Categoria: Soprannomi

Mangiandùrce

Mangiandùrce sop.= Che mangia i troccoli

Mangione di troccoli, la tipica pasta fresca pugliese.

Gli piacevano i troccoli. Beh? Mica solo a lui.

E a mè ca me piàcene ‘i recchjetèlle?

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Maradòsse

Maradòsse sopr.

Soprannome di un simpatico personaggio, piccolo commerciante ambulante, che in gioventù girava per le strade con un carrettino carico di varie mercanzie trainato da un somarello. In età più avanzata esponeva le sue carabattole sul marciapiede della villa Comunale, vicino alla Chiesa Stella Maris.

Per l’etimologia , assolutamente sconosciuta, mi piace lavorare di fantasia:

a) può significare Paradosso, termine filosofico scient., “dimostrazione che, partendo da presupposti riconosciuti validi, arriva a conclusioni che sembrano contrastare col senso comune o che appaiono contraddittorie”.
Ma non credo che il popolino che affibbiava i soprannomi si intendesse di filosofia…

b) può derivare da Para dòs, ossia “per due” in lingua spagnola, parlata dagli Italiani emigrati nel ‘900 in Venezuela o in Argentina. Ordinazione al bar. “Un ruhm”. L’amico si accoda: “para dòs!”.

c) Il lettore Lino Brunetti dà la versione pervenutagli da sua madre, sarta di professione. La signora asserisce che “marados” era il nome straniero storpiato di una ditta di mercerie, era una marca in pratica. Il povero Maradòsse, defunto da pochi anni, lo lanciava come richiamo, quando si fermava agli incroci con la sua carrettella, all’epoca in cui tutti i nomi erano italianizzati per legge, cioé prima della guerra, per dare un tocco esotico al suo richiamo, alla sua mercanzia.

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Melìsce

Melìsce sopr.

Stirpe di pescatori di cognome Sventurato.

Chi sa dare una spiegazione? Sono portato a pensare al cognome Liscio diffusissimo nel Napoletano e a Potenza.

Canuscjute a ‘nu marenére ca fatuje pe Cianèlle? Sì, jì Giuànne, appartjine a quìdde Melìsce! = Conoscete quel marittimo che lavora con Cianelle? Sì, è della famiglia di Liscio.

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Mešküne

Mešküne  sopr. = Meschino

Forse è una deformazione del titolo del famoso romanzo popolare “Guerin Meschino”.

Era il nomignolo del titolare di un’altra nota cantina (oltre alle già citate cantine di Ciumarjille, Nzaléte, Menjille e Pachjireche).

Ricordo La targa di latta dipinta di verde incernierata ad un’asta di ferro come uno stendardo che il vento faceva cigolare, con le fatidiche lettere V.D.V. Qualche altro vinaio faceva dipingere sul solito campo verde dell’insegna anche un Pulcinella a figura intera.

Avevo cominciato la prima elementare, e non riuscivo a capire che caspita volessero dire, e sopratutto come accidenti si dovessero leggere quelle fatidiche tre lettere vdv (udu, udv?).

Le lettere di “Cinema Pesante”, “Farmacia Murgo”, “Foto-ottica”, le leggevo bene. Ma quell’accidente di trittico VDV non mi lasciava riposare.

Mi ha svelato il mistero mio padre, cui finalmente decisi di rivolgermi. Significava semplicemente VENDITA DI VINO.

Fate una ricerca per vedere se a Manfredonia esistono ancora queste insegne. Forse non esistono più nemmeno le cantine: ora beviamo tutti il vino già imbottigliato dalle Cantine Sociali…

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Ndiscià

Ndiscià sopr. = De Salvia

Secondo alcuni è una corruzione del cognome De Salvia, storpiato in dialetto passando di bocca in bocca per tante generazioni. Ma potrebbe significare anche “che vive nella zona Sciali, o che proviene da essa”. 

Chiarisco subito che Sciale ( ‘u Scéle), nella toponomastica locale, significa terreno sabbioso costiero, una volta acquitrinoso e impaludato che si estendeva da Siponto a Zapponeta

Molta gente, prima della bonifica, traeva il suo sostentamento vitale da quella palude . In dialetto le persone che ogni giorno si recavano ‘nd’i scéle, venivano chiamati “scialajùle”. Costoro vivevano di caccia o più semplicemente catturando anguille, o tagliando giunchi per farne canestri, scope e fondi di sedie, o raccogliendo sanguisughe da vendere alla farmacia per taluni malanni che richiedevano il salasso.

Allora quidd’indiscià, possono essere sia i De Salvia, sia più genericamente “quelli che vivevano negli Sciali”.  Rimarremo sempre in dubbio o in attesa  di una smentita.

I membri  della famiglia Ndiscià, i De Salvia, sono tutti musicanti, dall’orecchio e dal gusto musicale sopraffino, che hanno operato per tutto il Novecento, e tuttora Peppino,  il figlio maggiore di Pietrino, è attivo col il mandolino e il violino ad allietarci nelle serate estive; l´altro, Tony, diplomato in clarinetto al Conservatorio, suona anche il sax, la chitarra e altri strumenti a corda.

Ricordo  Jennére, Gesèppe e i suoi figli Ndenjócce, Petrüne, Lelüne.
Un certo Ze Luìgge, loro antenato, negli anni ’20 aveva allestito una scuola di ballo frequentato da pescatori che volevano imparare i passi fondamentali.  Suonavano in casa la sera, lui, la moglie e i figli,  per guadagnare qualche lira.

