Categoria: Proverbi e Detti

De tutte cöse àmma parlé, ma ‘a tabbaccöre nen l’àmma tucché.

De tutte cöse àmma parlé, ma ‘a tabbaccöre nen l’àmma tucché.

Di tutto dobbiamo parlare, ma la “tabacchiera” non la dobbiamo toccare.

La lettrice Tonia Trimigno mi suggerisce una lieve variante, per bocca di sua nonna, che non ne stravolge affatto il significato:
Juchéme e pazziéme ma ‘a tabbaccöre nen l’amma tucché = Giochiamo e scherziamo, ma la “tabacchiera” non la dobbiamo toccare.

Ovviamente la tabacchiera (astuccio contenitore di tabacco) qui ha un significato traslato, Come quando si cita “l’uccello” e non si intende indicare il volatile, o “la patata” o”la farfallina” e non è riferito né all’ortaggio, né all’insetto.

Ringrazio l’amico Umberto Capurso che mi ha fornito il Detto e la relativa spiegazione che riporto qui di seguito.

In tempi di ristrettezze economiche le nostre nonne compravano tutto a credito. Alcuni bottegai, specialmente verso le clienti carine e in arretrato con i pagamenti, avanzavano proposte indecenti in cambio dell’immediato azzeramento del conto. Le donne oneste e rispettabili rispondevano in questo modo, facendo chiaramente capire che di tutto si poteva parlare, ma non si dovevano oltrepassare certi limiti a salvaguardia della propria dignità di donna e di sposa.

Qualcuna spiritosa gli faceva la (clicca→) puppéte , ma questo è il risvolto comico della faccenda.

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De venardì ce ‘nzuréje Petracche

De venardì ce ‘nzuréje Petracche

Un tale Petracco si sposò di venerdì.

E allora che vuol dire?

Il Venerdì non era considerato un giorno fausto dai nostri nonni, perché fu lo stesso giorno della crocifissione e morte di Nostro Signore.

Questo proverbio si cita quando qlcu inizia un’opera, o intende compiere un’azione fuori luogo e fuori tempo.

Come per dire: proprio adesso vuoi fare questa cosa? Potevi farla prima o rimandala di qualche tempo! Hai la Domenica molto vicina e dovrai interromperti senza averla completata.

Recentemente ho sentito pronunciare questo proverbio con il verbo coniugato al passato prossimo invece che al passato remoto: de venardì c’jì nzuréte Petràcche.

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Decètte ´u presótte: a pöche a pöche me màngene tótte

Decètte ´u presótte: a pöche a pöche me màngene tótte

Disse il prosciutto: “a poco a poco mi mangiano tutto!”

Attorno a qualcuno di buone disponibilità, soprattutto economiche, girano gli approfittatori.

La vita è piena di “tranganére” e mangiajorze che ti lasciano “de cüle a chjapparüne“, e quando sei al verde ti voltano ignobilmente le spalle.

Grazie a Sedum per il suggerimento.

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Decètte ‘a putténa vècchje: ‘u sé quante n’agghje vìste!

Decètte ‘a putténa vècchje: ‘u sé quante n’agghje vìste!

Disse la vecchia mondana: sai quanti ne ho visti!

La frase, in po’ carogna e un po’ gigionesca, viene detta in risposta da un vecchio marpione a qualcuno che gli ha raccontato mirabilie.

In linguaggio goliardico, infischiandocene di grammatica e sintassi, noi ragazzotti dicevamo con seriosità: “Proprio a me, me lo devi dirmelo!”…..

Ossia, in linguaggio figurato e poetico questa volta: “Ma come, vieni a raccontare proprio a me, che ho visto volare le aquile, il volo radente della libellula?”

Commento di Lino Brunetti:
“Questa è vera! Una anziana signora raccontava ad un gruppo di amici una propria avventura che finiva con il seguente commento: “Jìsse vulöve freché a mmè! Jüie jöve ‘a chépa zocchele di Mambredonje!”
Solo incidentalmente ho dimenticato di precisare che, effettivamente, la “signora” godeva di una fama per cui, si raccontava, ne aveva visti di cosi e cose!”

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Decètte ‘u pàppele alla féfe, damme tjimbe ca te spertöse

Decètte ‘u pàppele alla féfe, damme tjimbe ca te spertöse

Disse il (clicca→) tonchio alla fava: dammi tempo che ti perforo.

