Sàveze

Sàveze s.f. e agg. = Salsa; salmastro

1 – Sàveze – s.f. Nel significato comune è la polpa di pomodoro privata dei semi e della buccia e opportunamente trattata, ossia la classica passata di pomodoro industriale.
Generalmente quella fatta in casa – priva di conservanti e di altre sostanze – serve come riserva invernale, previa bollitura a “bagno-maria” in bottiglie o recipienti a chiusura ermetica.

2 – Sàveze – agg. Riferito specificamente al sapore salmastro delle acque sorgive che sgorgano lungo la scogliera. Cito una per tutte l’acqua sàveze della sorgente Acqua di Cristo.

Talvolta dai pozzi artesiani, perforati nei campi allo scopo di intercettare polle d’acqua sotterranee, emerge acqua sàveze = acqua salmastra, se non addirittura salata.

I ragazzi di oggi, avendo frequentati tutti la scuola dell’obbligo, tendono a italianizzare i termini dialettali, e perciò pronunciano salse anziché l’antica dizione sàveze.

Filed under: STagged with: ,

Savezarjille

Savezarjille s.m. = Salicornia

Questa pianta (Salicornia europæa) ha un’ampia diffusione nella regione mediterranea, ed è  anche ben distribuita in Europa, Asia e America settentrionale, presso acquitrini salmastri o in prossimità di acque stagnanti.
È conosciuta anche col nome di “asparago di mare” ed è dotata di adattamenti peculiari che ne permettono l’insediamento su terreni salini. Viene detta pianta alofita, cioè capace di vivere in presenza di cloruro di sodio (sale marino).
Mentre le altre piante non resistono oltre la concentrazione salina dell’1%, questa sopporta benissimo anche il 2%.  Il che le conferisce un sapore gradevole anche se consumato cruda in insalata.
Per me è stata una sorprendente novità. Pare sia ottima anche lessata o addirittura in frittata. Per questo è degnamente paragonata all’asparago.

Il nome deriva da sàveze nel significato di salmastro.

In alcuni paesi del Gargano è chiamato  savezute.

Filed under: STagged with:

Rumanì tra vèspre e mezzjurne

Rumanì tra vèspre e mezzjurne loc.id. = Restare fra il Vespro e il Mezzogiorno

Da tempi immemorabili gli ecclesiastici scandiscono la loro giornata col preghiere secondo le cosiddette Ore Canoniche (Mattutino, Lodi, Vespri, Compieta).
Il Vespro, linguisticamente, significa sera.

Insomma dal vespro al mezzogiorno successivo intercorre un lasso di tempo molto lungo, immagino noioso o carico di tensione.

La locuzione descrive figuratamente uno stato di disagio, di incertezza, di titubanza nel prendere una decisione importante, temendo di sbagliare.

Ringrazio Umberto Capurso por il suo suggerimento, che mi ha permesso la stesura di questo articolo.

Filed under: RTagged with:

Mpelé

Mpelé v.i. = Emettere peli

Nel periodo della vita (dopo l’adolescenza) chiamato pubertà, le regioni dei genitali, nei maschi e nelle femmine, si ricoprono di peli. È uno dei segni dei caratteri sessuali detti secondari.

Quando assistevamo al fenomeno del cambio della voce di qualche nostro amichetto, cui era già apparsa la peluria sul labbro superiore, domandavamo:
Ma che, sté ‘mpelanne? = Ma che succede, sta emettendo peli anche sul pube?

Qualche furbetto, imitando il titolo di un famoso film dell’epoca con Lawrence Olivier, chiedeva: “Amleto?” come per chiedere in modo velato: Ha mpeléte? = ma a te sono comparsi i peli sull’inguine?

Una curiosità che ci prendeva tutti, perché la natura – dopo questo primo segno – in breve tempo avrebbe trasformato radicalmente i nostri corpicini implumi, dotandoci tutti, maschi e femmine, di un fisico da adulti atti a procreare. Omoni a fiumi!

Mi ricordo pure il verbo opposto “spelé“, usato come atroce minaccia delle mamme verso le figliole che non rigavano dritto. .

Aggiungo – a proposito di spelé e ‘mpelé, che in età matura quasi a tutti noi maschietti succede un fenomeno strano… I capelli si diradano sulla “cocozza”, e per contro si infittiscono sulle sopracciglia, che diventato cespugli, spuntano rigogliosi dalle orecchie e dalle narici!
Meno male che il mio barbiere li tiene a bada!



Filed under: MTagged with:

Che bell’ùcchje tjine ‘mbacce

Ecco la locuzione idiomatica completa:
Nen lu pùte dïce manghe: « che bell’ùcchje  tjine ‘mbacce!» = Non gli posso dire nemmeno: che begli occhi e hai in viso!

È la definizione di un soggetto irritabile o permaloso.

