Va bene anche la grafia omofona (dallo stesso suono) Stüpe ca trùve
È un Detto sintetico ed efficace. Significa: mettilo da parte perché potrebbe tornarti utile.
Quando il lavoro artigianale era fiorente, i ragazzi di bottega tendevano a buttare via degli spezzoni di stoffa, di ferro, di legno, di cuoio, a seconda genere di attività svolta del loro Maestro.
È una filastrocca che si cita (magari solo l’inizio, perché tutti quelli della mia generazione conoscevano il testo completo) allo scopo di sollecitare lo scioglimento di un’assembramento, un gruppo di nottambuli, una festicciola protrattasi oltre un termine prestabilito, ecc.
Meh, uagnü, tezzöne carvöne…. = Beh, ragazzi, è l´ora di separarci….
Talvolta questo Detto veniva canticchiato su tre o quattro note (clicca qui sotto):
Tezzöne ‘e carevöne, ognüne ognüne ai chése löre! E se löre ne ‘nge ne vànne tròvene ‘a mòrte ammjizze la chése.
Tizzo e carbone, tutti devono rientrare nelle loro case! Ma se costoro non se vanno troveranno una (persona) morta (distesa sul catafalco) in mezzo alla (loro) casa. Altri Manfredoniani, quale ultimo verso, citano una variante, comunque accettata: passe ‘a morte viciüne alla chése!
Credo che sia stato coniato quando, alla vigilia di una festa religiosa, molte persone si trattenevano intorno ai tradizionali falò (clicca→ fanöje) aspettando che il fuoco si estinguesse completamente. Restavano solo i tizzoni, ossia la parte incombusta della legna posta ad ardere nel falò, che non sprigionavano più la fiamma. Quindi era ora di rientrare perché il falò non dava più luce ma solo cenere e resti carbonizzati.
I bambini ovviamente recalcitravano all’invito delle mamme, perché non volevano perdere quell’occasione per rimanere all’aperto fino a tardi. Allora lo spauracchio di trovare un morto in casa agiva da forte deterrente verso i loro propositi di permanenza.
Questo DETTO descrive una persona sospettosa, che attribuisce sempre agli altri la causa di ogni contrarietà, e magari non ammette mai di essere lui stesso l’autore.
‘U ciócce de düje patrüne nen jì guvernéte da nescjüne!
Ossia il ciuco di due padroni, non viene governato da nessuno (dei due).
È la classica storia dello scaricabarile. Quando per svolgere una mansione ci sono più addetti, il risultato è scarso o addirittura nullo, perché ognuno pensa che debba essere l’altro a compierla.
Vi rimando al verbo specifico guverné cliccando qui.
Un Detto simile, diffuso nel nostro Tavoliere, recita: “Chiù sagresténe stanne e chiù la chjise sté a lu scüre” = Più sagrestani stanno, più la chiesa sta al buio.
U ciucciarìlle de San Gesèppe, alla vecchjéje assètte ‘u trotte
L’asinello di San Giuseppe alla vecchiaia manifestò (la capacità di usare) il trotto.
Il dott. Enzo Renato – che ringrazio pubblicamente – sinteticamente spiega che il Detto si riferisce ad una persona che all’improvviso ostenta capacità e/o attività fino ad allora mai espresse.
E bréve a jìsse! Chi ce l’avöva düce a nüje = E bravo lui! Chi l’avrebbe mai detto?