Minuscola quantità di liquidi vari. Le gocce ad uso terapeutico si chiamano come in italiano.
Credo che derivi da schizzo, nel senso di spruzzo, spruzzata, macchia, chiazza, e quindi dal verbo squiccié = schizzare.
Ad esempio la pioggia, battendo contro un vetro, lascia attaccate tante squìcce= goccioline sulla sua superficie.
‘U lastre sté chjüne de squìcce/sté squicciéte = Il vetro è pieno di goccioline/è schizzato.
È più chiaro l’esempio di un’automobile che passa sopra una pozzanghera e si riempie di squìcce = schizzi di fango, in italiano specificamente diconsi zàcchere (sté squicciéte = è inzaccherata)
Altro esempio: nel tinteggiare una parete, inevitabilmente cadono sul pavimento delle squicce di pittura.
Un ulteriore esempio di squìcce: le goccioline che, dopo l’uso, restano attaccate sulle pareti del box doccia.
Non voglio essere truculento portando ad esempio gli schizzi di sangue…
Invece mi piace presentare l’immagine delle goccioline di caffè che si spandono sulla superficie della cucina quando si alza il coperchio della moka per vedere se la bevanda è completamente uscita. Ogni volta che lo faccio io, mia moglie dice che devo farmi i fatti miei!
Che ci posso fare? Non è vero che la curiosità è femmina!
Mi è venuto a mente proprio ora che lo stesso termine, volto al maschile, ha un altro significato.
Difatti ‘u squìcce è il rinzaffo e/o l’arriccio, un termine prettamente tecnico usato in edilizia.
Mené ‘u squìcce indica un’operazione del muratore che prepara una parete liscia ad accogliere l’intonaco per favorire l’adesione della malta in verticale. È una miscela di cemento e sabbione piuttosto plastica, che con la cazzuola viene con forza sbattuta alla parete da intonacare. Insomma una prima mano che, una volta rappresa dopo qualche ora, rende il muro rugoso, un vero e proprio scheletro sul quale la seconda mano di malta trova appiglio più facilmente e migliora la sua durata.
I muratori, se non ho ricordato bene il termine tecnico, sono pregati di correggermi.