Mbezzàrece

‘Mbezzàrece v.i. = infilarsi, inserirsi, introdursi.

Deriva chiaramente dallo spagnolo empezar = cominciare, iniziare.

(dice Google traduttore: Empezar = El momento que constituye el punto de partida. Comience a usar o consumir un producto = Il momento che costituisce il punto di partenza. Inizia a utilizzare o consumare un prodotto.)

Il verbo viene usato anche figuratamente, come ad esempio:

  • inserirsi nel campo lavorativo,
  • introdursi nel ramo della politica,
  • farsi accogliere dalla famiglia del/della futuro/a consorte,
  • immettersi nell’ambito studentesco, sportivo, artigianale, militare, ecc..

Il dott. Sandro Mondelli mi suggerisce un esempio calzante:
Mò c’jì ‘mpezzéte e völe fé ‘u mastre = Adesso ha iniziato e (già) vuol fare il maestro.
Troviamo spesso dei saputelli che, come diceva mio padre,  “ne devono mangiare di pane tosto”, ossia costoro hanno bisogno di fare una lunga esperienza prima di potersi affermare nel mestiere.


Nella forma transitiva ‘mbezzé significa conficcare, piantare un chiodo, un picchetto.

Il dott. Enzo Renato asserisce che ‘mpezzete (leggi mbezzéte) significa: che gli son spuntate le penne. Il termine è mutuato dai nidiacei che mettono le punte, spuntoni, delle prime penne.

Ringrazio i due lettori sopra citati per il loro prezioso contributo, utilissimo alla stesura di questo articolo.

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Pigghjé ‘a mmiéte

Pigghjé ‘a mmiéte loc.id. = Prendere la rincorsa

Fare una breve corsa per slanciarsi in un tuffo, un salto, un assalto ecc.
Avventarsi, slanciarsi, piombare addosso a qualcuno o per scavalcare un ostacolo.

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Agguattàrece

Agguattàrece v.i. = acquattarsi

La nostra magnifica lingua italiana ci propone molti sinonimi, che rendono tutti bene l’idea di quello che intendiamo dire col nostro dialetto: nascondersi, rintanarsi, accovacciarsi, rannicchiarsi, aggomitolarsi, 
accucciarsi, rincantucciarsi (verbi tratti dal vocabolario “Sinonimi e Contrari”)

Insomma il verbo agguattàrece descrive l’operazione di posizionarsi per bene sotto le coltri allo scopo di proteggersi dal freddo, specie se si è raffreddati.
Statte agguattéte ca fé frìdde = Resta ben rannicchiato sotto le coperte perché fa freddo. Ossia: resta acquattato, non scoprirti.

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Prescìgghje

Prescìgghje s.m. = Eccitazione, euforia.

Tensione emotiva che induce agitazione, ansia incontenibile, specificamente riferita all’ attesa di un evento piacevole.

Si usa dire mettìrece ‘mprescìgghje = mettersi in eccitazione. La preposizione “in” viene incorporata nel sostantivo.

Con lo stesso significato si usa dire: mettìrece ‘nzanzolle e mettìrece ‘ngarzìlje

Vedüte a löre, ce so’ mìsse ‘mprescìgghje p’i fèste! = Guardateli! Si sono messi in eccitazione per le feste!

Ovviamente deriva da prüsce e prescèzze = gioia, contentezza.

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Cógne

Cógne s.m. = Cuneo, zeppa

Era un oggetto di da taglio in acciaio temprato, in uso presso gli spaccalegna per rompere manualmente i segmenti di rami grossi poggiati al suolo (Fig.1)

Si conficca dapprima il cuneo nel ceppo per un paio di centimetri lungo le venature del legno e poi con colpi ben assestati con la mazza (grosso martello usato anche per spaccare pietre) lo si riduce in pezzi più piccoli.
Per questa operazione oggi i boscaioli si avvalgono di apposito macchinario.

I nostri cógne sono fatti anche di legno, e di varie dimensioni.
Quelli più grossi si posano sotto le ruote di qualsiasi veicolo allo scopo di evitarne l’indietreggiamento (Fig. 2)
Altri più piccoli, detti cugnetjille o zèppe, si pongono sotto i piedini dei mobili zoppicanti per non farli traballare.
I cógne di plastica, più fattura più recente, servono per bloccare la porta aperta nella posizione voluta.(Fig. 3)

Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
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Pezzüche

Pezzüche s.m. = Picchetto


«Paletto appuntito di legno o di ferro che si pianta nel terreno per fissare tende da campeggio o per eseguire misurazioni topografiche, o come segnale di tracciati stradali, confini e sim.»
(Definizione coniata dal Vocabolario on line della Hoepli Editore)

Si usa come piolo per fissare tende militari, coperture, pali da vigneto, ecc.

