-orientale si avverte il campano. Nella parte sud-occidentale sembra calabrese, e nelle zone sud-orientale sembra barese.

 

Filed under: C

Sestüse

Sestüse agg. = Nervoso, inquieto, eccitabile

Riferito a persona che mostra impazienza, nervosismo, ansia.
Scientificamente andrebbe scritto “səstüsə“. Non lo farò più.

Sté sestüse ‘u uagnöne = è irrequieto il bambino

Deriva dal sostantivo  sóste  (nella forma più arcaica si diceva sumasóste)  

Il termine più antico “sèste” si è modificato in “sóstë” sempre con significato di ansia, inquietudine.

Al superlativo è “sumasóstë” =  iper agitazione, nervosismo, concitazione.

Ma i bufali inquieti, almeno quelli allevati nelle nostre campagne,   proprio non  li vedo, perché sono sono sempre tranquilli a pascolare o a ruminare!

Che provenga da “siesta“? L’immobilismo totale della controra.

Filed under: STagged with:

Darasse dau cüle müje!

Darasse dau cüle müje!

Il Detto completo è ancora più esplicito:

Abbaste ca sté ‘nu palme darasse dau cüle müje = basta che stai un palmo distante dal culo mio.   Insomma noli me tangere

Figuratamente il Detto acquista un significato un po’ egoistico:
Ognuno faccia quello gli pare, purché non tocchi i miei interessi.   
La cosa non mi riguarda. 
L’operato altrui può essere giusto o sbagliato, a patto che io vi non venga coinvolto.

Filed under: Proverbi e Detti

Oh fìgghje!

Oh fìgghje! escl. = Oh, figlio!

Variante: Uh, fìgghje müje! o anche Códdu fìgghje!, o Figghjarjille! (femm. figghjarèlle!)

È un’esclamazione propria di affetto, di solidarietà, rivolta verso qualcuno che si è fatto male o che si lamenta per qualche torto ricevuto.

Se il frugoletto, cadendo, comincia a frignare (anche se non si è sbucciato alcun ginocchio), la mammina lo solleva, lo abbraccia premurosa e gli sussurra con voce lamentosa: Oh fìgghje!.
Segue un cerimonia consolidata:
a) un bacio taumaturgo sulla parte dolorante che rimuove istantaneamente qualsiasi sofferenza anche futura:
b) una dose vendicativa di pedate al pavimento “cattivo” colpevole di aver provocato il ruzzolone con accompagnamento vocale : “Tèh, tèh!, Cattiiivo!””

Talvolta l’esclamazione diventa uno scherno, per beffeggiare gli adulti che si lamentano per ogni minima contrarietà che la vita riserva a tutti i viventi.

Filed under: OTagged with:

Mariandò, ‘u tarramöte!

Mariandò, ‘u tarramöte!

Audio Player

Questo Detto descrive una situazione tragicomica.
Una certa Maria-Antonia era una persona tranquilla, posapiano, impassibile davanti a qualsiasi situazione di emergenza o emotive.  Insomma una persona dal connaturato sangue freddo.

Si narra che un familiare della nostra eroina, nel mettersi in salvo mentre era in corso un terremoto, avesse urlato – per avvertire la congiunta del rischio che si correva rimanendo in casa –  la fatidica frase: «Mariandò, ‘u tarramöte!» = Maria-Antonia, (mettiti in salvo perché sta facendo) il terremoto!

Per tutta risposta ebbe un laconico: «Mò, mòoooo…» = Adesso vengo, aspetta un attimo, non darmi fretta…..

Nella lentezza della replica, quel Mò, mòoooo… forse voleva esprimere un concetto un po’ più articolato, come ad esempio: « Ho capito, va bene, adesso cerco il modo più agevole per mettermi al riparo dal pericolo imminente causato dal sisma».
Ovviamente senza punti esclamativi!

Così quando si chiede rapido soccorso, una mano d’aiuto per un’emergenza, e l’interlocutore si mostra smarrito perché non ne comprende immediatamente l’urgenza, o perché non sa che pesci pigliare, si ricorre spazientiti al breve enunciato, a domanda e risposta  : «Mariandò, ‘u tarramöte!…..Mò, mò!».

Filed under: Proverbi e Detti