Vèrme a pallotte

Vérme a pallotte s.m. = Onisco, Porcellino ti terra.

L’Onisco (Armadillidium vulgare) è un crostaceo terrestre dell’ordine degli Isopoda.

 È conosciuto con numerosi nomi comuni: porcellino di terra, mallellone selvatico, porcellino di Sant’Antonio, onisco.  Può raggiungere una lunghezza massima di 18 mm e durante l’inverno entra in uno stato di dormienza che rende possibile all’isopode di sopportare temperature che altrimenti gli sarebbero letali

Si prolifera a ondate in luoghi umidi, in genere all’aperto. Per questo esce di notte alla ricerca di cibo (vegetali o animali morti).

Quando è in posizione di riposo, si appallottola, formando una vera e propria sfera di colore grigio scuro, così da proteggersi da eventuali aggressori.

Erroneamente è ritenuto come animale parassita. Invece è del tutto innocuo. Anzi la sua presenza rende il terreno più aerato e sgombri da altri insetti dannosi

Ringrazio il dr.Enzo Renato per il suo suggerimento.

 

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Pisciachéne

Pisciachéne o Pisciarille s.m. = Cocomero asinino, sputaveleno

Si tratta di una pianta infestante (Ecballium elaterium) che ha la singolarità: all’interno del frutto – a forma di vescica ovoidale contenente  i semi e un liquido che li circonda –  sviluppa una pressione idraulica molto elevata. Al minimo movimento (animali che li sfiorano, vento) questi frutti si staccano dal peduncolo e “sparano” lontano anche alcuni metri, liquido  e semi.

In questo modo singolare la natura  favorisce la  riproduzione della pianta in uno spazio più esteso. Gli studiosi botanici hanno misurato fino a 12 metri la gittata balistica dello spruzzo!

Lo schizzo del liquido ha fantasiosamente dato il nome dialettale (piscia+cane) o regionale (sputa+veleno).
Dice Wikipedia che «In medicina si può usare il liquido essiccato come forte purgativo; in erboristeria ne è vietato l’uso data l’elevatissima tossicità».

Questa pianta è infestante e cresce in tutto il Bacino Mediterraneo, specie nei terreni costieri incolti, perché non sopporta temperature molto rigide.

La Treccani mi fornisce le divertenti denominazioni in lingua straniera:
fr. concombre sauvage, concombre d’âne, giclet;
sp. cohombrillo amargo, pepinillo del diablo;
ted. Springgurke, Eselsgurke;
ingl. squirting cucumber

 

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Lué da mjizze

Lué da mjizze loc.id. = Uccidere, assassinare

Alla lettera significa levare di mezzo, togliere di torno, allontanare oggetti ingombranti, fare spazio attorno a sé.
Francì, mò adda lué da mjizze tanta mercjüne = Francesco, ora devi togliere di mezzo tante cianfrusaglie!

Ma la perifrasi ha anche il significato gravissimo di eliminare fisicamente qualcuno.
Coddu desgrazzjéte völ’èsse luéte da mjizze! = Quel farabutto merita di essere ammazzato!

Viene detto come minaccia o come auspicio verso qualcuno che contrasta gli interessi individuali o collettivi, e quindi che intralcia, che sta “in mezzo” al proprio o all’altrui  percorso.

Fanne bbune se ‘u lèvene da mjizze = Fanno bene se lo ammazzano.
Il destinatario di questo “augurio” dev’essere sicuramente un delinquente incallito,  un serial killer, uno che si arricchisce rifornendo i pusher della droga, un serial killer, un pedofilo, uno stupratore, o un dittatore sanguinario., che meritano tutti il carcere a vita.

Fortunatamente sono pochissimi quelli che passano dalle parole ai fatti.

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Accumenzé

Accumenzé v.t. = Cominciare, iniziare

Il verbo è di chiara etimologia latina: cum initiare, successivamente passato in tutte le lingue romanze comencer (fr.) comensar (sp.) començar (port.).

