Categoria: Proverbi e Detti

Chi ‘mpaste e škéne nen soffre mé féme

Va bene anche scritto così: Chi ‘mpaste e škéne ne nzoffre mé féme

Questo antico Detto è una semplice constatazione. Ossia: chi impasta e panifica non soffre mai fame.

In italiano si dice similmente “aver le mani in pasta” = partecipare a qualche azione da cui si ricava un tornaconto.

Vi ricordo che da škané deriva škanète (<–clicca) = pagnotta.

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Chi avètte péne murètte, e chi avètte fuche cambatte

Chi avètte péne murètte, e chi avètte fuche cambatte

Chi ebbe pane morì, e chi ebbe fuoco visse.

Proverbio “invernale” per evidenziare che il fuoco è vitale più del cibo.

Il lettore Giuseppe Tomaiuolo commentaì:

“E’ nato cosi: parlando intorno al fuoco qualcuno si lamentava del poco che c’era da mangiare qualcun altro sosteneva che fosse più importante stare al caldo. Ne nacque una discussione e quindi una scommessa. Questi i termini: chi avrebbe resistito di più, avendo uno a disposizione ogni ben di Dio da mangiare, ma all’addiaccio; mentre l’altro senza niente da mangiare, ma al caldo. Chi sopravvisse?”

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Chi bèlle völe parì, l’usse d’u cüle l’uà dulì

Chi bèlle völe parì, l’usse d’u cüle l’uà dulì

Chi bello vuole apparire, l’osso del culo gli deve dolere.

Ogni buon risultato richiede grandi sacrifici.

Per ottenere il successo bisogna faticare duramente, tanto da spaccarsi la schiena fino al coccige (l’osso del culo).

Il lettore Giuseppe Tomaiuolo dà una sua delucidazione:
“Mi permetto: la spiegazione è  fuorviante. Nel senso che il detto è riferito a chi vuole “apparire “ quello che non è; come accenna il primo commento
Chiarisco con un esempio tipico dei nostri giorni. Un matrimonio !!!
E’ chiaro che se vuoi fare le cose al di sopra delle tue possibilità ti toccherà fare dei sacrifici per cui “ l’usse “ ti deve far male, ma è sottinteso che “te lo potevi risparmiare”.

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Chi camüne allècche, chi sté assettéte assècche

Chi camüne allècche, chi sté assettéte assècche

Chi cammina lecca, che sta seduto dimagrisce.

E’ un invito a muoversi, a darsi da fare, perché chi “cammina” nel senso che non sta fermo, riesce a trovare in qualche modo qualcosa per il suo sostentamento.

Chi invece sta seduto ad aspettare, è costretto a digiunare perché si sa, non viene nessun panierino dal cielo a soddisfare la fame.

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Chi ce avànde da süle jì ‘nu fasüle

Chi ce avànde da süle jì ‘nu fasüle

Chi si vanta da solo (da sé) è un fagiolo (non una persona).

È questione di rima, come è accaduto anche nel corrispondente proverbio italiano: Chi si loda s’imbroda. Che non significa nulla, perchè il verbo è inesistente in italiano, ma dà l’idea di un brodo, detto sciacquapecciöne, ossia sbobba calda di nessun valore.

Alle scuole elementari qualcuno ci ficcò nella zucca quest’altro proverbio: chi si vanta da se stesso è un asino pefetto.

Insomma in tutte le lingue è raccomandata la modestia.

Ringrazio la lettrice Marianna Grieco che mi ha riferito questo proverbio citato spesso da sua nonna.

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Chi ce còleche p’i criatüre, ce jàveze p’u cüle cachéte

Chi ce còleche p’i criatüre, ce jàveze p’u cüle cachéte

Chi si va a coricare con i bambini si alza con culo cacato.

Colui che tratta con gli incompetenti o gli  immaturi compromette la propria serietà, perché inevitabilmente si espone a numerose figuracce.

