Arrugnàrece

Arrugnàrece v.i. = Raggomitolarsi, raggrinzirsi

Anche rannicchiarsi, acciambellarsi, sistemarsi in posizione fetale.
Generalmente ci si arrògne sotto le coltri per ripararsi dal gran freddo.
Lo stesso dicesi riferendosi alla buccia raggrinzita della frutta e degli ortaggi un po’ avvizziti perché non consumati freschi.
Non parliamo di quello che succede a noi maschietti quando siamo assaliti dal freddo.

C’jì arrugnéte tutte cöse = Si è ritirato, si è raggrinzito tutto.

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Arrafagnàrece

Arrafagnàrece v.i. = Anchilosarsi, rattrappirsi

Perdere la motilità scheletrica dovuta al logoramento delle sue cartilagini che si manifesta nei soggetti di età avanzata.

Emergono, fra le  conseguenze di tale deterioramento:  il dolore articolare,  la contrattura dei tessuti muscolari, l’incurvatura della colonna vertebrale a livello cervicale, dorsale  e lombare e infine l’evidente il calo di statura della persona anziana.

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Acque ‘i sessanta passe (Purtè all’)

Acque ‘i sessanta passe (Purtè all’)  loc.id. = Causare un tracollo, mandare in rovina.
       
Alla lettera: portare qualcuno  all’acqua dei sessanta passi , cioè condurre qualcuno in mare aperto, profondo circa 100 metri.
Sicuramente è un’espressione di origine marinaresca.

Il lettore Sandro Mondelli mi suggerisce che nei Regno di Napoli e delle Due Sicilie il “passo d’arsenale di marina” era pari a m 1,75779. ‘espressione “passo” è antica, in quanto la misura venne abolita nel 1822.

“L’acque i sessanta passe” quindi era pari a m 105,4674, dunque un’acqua profonda.

Mio padre (classe 1901) diceva che per ottenere correttamente il passo (inteso come misura) bisognava portare avanti un piede, avanzare e portando avanti l’altro piede e quindi accostarli entrambi (unò-duè). Perciò il “passo” è la distanza percorsa in due step.  Quello che dice Sandro, cioè che il “passo” corrisponde a metri 1,75, è più che plausibile.

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Cacciambére

Cacciambére agg. = detrattore, diffamatore

Altri pronunciano caccianféme o caccianfiéme, cacciambiére.

Un termine ormai desueto derivato dalla combinazione caccia = che emette, che diffonde, e ‘nféme/mbéme  = (cose) infami.

A parer mio la desinenza –mbére evidenzia che  costui commette queste meschinità per natura, quasi per mestiere. Infatti altre lavoratori hanno la stessa desinenza in -ére (che corrisponde all’italiano –aio):  funére, scarpére, cavedarére, marenére, lattére, sellére, ecc.

Difatti si dice caccé ‘na calónnje = diffondere una calunnia, calunniare.

Sono propenso ad allacciarmi all’etimologia di caccia-nféme abbreviato nella parlata in “cacciambéme“, e poi trasmesso di bocca in bocca con le ovvie desinenza storpiate (-éne, -ére, -éle).

Un mio antico informatore mi suggerisce la definizione di “calunniatore” ossia: colui che emette menzogne, che diffonde falsità, che infanga l’altrui onorabilità.
Un termine obsoleto,  conosciuto ormai solo dai più anziani.

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Cröce e nöce

Cröce e nöce escl.. = Metterci una pietra sopra.

È un’spressione rafforzativa locale che indica l’esclusione irrevocabile di una persona o di un luogo dalle proprie frequentazioni, per effetto di una delusione, di una perdita, di una amara esperienza.

Di solito viene pronunciato accompagnato da un gesto della mano che traccia nell’aria una grande X, come una benedizione a rovescio… come se si volesse sbarrare una scritta su una lavagna immaginaria.

Da códdu dentìste?Nziamé cchió! Cröce e nöce! = Da quel dentista? Non sia mai più!  Ho cancellato definitivamente anche ogni remota possibilità di ritornarci!

Il sostantivo nöce è pronunciato solo per rima o assonanza rafforzativa.

Accade sovente in dialetto.Qualche esempio:
Storje e patòrje
Mamurce p’i ‘ndùrce
Nannurche abbasce a l’urte
Pàbbele e fracabbele
Sturte e malurte

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Amöre de Düje! (pe l’, o söpe l’)

Amöre de Düje(pe l’) escl. = Amor di Dio! (per l’)

Una esclamazione generalmente usata per implorare benevolenza.

Mi viene in mente la storiella di quel barbiere che malvolentieri si prestò a sbarbare un poveretto perché gli era stato chiesto di farlo per l’Amore di Dio. Avendo usato sapone infimo e rasoio stagghjéte = non affilato, il suo gesto non fu affatto meritorio.

Come in italiano si usa anche per escludere qualsiasi dubbio o per dissentire da una nefandezza.