Il nome pezzüche deriva dal fatto che l’oggetto è appuntito, pizzuto, che termina a punta, e  può riferirsi a qualsiasi oggetto acuminato.

Attenzione a distinguerlo dal quasi omografo pìzzeche (pizzicotto o pala di fichidindia)

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Cecalùcchje

Cecalùcchje s.m. = Mantide religiosa

È un insetto (Mantis religiosa) diffuso dall’Africa all’Europa Centrale che ama i climi caldo-temperati.
Erroneamente ritenuto dannoso per l’agricoltura,  o addirittura pericoloso per l’uomo che sta a contatto con la vegetazione.  Di qui il nome dialettale cicalùcchje o anche  cecalùcchje = che acceca l’occhio.

Di misterioso sappiamo solo che la femmina, dopo l’accoppiamento, che (beati loro) dura alcune ore, si divora il maschio, cominciando dalla testa…

La inesauribile Wikipedia ci fornisce una spiegazione diciamo biologica di questo cannibalismo:
«L’accoppiamento delle mantidi è caratterizzato da post-nuziale: la femmina, dopo essersi accoppiata, o anche durante l’atto, divora il maschio partendo dalla testa mentre gli organi genitali proseguono nell’accoppiamento.
Questo comportamento è dovuto al bisogno di proteine, necessarie ad una rapida produzione di uova; prova ne è che la femmina d’allevamento, essendo ben nutrita, spesso “risparmia” il maschio.»

Ringrazio il dott.Enzo Renato per aver evocato questo termine dialettale quasi desueto.

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Ròtelavjinde

Ròtelavjinde s.m. = Ipèrico, Erba di San Giovanni.

È una pianta spontanea, la Hypericum perforatum, chiamata anche Erba di San Giovanni, usata in erboristeria per le sua qualità curative.

I nostri raccoglitori di fichidindia la usavano solo per spazzolare i frutti raccolti e stesi su uno spiazzo allo scopo di privarli, almeno grossolanamente delle micidiali spinette. Infatti identificavano la pianta col nome di scuparèlle,  piccola scopa.
Presumo che il nome sia composto dalla terza persona del verbo rutelé, rimestare, come il movimento rotatorio dell’erba sui fichidindia, e vjinde = vento, che si porta via le spine. Per fare questa operazione la persona deve porsi sopra vento…

Ho attinto il nome scientifico della pianta dall’inesauribile  “Vocabolario Manfredoniano” dei miei amici dr.Pasquale Caratù e dr.Matteo Rinaldi, (Nuovo Centro di Documentazione Storica di Manfredonia-2006), ai quali va il mio ringraziamento. Io non ci sarei mai arrivato!

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Scìgne ‘n palazze (‘a)

Scìgne ‘n palazze (‘a) loc.id. = Scimmia in palazzo (la)

Questa locuzione idiomatica definisce una donna che ritiene di essere diventata una vera signora  solo perché non abita più al piano terra, come nel secolo scorso avveniva per il popolino.
Difatti i piani più alti erano dimora dei più abbienti, che ostentavano anche così il loro status sociale..

Il corrispondente maschile era definito pezzènte revenüte = pezzente rinvenuto, come per dire che fino a poco tempo prima era un poveraccio…

Il grande Totò spesso ci ricordava che “signori” (nel senso più alto del termine) si nasce, non si diventa.

Ringrazio l’inesauribile dott. Enzo Renato per l’imbeccata.

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Jèsse ‘u mègghje vöve d’a caravéne

Jèsse ‘u mègghje vöve d’a caravéne prov. = Essere il miglior bue della carovana.

Figuratamente si immagina un tiro di buoi a trainare l’aratro o il carro, tra cui spicca uno particolarmente possente.

È un complimento rivolto a quella persona che si distingue in un gruppo di amici perché trainante, disponibile, attivo, carismatico.   In effetti  quando quando lui è assente la comitiva sembra un mortorio…

Amme pèrse ‘u mègghje vöve d’a caravéne! = Abbiamo perduto il più valido del gruppo.

Si usa anche, con lo stesso significato, jèsse ‘u pjirne prengepéle = essere il perno principale, il caposaldo, il cardine.

Ovviamente la frase può avere un significato canzonatorio per sfottere amichevolmente una persona presa di mira dal gruppo.

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