Mi viene in mente una frase attribuita a Oscar Wilde:
«Mai discutere con un idiota, perché costui ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza.»

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Chi ce jàveze prüme, ce vèste

Chi ce jàveze prüme ce vèste = Chi si alza per primo si veste.

Purtroppo accadeva, ai tempi della grande crisi economica a cavallo delle due Guerre mondiali, che non tutti i numerosi figli avessero di che vestirsi.

Colui che al mattino si levava prima degli altri sceglieva tra i poveri abiti dei fratelli quello da indossare. In questo modo qualcuno era costretto a rimanere in casa per mancanza di indumenti..

Esiste una variante più circoscritta ad una specifica famiglia:

«A chése de Azzaröne, chi ce jàveze prüme ce vestöve» = A casa Azzarone, chi si alzava prima si vestiva.

L’amico Domenico dà una sua testimonianza riferita agli anni 1945/1950:
«Ce jèmme a còleche p’i rrobbe ‘ngudde, se no quanne ce respegghjamme nen l’avrìmme truéte…» ossia: ci andavamo a coricare con gli indumenti addosso, altrimenti al risveglio non li avremmo trovati.»

Metaforicamente il Detto si trasferisce in altri ambiti (domestici, lavorativi, politici, amministrativi): chi ce jàveze prüme cummanne = Chi si alza per primo comanda. Ossia non si osserva alcuna norma. o non si rispetta alcuna gerarchia.
Insomma il caos.

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Chi ce pìgghje ‘mbìcce ruméne ‘mbeccéte, ‘u cüle cusüte e ‘a chépa cachéte.

Chi ce pìgghje ‘mbìcce ruméne ‘mbeccéte, ‘u cüle cusüte e ‘a chépa cachéte.

Chi si impiccia (si immischia nelle faccende altrui) rimane invischiato, il culo cucito e la testa cacata.

Si tratta esplicitamente di un invito a farsi gli affari propri.

Le conseguenze disastrose descritte nel proverbio sono un deterrente micidiale.

Fatevi i cazzi vostri!

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Chi ce pòngeche jèsse före

Chi ce pòngeche jèsse före

Chi si punge andasse fuori

Anche: chi si punge esce fuori.

Difatti la voce verbale jèsse, con lo stesso suono può essere sia il presente indicativo, alla terza persona di uscire (egli esce), ma anche il congiuntivo imperfetto di andare (che egli andasse).

‘U rizze de cambàgne, pe’ scappé da la volpe, ce feccàtte ind’a téne de la lepre. Quanne ‘a lepre škamàtte, ‘u rizze decètte: “Cumbé, chi ce pòngeche, jèsse före!” = Il riccio terrestre, per sfuggire dalla volpe, si introdusse nella tana della lepre. Quando la lepre si lamentò (per l’intrusione), ebbe dal riccio una indisponente risposta: “Compare, chi si punge andasse fuori”.

Morale: attenti ai profittatori: se tu concedi un dito, quelli facilmente ti prendono la mano con tutto il braccio.

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Chi cumbjatisce a carne de l’ate, a söve ci ‘a màngene i chéne

Chi cumbjatisce a carne de l’ate, a söve ci ‘a màngene i chéne

Alla lettera si traduce in: Chi compatisce la carne degli altri,  la sua se la mangiano i cani.

I proverbi antichi invitano sempre alla prudenza, al senso della misura e alla moderazione.

Il Detto infatti  suggerisce di non criticare il comportamento altrui, perché ognuno di noi  ha i propri difetti ed è soggetto a sua volta a censure, a critiche e anche a maldicenze.

L’aforisma invita anche a non occuparsi eccessivamente delle difficoltà degli altri, perché si finisce per trascurare se stessi,  rischiando la propria rovina.

Va benissimo la solidarietà verso i bisognosi, ma un po’ di sana attenzione  verso i propri bisogni è ugualmente necessaria.

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