Iniziare un’azione, un manufatto cui verrà date un seguito per il suo completamento.
Quann’jì ca accumenzéte a frabbeché? = Quando (è che) inizierete a costruire?

Mò ‘ccumènze! = Adesso inizia!
È una sorta di rimprovero rivolto verso qualcuno che si comporta in maniera riprovevole, e ripetitiva.
Ad esempio riferito all’ubriaco che si mette a cantare, o a parlare in modo scurrile, o al bimbetto che in modo petulante e ripetitivo vuol ottenere qualcosa negatagli precedentemente.

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Rucchje

Rucchje s.m. = Rocchio, tocco, pezzo, parte

Specificamente indica ciascuno dei pezzi della salsiccia, fresca o stagionata, ottenuta con la strozzatura del budello e legata con spago.
Quanne fé ‘u süghe, mamme mètte sèmpe düj rucchje de savezìcchje = Quando fa il sugo mia madre mette sempre due rocchi di salsiccia.

(Foto tratta dal web)

Gli ingrossamenti tipici del tarallo puperéte possono essere chiamati rucchje o ntacche (tocchi).

(Foto tratta da “il sipontino.net”)

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Peppenèlle

Peppenèlle n.p. = Peppa, Giuseppa, Giuseppina, Pina, Peppina

È il femminile del diffusissimo Peppenjille (Peppino, Peppe, Pino, Pinuccio ecc.)

A noi anziani questo nome rievoca un estroso venditore ambulante, Felìppe i cardüne (Filippo dei cardi) detto anche Felìppe ‘i quatte fìgghje (Filippo quattro figli), che veniva in città dalla campagna col carretto pieno di ortaggi vari.
Costui, per attirare i compratori, aveva un modo singolare di lanciare le sua grida, in perfetti versi ottonari a rima baciata:

«Chi ce mange ‘sti cardüne
fé li fìgghje ‘mbriacüne!
» = Chi si mangia questi cardi fa i figli ubriaconi!

«Chi ce mange ‘i rafanjille
fé li fìgghje mariungjille! » = Chi si mangia i ravanelli fa i figli ladruncoli!

Un altro suo grido che esaltava la freschezza del prodotto, con le ultime parole declamate quasi come in nenia discendente: 
«Tenerjille, tenerjille u rafanjille!
L’agghje cùlte allu giardüne de Peppenèlla müje!» = Teneri teneri (sono i miei) ravanelli! Li ho raccolti dal giardino della mia Peppina!
Ascolta il sonoro cliccando sul triangolino bianco qui sotto (↓)

 

Spesso il retro del suo carretto era presa d’assalto, nonostante i colpi di frustino, da una masnada di monelli scalmanati per depredarlo di meloncini o cetrioli!

Era talmente pittoresco questo signore che il suo martellante intercalare “Peppinella mia” rimase celebre e diffuso in tutta Manfredonia, sia se si nominava giardino sia se il discorso cadeva sulla freschezza di un ortaggio.

Sì, l’agghje cùlte allu giardüne de Peppenèlle… = Sì, l’ho raccolto nel giardino di Peppinella…

Talmente diffuso, ma qui forse sto lavorando un po’ di fantasia, che una nave mercantile allestita da armatori locali fu battezzata proprio “Peppinella”.

Peccato che, nel suo viaggio inaugurale, carica di minerale di ferro, fu speronata da un Cargo norvegese quasi otto volte più grande, e affondò nel Canale della Manica, nei pressi di Dunkerque nel 1956.

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Ugghje (all’)

Ugghje (all’) loc.id. = a cavalluccio, a cavalcioni

Portare, per gioco o per soccorso, una persona a cavalcioni, ossia con le gambe divaricate, come si sta in sella al cavallo, 

A Roma dicono a cavacecio, ossia “a cavallo del ciuccio” (ciuco).

Perché noi invece citiamo  l’ugghjie, l’olio?
Anticamente l’olio si conservava in otri di pelle.
Per trasferire l’olio dal frantoio al magazzino dell’acquirente, si caricavano  e si scaricavano gli otri ben serrati, ovviamente a spalla, o sul carretto o sul basto di un animale da soma. 