Per esempio se qualche pettegola sta insinuando una malignità sulla onorabilità o sull’illibatezza di una donzella.
Mariètte jì ‘na uagnöna aggarbéte! Pe l’amöre de Düje! Nen ce sté njinte da düce nè söp’a jèsse e nè söp’alla famìgghje söve! = Marietta è una ragazza assennata! Per l’amor di Dio! Non c’è nulla da dire né su suo conto, e né sulla sua famiglia.

Le persone più anziane usavano la formula söpe l’Amöre de Düje!  = Sull’Amore di Dio!

L’italiano è ancora più variegato:
-Dio ce ne scampi e liberi
-Per carità di Dio
-Dio ce ne guardi
-Per l’amor di Dio

 

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Accucchjé ‘a settande

Accucchjé ‘a settande loc.id. = Fare primiera, raggiungere un eccellente risultato.

La locuzione traspone, nel linguaggio figurato, un elemento del punteggio nel gioco popolare chiamato “Scopa”

La Scopa, al termine di ogni mano, prevede il raggiungimento di quattro punti, che possono essere divisi o patteggiati, secondo l’andamento della partita, tra i due giocatori (quattro se si gioca in coppia).

Si conteggia un punto per ciascuna delle seguenti voci:

– Carte-a-llonghe = Carte, numero di carte raccolte da ciascun giocatore. Si conteggia il numero maggiore di carte raccolte da ciascun giocatore durante la manche; sul mazzo di 40 carte napoletane, vince chi ne ha almeno ventuno.
 Carte-a-ddenére = Denari, numero di carte con seme di “denari”. Si conteggia il numero maggiore di carte “denari” raccolte da ciascun giocatore durante la manche;vince chi ne ha almeno sei.
 Sètte barjille = Settebello, Il punto va al giocatore che ha raccolto il sette di denari nel corso della mano; il settebello è chiamato – chissà perché – anche Sètte Gerjille, diminutivo di Ciro
– Settande = Primiera o Settanta. Quattro carte dello stesso seme con valore decrescente che si raffrontano con le quattro di altro seme in mano all’antagonista.

Ecco Wikipedia che mi facilita la descrizione della Settande:

Il termine “Primiera”, che deriva dal francese prime, significa letteralmente “premio”.
Il suo utilizzo italiano nell’ambito di alcuni giochi di carte è relativo proprio al suo etimo: chi riesce ad ottenere una certa combinazione con le carte riceve un premio che, nella maggior parte dei casi, equivale ad un punto.
Nome alternativo della Primiera è “Settanta” nel caso in cui si entra in possesso di tutti e quattro i 7 (Denari, Coppe, Bastoni, Spade).

Conclusione: accucchjé ‘a settànde vale guadagnare un premio, raggiungere un risultato eccezionale.

Scherzosamente si pronuncia quando si raggiunge un bel numero di amici, magari inaspettati, allegri o musoni non fa differenza, come per dire: “ti aspettavamo, mancavi solo tu!”.

 

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Addaccé

Addaccé v.t. = Tagliuzzare, pestare, sminuzzare

Operazione specifica che si fa con un coltello su una fetta di lardo (fresco o salato)  per sminuzzarlo.
Anche colpire ripetutamente il lardo col taglio del coltello e ottenere il ‘battuto’ da soffriggere.
Le nostre bravissime nonne, che non avevano troppe cose nella dispensa, e nemmeno tanti soldi nel borsellino, riuscivano a ottenere con il lardo e la cipolla addaccéte soffritti in poco olio, un po’ di conserva di pomodoro, e un solo chiodo di garofano, un gustoso intingolo per condire le orecchiette, chiamato zucarjille = sughetto, o züche fìnde = sugo finto.
Finto, perché quello ‘vero’, a base di carne bovina (brascjöle) suina (savezìcchia frèške), e ovina (carne e òsse), si preparava solo nelle grandi occasioni.

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Zìrre

Zìrre s.m. = Ziro

Recipiente metallico usato per conservare o trasportare olio.

Il termine deriva direttamente dall’arabo zīr , ossia grande orcio, che può essere anche di altro materiale (pietra, terracotta).

Si pronuncia quasi sempre unito all’articolo e raddoppiando l’iniziale: ‘u zzìrre.     I ragazzi di oggi usano il termine italiano dialettizzato : bbedöne = bidonee il suo diminutivo bedungiüne = bidoncino.

Io ricordo quelli fatti a mano dai lattonieri, col coperchio circolare incernierato a metà lungo il suo diametro, che consentiva – sollevando il semicerchio – il prelievo dell’olio mediante grossi mestoli. Avevano una capacità di oltre un quintale di olio.  Ma i bravi “stagnari” ne confezionavano anche di altre misure.

Ora si trovano in commercio  i bidoni di acciaio inox con bocca larga da 30 e 50 litri, indubbiamente più pratici e più facili da pulire. Molto adoperate sono anche le lattine monouso da 5 e 10 litri.

Presumo che da zīr possa  derivare l’italiano “giara”.

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