È proverbiale la risposta a tempo di musica, di Ze Luìgge ad un allievo ballerino che gli chiedeva di suonare, a credito, una ´bella mazurka`: “Te vògghje avì pròprje crèdde” = ti voglio proprio credere.

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Ndùrce pe ll’öve

Ndùrce pe ll’öve s.m. sopr. = Pasta all’uovo

1) Pasta alimentare tipica pugliese. Cliccate su ndurce.

2) ‘Ndurce pe l’öve era soprannominato un tipico personaggio manfredoniano, che accoglieva i viaggiatori alla stazione città, offrendo loro, con voce querula, la possibilità di alloggiare all’ “Albergo Italia” di Vituccio, chiuso negli anni ’70, situato all’inizio del Corso Manfredi.
Era anche disponibile a portare a mano i loro bagagli: “Albergo, signori volete l’albergo?, Qui c’è l’albergo.!”
Probabilmente declamava anche le portate della cucina locale. Ecco perché, presumo, gli è rimasto affibbiato quel nomignolo.

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Ostia-chjöne

Ostia-chjöne s.f. e sopr.= Ostia ripiena

(foto Nicola Muscatiello)

È un dolcetto tipico garganico e della intera Capitanata

Tra due cialde (sfoglia di farina impastata, non lievitata, cotta entro appositi stampi) si stende uno strato a caldo di mandorle tostate e caramellate con zucchero e miele.  Se le mandorle si pongono a raffreddare a mucchietti su un piano di marmo si ottengono le cosidette mènele atterréte (←clicca)

Secondo me le due cialde che formano il “sandwich”, essendo del tutto insapori, hanno solo la funzione di evitare che le mandorle appiccicose imbrattino le dita quando si porta questa delizia alla bocca.

Soprannome locale: ricordo Lorenzo Castriotta, ex flicorno soprano della locale banda cittadina, corso Manfredi, angolo via dei Celestini. Suonava l’armonium in Chiesa nelle funzioni liturgiche.

L’amico Lino Brunetti ricorda simpaticamente che Lorenzo Castriotta, aveva la moglie di nome Caterina. I due ebbero due figli laureati in medicina: venivano perciò chiamati, affettuosamente, Lorenzo e Caterina de’ Medici.

 

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Pachjìreche

Pachjìreche agg., sopr. = Chiericuto

Pachjìreche alla lettera significa con la chierica. Costui o era un prete (all’epoca tutti i sacerdoti obbligatoriamente avevano questa tonsura), o uno che, per effetto dell’alopecia,  stava perdendo i capelli.

Tutti sapevano che era una rinomata cantina, affollata dagli intenditori per la buona qualità del vino ivi venduto.

Aveva il banco di mescita per la vendita al minuto del vino sfuso, e alcuni tavolini ove gli avventori affezionati andavano a giocarsi a carte un’abbondante bevuta di vino rosso cerasuolo.

Per apprezzare la qualità del vino, quasi tutti i clienti partivano dalle loro case con in tasca un bel biscotto al finocchietto, ossia (clicca→) ‘nu scavetatjille).

All’inizio ne sgranocchiavano un pezzetto, in modo che la bocca richiedesse un primo bicchiere.  Poi intingevano un altro pezzo nel secondo bicchiere per farlo inzuppare.   Se uno era attento si faceva durare il tarallo fino al quinto bicchiere.

E poi il canto polifonico veniva da sé.

Siccome la cantina era sempre ben affollata, se qualcuno passava lì davanti la sera, sentiva il gran vociare degli avventori avvinazzati.

Era sinonimo di chiasso, strepito. Se in casa c’era un po’ di baccano, il papà per zittire la marmarglia, urlava: e ch’àmme fàtte quà, ‘a candüne de Pachjireche? = E che abbiamo fatto quì, la cantina di Pachjìreche?

Era così ben individuata che c’era questo motto in bocca ai paesani: ” ‘A candüne de Pachjìreche: ‘nu càzze, ‘nu pìppete e ‘nu chitemmùrte!” = La cantina di P.: Un turpiloquio, un peto e una sonora bestemmia..

Tutto un ricco programma per i beoni…

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Paga-a-tótte

Paga-a-tótte sopr. = Pago tutti

In dialetto vero si dovrebbe dire: (io)Péje a tutte quànde.

Ossia, non vi impensierite, sono solvibile, non vi preoccupate!

Evidentemente colui che è passato come capostipite dei pagatori doveva aver un accento forse foggiano.

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Palaciónne

Palaciónne sopr. = Marino, Pelagico

Ovviamente l’origine dei soprannomi non sempre è documentata. Si tentano ipotesi.

Dal latino Pélagus e dal greco Pelagòs = mare

Tutti i pescatori di Manfredonia raccontanto dell’esistenza di una città sommersa, fra Zapponeta e Torre Rivoli.

La leggenda è sorta nel IV secolo d.C. C’è chi dice che si tratta di una città reale, materia per l’archeologia marina.

Insomma di certo si sa solo che quel tratto di mare, in condizioni di limpidezza, mostra talvolta sui fondali delle porzioni di una pavimentazione basolata.

Recentemente una Rivista di archeologia ha pubblicato un articolo a tale riguardo. Cliccate sulla parola Rivista, che appare più chiara, e leggete!

Torniamo al nostro sprannome. Potrebbe derivare da S.Pelagia il famoso paese scomparso. Quindi significherebbe: proveniente da Santa Pelagia, o ancora: religioso del convento o devoto di questa Santa, come dire francescano.

Se vogliamo si potrebbe scovare un significato un po’ volgare: depilatore di peli dal pube femminile….Mi pare troppo forzato! Difatti dovrebbe cominciare con il verbo spelé o pelé, depilare.

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