Categoria: S

Statöre 

Statöre s.f. = Stadera

Bilancia ad asta. Erano largamente usate dai venditori ambulanti perché non ingombranti e facilmente trasportabili

È costituita da un solo piatto sospeso ad un lungo braccio graduato sul quale scorre un peso equilibratore costante chiamato “romano” in italiano. Non credo che il dialetto gli abbia dato un nome. Se qlcu sa com’è detto è invitato a replicare così si completa questa voce.

Nelle stadere di dimensioni maggiori, al posto del piatto vi era imperniato un gancio inferiore cui si appendeva l’oggetto da pesare (ad esempio il sacco pieno di frumento). Il gancio superiore, anch’esso imperniato a poca distanza dal primo, mediante un paletto veniva sollevato a spalla da due uomini mentre un terzo, facendo scorrere il romano fino alla tacca che deteminava l’equilibrio, poteva leggere il peso riscontrato.

In effetti era una vera e propria leva di primo grado. Il fulcro era il perno del gancio superiore, la potenza il romano e la resistenza il peso da determinare. Essendo fissa la distanza della resistenza dal fulcro, la distanza variabile del peso fisso del romano (rapporto detto “momento”= grandezza per una distanza) determinava il peso sollevato.

Scusate le riminiscenze scolastiche delle scuole medie. Non volevo essere troppo scientifico, ma mi è scappato…

Ora si adoperano pese a bascula o elettroniche o automatiche a lettura diretta sul quadrante.

Ingenuamente da bambino ritenevo che statöre derivasse da “asta”….

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Sté ‘ngudda-ngùdde

Sté ‘ngùdda-ngùdde loc.id. = Assillare

Alla lettera significa star addosso addosso, nel senso di non dar tregua, opprimere, assillare.

Un po’ come l’italiano ‘stare alle costole’. Ossia seguire, osservare attentamente in modo che la persona presa di mira righi dritto, non sgarri nemmeno un tantino dalle intese, dalla sua condotta, dai suoi impegni.

Te péje ‘a chése? Stàlle ‘ngudda-ngudde! = (L’inquilino) ti paga (con regolarità e puntualità la pigione relativa al)la casa? Stagli addosso, non dargli tregua!

Un’espressione simile è cué l’àneme = “covare” l’anima. Covare come fanno i pennuti che si pongono sempre addosso alle uova senza lasciarle un solo istante.

 

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Sté a pjitte de fatüje

Sté a pjitte de fatüje loc.id. = Essere indaffarati.

Quando qlcu è sommerso di lavoro, anche figuratamente, diceva a “pjitte de fatüje” = essere sommersi di lavoro fino al petto..

Tuttavia esisteva anche la forma diciamo a “sfottò”, ossia “sté a pìnghe de fatüje” = essere pieni di lavoro fino all’inguine!!! ?

Questa l’ho sentita dal barbiere:
Una mattina si affacciò alla bottega un tale e chiese:
”  Ce völe tjimbe?” = Ho da aspettare molto tempo prima che arrivi il mio turno?

Risposta immediata del barbiere: ”  Stéche a pìnghe de fatüje” = Sono molto indaffarato e non posso nemmeno prevedere il tempo necessario per terminare di servire i clienti presenti in bottega.

Mirabile potere di sintesi del nostro dialetto!

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Sté ai schéle de Taresüne

Sté ai schéle de Taresüne loc.id. = Trovarsi in condizioni precarie

Alla lettera significa: Stazionare sui gradini di Teresina.

La traduzione non significa nulla se non si conosce l’origine della locuzione.
Ci sono due “scuole di pensiero”
A) Dicono che tanti anni fa una  Signora di nome Teresina faceva beneficenza alle persone bisognose che sostavano ai primi gradini della scalinata di casa sua (un po’ come ai tempi di oggi fa la Charitas diocesana che distribuisce dei pacchi viveri ai bisognosi).
Insomma la caritatevole Teresina donava loro degli alimenti  ogni giorno. Era a suo modo un’autonoma “Assistente sociale” ante litteram.
La location è  quel portoncino di fronte al Municipio vicino al Bar Centrale. Collocare con esattezza l’epoca in cui la Teresina in questione svolgeva la sua attività di benefattrice è difficile, e si perde nella notte dei tempi.

La locuzione ci è stata tramandata di generazione in generazione. Tant’è che io l’ho sentita da mio padre, classe 1901.

Calza bene il fatto di “stare alle scale di Teresina”, significa comunque trovarsi in cattive acque e pazientare davanti a quelle scale, con la speranza di ricevere un aiuto concreto dalla benefica Teresina.

Se nen ce stéme attjinde, jéme a fenèsce tutte quande ai schéle de Taresüne! = Se non stiamo attenti (con le spese domestiche o aziendali) andremo a finire tutti a chiedere l’elemosina!

