Cerolotte

Cerolotte s.m. = celluloide

È la contrazione di “celluloide”, la prima materia plastica inventata nella seconda metà dl 1800 impiegando sostanze naturali (nitrocellulosa, azoto e canfora).
Venne usata per confezionare giocattoli, montature di occhiali, pellicole per film e foto, penne stilografiche, ecc. Aveva lo svantaggio di essere estremamente infiammabile.

Ebbe successo nell’industria automobilistica che usa tuttora il “vetro di sicurezza” (detto vetro stratificato), ossia composto da due lastre di vetro tenute insieme da uno strato di celluloide. Da pochi anni per incollare le due lastre viene usato uno strato di  polivinilbutirrale (notizia fornita da Wikipedia).
La celluloide era impiegata anche per la copertura trasparente della carlinga nei velivoli da guerra.

Ora la celluloide viene sostituita totalmente da polimeri, derivati dalla lavorazione del petrolio (plexiglass, box doccia, targhe, ecc.)

Ringrazio il lettore Giovanni Ognissanti per avermi suggerito questo termine, che era passato completamente nel dimenticatoio.

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Mezzöne

Mezzöne s.m. v.t. = mozzicone, cicca;  eludere, scansare, fare finta di corpo

1) – Mezzöne – È la parte rimanente di un oggetto parzialmente reciso, spezzato o consumato.
Specificamente noi intendiamo la parte incombusta di una candela o la parte terminale  una sigaretta o del sigaro

Mi ricordo, quando le sigarette erano prodotte solo senza filtro,  di qualche disperato jöve recugghjènne ‘i mezzüne = andava raccogliendo le cicche che i fumatori abbandonavano nella Villa o per il Corso, con le quali confezionava e si fumava dei puzzolentissimi spinelli.  Effetti della miseria.

2) – Fé ‘u mezzöne,  Nel gioco del calcio si usa un brutto verbo, dribblare, passato dall’inglese, ossia fare dribbling; finta di corpo, movimento d’inganno per superare l’avversario.

Nei giochi fanciulleschi fé ‘u mezzöne signifca spiazzare l’inseguitore cambiando improvvisamente direzione della fuga.
Eludere, scansare abilmente una minaccia, sgattaiolare.

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Šcaùtte

Šcaùtte (o Šcavùtte o Šcavùrte) s.m., agg. = Tozzo, tarchiato

È un termine ormai desueto. Designava una persona bassa, tarchiata, forzuta, come i cavalli “schiavi”, ossia provenienti dall’antica Slavonia o Schiavonia.
Così era intesa una Regione geografica e storica della Croazia orientale, che aveva stretti rapporti commerciali con la Repubblica di Venezia.
Per estensione erano detti “Schiavoni” o “Schiavi” anche gli abitanti slavi (non latini) provenienti dalla Dalmazia, sotto il dominio della Serenissima, considerati ottimi soldati, chiamati “i fedelissimi di San Marco”.
Ricordo che a Venezia esiste tuttora la “Riva degli Schiavoni”, adiacente Piazza San Marco, così chiamata perché vi approdavano per i loro commerci le navi mercantili slave, ed erigevano le bancarelle per la vendita dei loro prodotti.

Dei “cavalli schiavi”, muscolosi e pieni di forza parlano diversi documenti storici che provengono da Dubrovnich (la bellissima città adriatica detta “Ragusa di Dalmazia” dai tempi della Serenissima).

Sappiamo che quando spira il vento freddo dai Balcani le nevicate arrivano fin sulla costa adriatica.
Anche quel vento dagli antichi abitatori di Puglia e Basilicata era chiamato Šcavenidde”, ossia proveniente dalla Schiavonia.

Ringrazio di cuore il dott.Matteo Rinaldi per avermi fornito tutti i dati utili alla compilazione di questo articolo.
Mi ha fatto venire in mente un compagno di giochi, dalle parti di della Chiesa di S. Francesco, che era detto proprio Šcavùtte (anche Šcavùrte assonante con urte = orto). Ora collego il perché: era nostro coetaneo, ma a differenza di noi mingherlini, costui era grosso, forte e ben piantato!

Nota linguistica.
Vi ricordo che la consonante “s” accentata con il segno diacritico della “pipetta” (tecnicamente detta hacek), usata in alcune lingue straniere slave o nordiche, ossia la “š” si deve leggere come il francese ch o l’inglese sh, o l’italiano “sce” o “sci” (scena, scemo, sciarpa, sciroppo, ecc.).

Un esempio conosciuto anche da noi è il famoso marchio «Škoda» (auto, camion e motori marini).

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Vüje de San Giàcheme Jalìzzje

Vüje de San Giàcheme Jalìzzje s.f. = Galassia, Via lattea

Alla lettera si traduce come “Via di San Giacomo di Galizia”, che sarebbe il famoso “Cammino di Santiago di Compostela”, la città della Galizia (Spagna) che attrasse fin dal Medioevo pellegrini da tutta Europa.

Ma che c’entra San Giacomo con la Via Lattea?