Si cita questo detto per rassicurare qualcuno che l’impegno preso in precedenza verrà mantenuto: è solo questione di tempo.

Talora è rivolto a se stessi per non avvilirsi se un lavoro non riesce perfetto. Un ritocchino risolverà tutto, ma ciò richiede del tempo.

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Decètte San Frangìsche: se nen jì nètte, uà jèsse frìške

Decètte San Frangìsche: se nen jì nètte, uà jèsse frìške

Disse San Francesco: se non è pulito deve essere (almeno) fresco.

Ora non so bene se il Poverello d’Assisi intendesse accontentarsi di un pesce fresco, anche se non era stato nettato (ci avrebbe pensato lui a squamarlo). Può darsi che si riferisse ad un letto.  Non so l’origine.

Presumo tuttavia che San Francesco sia stato citato solo per una questione di rima con “fresco”.

Il Detto comunque è prettamente estivo, e viene citato quando qualcuno richiede qualcosa di fresco da mangiare o da bere.

Grazie all’inesauribile Alfredo Rucher per il suggerimento.

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Dènde e dèbbete luéte, delöre passéte

Dènde e dèbbete luéte, delöre passéte

Va bene anche al plurale: Djinde e djibbete luéte, delüre passéte

Un saggio proverbio dei nostri nonni. Alla lettera signifca: dente e debito levato, dolore passato. In italiano esiste il Detto: Fuori il dente, fuori il dolore.

Come tutti i proverbi, specie quelli dialettali, anche questo è un po’ troppo sintetico.

In un italiano un po’ più appropriato si dovrebbe spiegare così:

Dopo aver cavato il dente marcio e/o dopo aver estinto il proprio debito, il dolore sofferto per entrambe queste operazioni, sia quello fisico per l’estrazione, e sia quello intimo per l’esborso del denaro, fa parte ormai del passato. Perciò il dolore non si avverte più, e di esso rimane solo il ricordo.

E meno male!

Ecco la morale: non occorre pensarci più, ormai è acqua passata.

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Djasìlle, djasìlle, Segnöre pighjatìlle!

Djasìlle, djasìlle, Segnöre pighjatìlle prov.

Ho già spiegato l’origine di djasìlle (clicca)

Si tratta di un Detto enunciato da qualcuno davvero spazientito, di fronte ad un interlocutore assillante, importuno, tedioso. È un’implorante richiesta al Signore per essere liberati da quella persona molesta.

L’espressione ha carattere semi-serio. Nessuno ovviamente augura la morte di alcuno, per quanto odioso o fastidioso (almeno in sua presenza…).
È un modo, tra il serio e il faceto, di troncare il dialogo, di invitare l’altro a smettere di rompere i timpani.

Ovviamente gioca molto la rima sul diasìlle/pigghjatìlle.

A proposito di rima, mi viene a mente (alle scuole medie si studiava il francese) quel mio compagno di classe, napoletano, che un giorno se ne venne fuori con questa frase in rima:
Oh Seigneur de la France
donne moi la patience
e liéveme a chisto ‘a nanze!

Ringrazio il dott. Michele Castriotta per avermi fornito lo spunto per questo articolo, e il dott. Sandro Mondelli per questo interessante commento :
«È l’esortazione du jatechere a comprarsi le ultime triglie, oppure l’accorata preghiera dei parenti del malato sofferente e molto anziano?»




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Donna Röse, fé ‘na bòtte e ce repöse

Donna Röse, fé ‘na bòtte e ce repöse

Donna Rosa, fa un colpo e si riposa.

Non sappiamo che genere di botta fa la nostra simpatica Donna Rosa prima di riposarsi…
Va bene anche fé ‘na botte e ce arrepöse, come tanti altri verbi o sostantivi che hanno questa ‘a’ iniziale rafforzativa.

Si cita questo detto quando si vuol spronare qualcuno ad affrettarsi.

Per esempio la mamma quando si accorge che la sua figliola, intenta a sbrigare le faccende domestiche, perde tempo e se la prende comodamente.

E spìccete, a mamme, ca tenüme che féje: assemìgghje a Donna Röse, fé ‘na bòtte e ce arrepöse! = E sbrigati, bella di mamma, ché abbiamo da fare: mi sembri Donna Rosa, che fa un colpo e si riposa!

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