B) L’amico Matteo Borgia (che ringrazio) mi ha fornito una seconda versione. La trascrivo integralmente, ritenendola ugualmente attendibile:

«Teresina era una signora che aveva una casa in piazza del Popolo (che allora si chiamava Piazza della Rivoluzione e prima ancora Piazza del Municipio), lungo corso Manfredi, sul lato sinistro andando verso il castello, quasi all’incrocio con via Arcivescovado. Davanti alla sua porta c’erano due gradini.
La piazza era il punto di ritrovo dei braccianti che chiedevano di poter lavorare alla giornata. Quando il curatolo (u curàtele), cioè il fiduciario del padrone dei terreni, decideva che era necessario assumere dei braccianti, un intermediario (u capuréle, il caporale) si recava in piazza e sceglieva le persone da avviare.
A volte, bastava uno sguardo o un semplice gesto col dito puntato: “Tó, tó e tó”. Chi non veniva scelto, non poteva far altro che aspettare il prossimo giro. Nell’attesa, per non lasciare la piazza e non perdere l’occasione, i braccianti disoccupati si sedevano alle scale della signora Teresina, da cui il famoso detto.»

Ringrazio Gigi Rubino per questa “imbeccata”.

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Sté alla spàsse

Sté alla spàsse loc.id = Essere disoccupato

Aver perduto il lavoro ed essere in attesa di procurarsene un altro.

Sembra che, usando questo termine “spàsse”, chi è senza lavoro se la goda al massimo e vada a zonzo tranquillamente.

Invece si dibatte in una situazione drammatica (da scale di Teresina), suo malgrado.

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Sté p’i méne söpe ‘u pecciöne

Sté p’i méne söpe ‘u pecciöne loc.id. = Oziare

Ho usato il verbo oziare, ma la frase è bella forte! Scusate la scurrilità della locuzione. Ho solo riportato solo una frase del dialetto verace.

Traduzione letterale: stare con le mani sopra i genitali esterni femminili.

Quando qualcuna  un po’ sboccata  viene ripresa perché magari si attarda a sbrigare le faccende domestiche, risponde piccata:
N’jì ca stéche p’i méne söpe ‘u pecciöne! = Non sto qui ad oziare, ma sto lavorando sodo!

In italiano avrebbe risposto: “non sto qui a rigirare i pollici”, o “con le mani nelle mani”, oppure, alla maniera toscana di Panariello: “non si sta mica a pettinare le bambole”.

Grazie a Luigi per questo suggerimento.

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Sté piòmbe

Sté piòmbe loc.id. = Essere sprovvisto, sfornito

Se uno sente per la prima volta questa locuzione resta un po’ perplesso. A parte il fatto che in dialetto piombo si traduce chjómme

Sté piòmbe è usato nel gergo dei giocatori di carte per indicare che non si ha un determinato seme, uno specifico “colore”. È una delle tante dichiarazioni che i giocatori di “Tressètte” hanno l’obbligo di esternare prima di iniziare a scendere le carte (Napluténe a còppe, piòmbe a ‘nu péle, quartolìsce..= Napoletana a coppe, privo di un seme, quartultima carta dello stesso seme, ecc…).

Io presumo che il riferimento sia il piombo della rete da pesca che va verso il fondo, al contrario del sughero che tende a galleggiare.

Quindi essere piombo, significa: vado a fondo, non ho mezzi per salvarmi.

Infatti, per estensione, se si voleva comunicare agli amici la lieta novella di essere “senza il becco di un quattrino”, si usava dire sinteticamente: stéche piòmbe (ovviamente a denére= a denari, non a bastoni…)

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Sté-a-còmete

Sté-a-còmete loc.id. = Essere disponibile

Questo detto, con valore di aggettivo, specificamente è riferito a persona, che è disposta ad appoggiare eventuali iniziative, idee, programmi altrui, libero da impegni, disimpegnato, a disposizione.

Quanne stéje a còmete, vjine a darme ‘na méne alla putöje = Quando sei libero, vieni a darmi una mano in bottega.

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Sté-còmete

Sté còmete loc.id. = Essere agiato, abbiente.

Alla lettera significa “stare comodo”.

Essere ricco, agiato, benestante, proprietario di case, terreni e capitali.

Meh, benedüche tó sté còmete… = Beh, tu, fortunatamente, sei possidente…(e questi problemi non possono affliggerti come affliggono me).

Questo stare comodi è inteso anche figuratamente. Se chiamo qlcu in aiuto per terminare un lavoro, e costui non si muove, viene spontaneo dirgli:

Meh, tó sté còmete, stéje, nen tjine abbesügne! = Già, tu benestante sei, non hai necessità di lavorare né bisogni da soddisfare.

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Steffüse

Steffüse agg. = borioso, fanatico, tronfio.

La lingua italiana ci offre come sinonimi una caterva di aggettivi: arrogante, immodesto, presuntuoso, superbo, tronfio, fanatico, gonfio, spocchioso, supponente, saccente, vanaglorioso, vanitoso, burbanzoso, orgoglioso, pretenzioso, sentenzioso, altero, altezzoso, sdegnoso, sprezzante, superiore, tracotante.

A noi Manfredoniani basta una sola parola per liquidare questo soggetto antipatico: steffüse, nel senso che lui ci ha stufato, che il suo atteggiamento ci procura un senso di disgusto. Come dire:stomachevole.

Ovviamente esiste il suo corrispondente al femminile: stefföse

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