Esistono diverse leggende popolari sulla presenza della Via Lattea nel cielo stellato. Riporto testualmente le parole del dott. Matteo Rinaldi (cui va il mio sentito ringraziamento) che si riferiscono alla leggenda diffusa fra noi Pugliesi:

«Nel nostro Tavoliere, caratterizzato soprattutto dalla sua prevalente attività agricola, quella Galassia veniva quasi sempre attribuita ad una scia di paglia che un antico carrettiere aveva perso dal suo carro (una volta veramente per il trasporto della paglia si usava il cosiddetto carrettöne che era più capiente del carro) mentre faceva ritorno verso la montagna.
Un tempo, la paglia scarseggiava nei territori montani e la si andava a recuperare nelle campagne del Tavoliere, in quelle campagne che facevano parte, con un termine onnicomprensivo, della “puglia”»

Mio padre (classe 1901) me la raccontò arricchita di un particolare: il carrettiere era “San Giàcheme Jalìzzje” in persona e la paglia era stata rubata in una masseria della Puglia piana. Gesù gli ordinò di restituire immediatamente il maltolto e per percorrere a ritroso lo stesso itinerario, dato che ormai era notte, la scia di paglia perduta in precedenza divenne luminosa per consentirgli di compiere l’azione riparatrice in tutta sicurezza.

Ovviamente mio padre non aveva idea, nemmeno lontanamente, dell’esistenza della Galizia sulle rive spagnole dell’Atlantico. riteneva Jalizzje o Vijalìzzje fosse il cognome o il soprannome dell’Apostolo San Giacomo.

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Santìlle

Santìlle s.m. = Santino

Riporto testualmente la definizione essenziale della Treccani:
«Piccolo cartoncino rettangolare stampato, che su un lato riproduce la figura di un santo o altro soggetto sacro, e sull’altro reca una preghiera o formula di invocazione»

La foto riproduce una immagine a noi molto cara.

In lingua italiana è passata la voce “santino” anche per designare l’immagine che i candidati politici-amministrativi producono di sé per la campagna elettorale.

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Jì chjù mègghje a cummanné ca a fotte

Jì chjù mègghje a cummanné ca a fotte

Questo Detto sintetizza il fascino del Potere.

Il Potere non significa solo possedere le leve di comando in ambiente politico, scientifico, militare, giudiziario, ecclesiastico, finanziario, ecc., ma anche semplicemente la facoltà di agire secondo la propria volontà, senza dover assecondare nessuno, possibilmente avvalendosi di sottoposti.

Insomma secondo alcuni il piacere derivante da questo status è superiore a quello sessuale.
De gustibus…

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Attandüne (all’)

Attandüne (all’) avv. = A tentoni, alla cieca

Si usa l’avverbio “all’attandüne” per indicare l’avanzamento al buio, tastando con i piedi o con un bastone il terreno o lo spazio davanti a sé per accertarsi dell’assenza di ostacoli.

In italiano si dice “camminare tentoni (o a tentoni)” oppure “camminare testoni” ed è usato, anche in senso figurato, come sostituto del bel sinonimo “brancolare”.

In dialetto l’avverbio deriva da (clicca—>) attandé = tastare, toccare

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Suma’

Suma’ s.m. = Maestro, Mastro

L’appellativo suma’ era usato dagli allievi di bottega quando si rivolgevano al loro Maestro artigiano (sarto, fabbro, falegname, sellaio, muratore, lattoniere, fornaio, ecc.). Spesso costui era anche maestro di vita: con il suo esempio insegnava rispetto, onestà, correttezza. Un educatore rispettato anche quando gli allievi aprivano una loro autonoma attività.

Secondo la mia opinabile opinione è la forma contratta di “u màstre“. 

Il lettore Matteo Borgia – che ringrazio di cuore – ha formulato questa ipotesi sull’origine di suma’:
«L’attributo sua o suo è una forma di rispetto (sua signoria, sua maestà, sua santità, sua eccellenza, ecc. ecc.).
Perciò suma’ è la forma contratta di “sua maestria».

Allo stesso modo contratto, aggiungo io, si è formato surüje [contrazione di (clicca→) segnerüje] e, in siciliano, il vocativo vossia, e voscenza (vostra signoria, vostra eccellenza)

Parlandone a terzi gli allievi indicano il proprio maestro/a con: ‘u mastre müje, o ‘a mastra möje = il mio maestro, la mia maestra.

In termini generici basta ‘u mastre o ‘a mastre

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Monzegnöre lu töne grusse

Con la stessa soluzione del precedente indovinello sul “Monsignore” (clicca qui) vi propongo questo secondo quiz inviatomi dal lettore Luciano Nicola Casalino, cui va il mio più vivo ringraziamento:
Manzegnöre lu töne grússe
ammizze a püle, carne e jusse.
Quanne vöde i fèmmene bböne,
pí, e ce lu cacce da före!


L’Arcivescovo lo tiene grande in mezzo a peli, carne ed ossa. Quando vede le donzelle graziose, subito lo mette in bella mostra.

La soluzione FALSA è davvero irriverente, ma quando si svela che si tratta del grosso Anello Pastorale si ammette che tutto combacia perfettamente.

Ho notato che ha la metrica e gli accenti giusti per adattarsi alla conosciutissima musica di “Garibaldi fu ferito”

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Adduré

Adduré v.intr. e v.tr.= Odorare, emanare un buon profumo, annusare

Nella forma intransitiva assume il significato di olezzare, emanare odore, effondere fragranza.
Quant’addöre ‘a rìnje du Garghéne! = Quanto profuma l’origano del Gargano!

Invece nella forma transitiva significa annusare, percepire un aroma, un odore, aspirare la fragranza.
Addure ‘stu tabbacche, Te piéce? = Annusa questo tabacco. Ti piace?

Proverbio:
Se l’addure ‘ngüle föte püre jìsse = Se gli annusi il culo, puzza anche lui.

È una constatazione della nostra condizione umana. Molti personaggi si ritengono superiori agli altri per carica o ruolo sociale. Anche loro sono uomini, con i propri errori, stranezze e contraddizioni, non esenti dalle miserie umane, fisiche e intellettuali.

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