Per similitudine, come il frantoiano si caricava dell’otre sul groppone, e lo teneva ben saldo con le braccia, attento a non farlo cadere, così si immaginava il papà che si porta il frugoletto all’ugghie, alla maniera dell’olio.

Questa origine della locuzione mi venne spiegata da un anziano parente quanto ero io frugoletto e mi piaceva immensamente stare all’ugghje, a cavalcioni di mio padre.

 Invito a commentare con  altre versioni se sono a vostra conoscenza.

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Mantenì

Mantenì v.t. = Mantenere, reggere, sorreggere

Deriva dal latino manu-tenère, ossia tenere in mano.

In senso fisico è tenere fisso e fermo un oggetto.
Esempio reggere una scala a pioli, dando sicurezza al collega che esegue un lavoro situato in alto; reggere gli arnesi da passare sempre al collega che questa volta armeggia a livello del pavimento.

In senso figurato conservare qualcosa allo stesso stato, o sovvenzionare costantemente qualcuno con denaro.
L’esempio classico è quello di sostenere l’amante (femminile singolare) con abitazione e quota fissa mensile…

Il significato poi si è allargato ulteriormente assumendo varie connotazioni. Il prezioso sito https://sapere.virgilio.it/parole/sinonimi-e-contrari/ ne cita un bel gruppo: « conservare, fare durare, tenere, tenere saldo, restare in possesso, detenere, reggere, serbare, difendere, rispettare, osservare, tenere fede, adempiere, proteggere, difendere, custodire, tutelare, sostentare, alimentare, nutrire, allevare, crescere, provvedere, fornire i mezzi, assicurare il necessario, finanziare, sostentarsi, sfamarsi, alimentarsi, conservarsi, durare, restare, rimanere, continuare.»

Aggiungo per alleggerire il discorso la locuzione mantenì ‘a cannöle, corrispondente al romanesco réggere er móccolo, che descrive l’imbarazzante situazione di una terza persona in mezzo ad un momento di intimità di una coppia di innamorati.

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Sécrètè

Sécrètè s.m. = Secrétaire, mobile a ribalta,

Si tratta di complemento d’arredo senza tempo, facilmente adattabile alle esigenze contemporanee, dotato di un’anta a ribalta che – una volta abbassata – funge da piano di appoggio. L’interno è suddiviso in ripiani e cassettini per contenere oggetti di cancelleria,  gioielli o profumi.

In origine era usato principalmente come scrittoio, e come contenitore di documenti importanti.

Quelli d’antiquariato -(foto in alto) hanno fattura  di legni pregiati e una linea elegante ed elaborata.

Quelli moderni (foto a sinistra) sono semplici e lineari, ma ugualmente funzionali ed apprezzati.

Il termine francese secrétaire è stato adottato più o meno con la stessa pronuncia sécrètè, oltre che dal nostro dialetto anche altre lingue (ingl. secterair,  ted. Sekretär, ecc.)

Per estensione in tempi recenti anche al glorioso sécrétè è stato affibbiato il nome di “settimino” che propriamente designa una cassettiera priva di ribaltina anch’essa facente parte dell’arredo della camera da letto quale contenitore di biancheria.

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Scurènze

Scurènze s.f. = Annebbiamento

È usato nella locuzione scurènza d’ucchje per indicare un offuscamento della vista dovuto a malore, tanto da sentirsi mancare, quasi da cadere in deliquio.

Usato anche come equivalente delle locuzioni in lingua “andare il sangue alla testa” e “non vederci più” come causa di gesti incontrollati a seguito di una solenne arrabbiatura. Insomma una reazione forse spropositata ad una ingiustizia, ad un torto, ad un’offesa.

Sicuramente deriva da scurènze deriva da scuro, buio.
In effetti un attimo prima di svenire si “vede” tutto nero. Insomma si è preda di una scurènza d’úcchje.

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