Qualsiasi apprezzamento viene recepito da questo soggetto con sospetto. Oppure reagisce con veemenza, in modo sproporzionato, a qualsiasi critica o consiglio.
Cì’, cì’, nen te pozze düce manghe “che bell’ucchje ca tjine ‘mbacce!” = Zitto, smettila, non è il caso di inveirmi contro solo per aver espresso un mio parere sul tuo discutibile comportamento.

Filed under: CTagged with:

Vatte lu frjiche!

Vatte lu frjiche! loc.id. = Vattelapesca

Somiglia, come costruzione verbale,  a quello che la inesauribile Enciclopedia Treccani spiega sulla locuzione  vattelappésca, cioè :
«[da vàttelo (imperat. di andare, rafforzato dalle particelle ti e loa pesca (pop. per «a pescare»)]. – Propr., «va’ a trovarlo, a indovinarlo; va’ a saperlo.»
Come dire chissà dov’è finito!

Nel nostro caso, alla lettera, caso corrisponde “vattelo a frecare”, nel senso che è ormai impossibile acchiappare, catturare, bloccare un ipotetico fuggitivo, scappato via fulmineamente di fronte alla prima avvisaglia di pericolo.

Ad esempio un gattino che sfugge al tuo tentativo di presa. O un monello che ha compiuto una birichinata e teme la tua reazione o la tua minaccia.

Nota fonetica:
Vatte lu frjiche!
si pronuncia tutto d’un fiato appoggiando e prolungando l’accento tonico sulla penultima sillaba. come fosse scritto vattelufriiiiche! (ascolta cliccando sul triangolino bianco qui sotto).

Audio Player

Filed under: VTagged with:

Uggiò!

Uggiò! inter. = Ehi, giovane!

Quando ci si rivolge a qualcuno che non si conosce, magari per chiedere un’informazione, specie se la persona interpellata non è avanti con gli anni, si usa questo simpatico vocativo bisillabo: uggiò, che poi sarebbe il troncamento di ‘u giòvene.

Se la persona è adulta si usa bellö‘, alla lettera “bell’uomo”, in italiano corretto “buonuomo” (ovviamente al femminile bèllafè’).

A volte assume toni minacciosi:
Uggiò, fatte ‘i cazze tüve! = Ehi tu, pensa agli affari tuoi!
Uggiò, vatte fé ‘na camenéte = Ma perché non vai a farti un giretto? In questo modo eviteresti di impicciarti in affari che non riguardano la tua persona, che così verrà salvaguardata da conseguenze spiacevoli.

Il sintetico invito veramente non è tradotto proprio alla lettera, ma il senso del discorso è proprio quello…

Filed under: UTagged with:

U scarpére p’i scarpe rotte

U scarpére p’i scarpe rotte

Audio Player

Il calzolaio con le scarpe rotte
Capitava che gli artigiani dedicassero più tempo ad eseguire il lavoro ai committenti che a badare alle proprie necessità.

Il tempo di riparare le proprie scarpe veniva rinviato e usato per riparare quelle che giustamente apportavano una remunerazione in denaro.

Ovviamente il Detto poteva adattarsi a qualsiasi categoria di lavoratori (fabbri, muratori, barbieri, ecc,) persino ai Commercialisti,  che rimandano all’ultimo giorno utile la compilazione della propria dichiarazione dei redditi.

Filed under: Proverbi e Detti

Lüna cuchéte, marenére respegghjéte

Audio Player

Luna tramontata, marinaio sveglio

È un Detto marinaresco.

Il significato secondo Michele Conoscitore, figlio di pescatore, è questo:
Poiché le battute di pesca si svolgono nottetempo, il chiarore lunare consente ai pescatori di agire con una certa sicurezza.
Quando invece la luna si è cuchéte (coricata, tramontata) occorre maggior vigilanza da parte dei pescatori che quindi devono essere respegghjéte (svegli, attivi, con gli occhi aperti) per scongiurare pericoli derivanti dal buio.

Il lettore Umberto Capurso dice che «Quando la falce della luna è coricata … Il marinaio deve stare attento, possibilità che il tempo cambia facilmente.»

In ogni caso è assodato che in mancanza del chiarore lunare gli uomini in mare devono agire con maggior attenzione.

Come molti proverbi e Detti anche questo invita ad agire con cautela.
Ringrazio questi due miei amici per il loro contributo diretto.

Filed under: Proverbi e Detti

Lattüche de mére

Lattüche de mére s.f. = Lattuga di mare

Trattasi di un’alga (Ulva lactuca) molto comune anche nel nostro mare. Era usata dai pescatori, quando non esistevano sistemi refrigeranti, per coprire le cassette dei pesci allo scopo di tenerli umidi e così prolungarne la freschezza.
Ho letto che nei Paesi nordici (Scozia, Danimarca, Irlanda, Scandinavia) e in Indonesia viene mangiata come l’insalata orticola.
(Foto Amilcare Renato)

Filed under: LTagged with: