Categoria: N

Nègghje

Nègghje s.f. = Nébbia

Fenomeno atmosferico consistente in un ammasso di microscopiche gocce d’acqua, che si forma, in prossimità del suolo o sopra superfici d’acqua, quando il vapore acqueo si condensa intorno alle particelle del pulviscolo atmosferico, offuscando la limpidezza dell’aria e riducendo perciò la visibilità (Sabatini-Coletti, Vocabolario della lingua italiana).

Tutti conosciamo questo fenomeno, che fortunatamente da noi si verifica raramente. Direi più sotto forma di foschia, ossia con visibilità oltre 50 metri, che non impedisce agli autoveicoli di circolare senza inconvenienti.

Il termine uguale esiste anche in Sicilia.

Il mio impatto con la “vera” nebbia, avvenne a Torino. Scesi dal tram alla fermata prevista, e appena misi piede a terra mi chiesi: E mò? Dove vado?
Non distinguevo nemmeno le mie scarpe!… Una sensazione di completo smarrimento che mi diede panico. Per fortuna di “accodai” ai bravi Piemontesi, che si muovevano agevolmente nella caligine, fino ad un bar, dove rimasi in paziente attesa degli amici che dovevo incontrare.

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Nen

Nen avv. = Non

Avverbio di negazione. È sempre usato nelle frasi in cui si nega o si esclude il significato del verbo successivo.
In italiano questa costruzione linguistica dicesi “coniugazione negativa”.

L’esempio, come al solito, chiarisce il concetto:

Jògge chjöve = oggi piove (affermativo);
jògge nen chjöve = oggi non piove (negativo)

Spesso il nen, davanti a certi verbi, viene scomposto in ne-n, accorpando la seconda “n” al verbo successivo.
Ecco l’esempio:
Invece di scrivere nen sacce = non so, si può scrivere ne nzacce, più vicino alla reale pronuncia.

Un’altra particolarità riscontrabile in quasi tutta la Puglia risalta nella coniugazione dell’imperativo negativo.

In questo modo verbale, in italiano si usa anteporre la negazione “non” davanti all’infinito (non parlare, non bere, non fischiare ecc.).
In dialetto invece si pone davanti al participio presente: ne mparlanne, ne mbevènne, ne nfrišcanne. Come dire: “ non (sii) parlante, bevente, fischiante”. 
Probabilmente anticamente si esprimevano così, ma nel corso dei secoli ha prevalso l’uso dell’attuale declinazione.
Ho sentito da ragazzino un ordine un po’ strano: nen te jènne cutulanne = rimani immobile [alla lettera: ”non ti andare muovente”]. Ormai anche questa costruzione verbale è andata in disuso.

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Nen decènne njinde

Nen decènne njinde loc.id. = scusami, perdonami, non criticarmi,

Questa simpatica locuzione alla lettera significa “non dire niente”. Se si rivolgesse a più persone ovviamente si coniugherebbe al plurale. nen deciüte njinde = non dite niente.  Ma non significa “taci”, o “tacete”….

Si pronuncia quando si chiede sfacciatamente, quasi estorcendone il consenso, rivolgendosi all’interlocutore, per scusarsi del proprio atteggiamento, delle proprie azioni o delle proprie opinioni.

Meh, nen decènne njinde, ca mò me lu pìgghje n’atu scavetatjille = Ebbene, scusami, ma adesso me lo prendo un altro biscotto al finocchietto.

Giuà, nen decènne njinde, coddu lìbbre te lu porte a setteméne entrande = Giovanni, abbi pazienza, quel libro te lo porterò la settimana prossima.

Nen deciüte njinde ma pe mmè ‘u mègghje Presedènde jì stéte Pertini = Non biasimatemi, ma secondo me il miglior Presidente è stato Pertini.

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Nen fé a tjimbe a dïce:”Crìste ajóteme!”

 Nen fé a tjimbe a dïce:”Crìste ajóteme!” Loc.avv. = Rapidamente

Prontamente, in un baleno, in men che non si dica, velocemente,  lestamente, celermente, speditamente, in fretta

Alla lettera significa: Non far in tempo a dire: “Cristo aiutami!”

Questa locuzione viene pronunciata quando si constata o si racconta che, ad esempio, un piatto squisito è stato divorato rapidamente, o qualcosa di inatteso è accaduto in un baleno.

– Te so’ piaciüte ‘i scavetatjille ca t’agghje mannéte?
– Sì, n’anne fatte a tjimbe a düce:”Crìste ajóteme!”

= Ti sono piaciuti i biscotti che ti ho mandato? Sì, sono andati a ruba, sono finiti in breve tempo.

Stöve camenànne tanta bèlle p’a chiazze e tutte ‘na vòlte me so’ truéte ‘ndèrre sènza fé a tjimbe a düce:”Crìste ajóteme” = Stavo passeggiando così tranquillo per il Corso quando mi in un baleno mi sono ritrovato disteso per terra (probabilmente…a causa di una delle innumerevoli sconnessioni esistenti tra le basole laviche della pavimentazione).

Alla sìccia chjöne manghe “Crìste ajóteme” l’agghje fatte düce! = Alla seppia ripiena non le ho dato tempo di dire “a”.
Non che le seppie ripiene abbiano la facoltà di pronunciare alcuna vocale, se non figuratamente: la rapidità con cui è stata divorata non le avrebbe dato tempo nemmeno di rendersi conto che dal piatto era finita nello stomaco

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Nen putì vedì

Nen putì vedì loc. id. = Esecrare, disdegnare, odiare

Un’espressione ricorrente nel linguaggio di ogni giorno.  Alla lettera significa “non poter vedere”, ossia è detestabile, odioso, fastidioso ai miei occhi.

Essere contrariati dall’atteggiamento di una persona, dal malfunzionamento di un attrezzo o di un’apparecchiatura, dal persistere di avversità atmosferiche o di altro genere.

Quante nen pozze vedì ca ogni jurne ce mètte a chjöve = Quanto detesto (il fatto) che ogni giorno si mette a piovere.

Nesciüne pöte vedì a códdu sbafandüse = Nessuno può sopportare quell’arrogante.

Nen pozze vedì quanne ‘stu cazze d’ascenzöre ce blocche, e succiöde sèmbe de dumèneche = Odio quando quest’accidente di ascensore si blocca, e succede sempre di domenica!

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Nen tenì manghe ‘na magghje

Nen tenì manghe ‘na magghje loc.id. = Essere in bolletta

Alla lettera questa locuzione si traduce in: “non avere nemmeno una maglia”.  Ma non parliamo della maglia della biancheria intima, né di maglie di rete, né di anelli di catenine….
Parliamo di una moneta antica di infimo valore.

Fino a pochi anni fa, prima dell’avvento dell’Euro, si diceva : Nen tènghe manghe ‘na Lïre = Non ho nemmeno una lira.

ll dott. Sandro Mondelli (che qui ringrazio pubblicamente), dandomi lo spunto per questo articolo, ha detto testualmente: «Significa essere in bolletta. La “maille“, parola franco-provenzale, era la più piccola moneta angioina, di valore bassissimo.»

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Nen tenì nesciüne amöre

Nen tenì nesciüne amöre loc.id. = Essere insipido, non aver alcun aroma o profumo deciso, riferito a ortaggi, pesci, minestre, ecc.

Quelli più esigenti, calcando la mano, evidenziano che la pietanza nen töne nesciüne amöre, nè sapöre. = Non ha alcun aroma, né sapore.

In questo caso amöre (omofono con amöre = amore, nel senso di sentimento) con il significato di gusto, deriva dall’aggettivo amurèvle = gustoso

Stu cazze de cetrüle nen töne nescjüne amöre = Quest’accidenti di cetriolo non ha alcun sapore.

‘Stu melöne assemègghje a ‘na checòzze: nescjüne amöre = Quest’anguria somiglia ad una zucca: non ha alcun sapore.

Presumo che sia stata fatta un po’ di confusione con i termini italiani. “Odore+aroma = amöre

Con lo stesso significato si può dire sciapüte= scipito, insapore, o nen dé nè de mè e nè de tè =Non sa né di me e né di te.

Come se i due interlocutori fossero essi stessi, all’assaggio, fatti di sapore diverso, uno dolce e l’altro salato.

Il contrario, ossia ricco di sapore, è amurèvele, o più semplicemente, saprüte = saporito, squisito.

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Nen-tenì-vöce-ncapìtele/

Nen tenì vöce ‘ncapìtele loc.id. = Futile, ininfluente, di poco conto.

Il Capitolo della locuzione è il Consesso Capitolare dei Canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione.

Quindi ‘aver voce in capitolo’ significa essere autorevole, concorrere alle più importanti decisioni

La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l’espressione non ha nè l’autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.

Insomma è uno che deve tacere, che non può esprimere pareri,

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Nènne

Nènne s.f. = Pupilla

Apertura circolare posta al centro dell’iride, attraverso la quale passano i raggi luminosi che colpiscono la retina.
(mmagine reperita in rete).

Pleonasticamente in dialetto qlcu dice ‘a nènne de l’ùcchje = la pupilla dell’occhio.

Ignorantemente qlcu con questo sostantivo intende anche l’iride, al centro del quale c’è la pupilla.

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Nennìlle

Nennìlle s.m. = bambino, adolescente

Una volta era usato ´u nennìlle, per indicare fino il figlioletto viziato e coccolato di persone altolocate, dalla nascita al raggiungimento dell´adolescenza.
Il pupo, crescendo sarebbe diventato ´u segnurüne = il signorino, e poi, per ragioni anagrafiche, il “signore”, cui si addiceva l´ossequioso “don”, che non spettava solo ai preti.

Al femminile fa nennèlle.

Nel napoletano si usa tuttora, oltre ai vezzeggiativi nennillo e nennella, anche ninno e nenna nella forma primitiva, per indicare i ragazzi e le ragazze.
Ricordate la celebre canzone napoletana “Luna caprese”?:
“... adduorme a nenna mia, ca sta scetata,
e falla ´nnammurà cu ´na buscia…
= Addermenta la mia ragazza che sta sveglia, e falla innamorare con una bugia…

Da noi nennìlle viene usato per scherno, quando qualche persona adulta fa delle richieste, delle azioni o esprime dei giudizi da finto ingenuo o da adolescente sprovveduto.

Uh, uì, ‘u nennìlle peccenìnne! Teh, mùzzeche ‘stu ditjille = Uh, eccolo, il bambino piccolino. Toh, mordi questo mignolo (così verifico se ti sono spuntati i primi dentini davanti)!

La frase veniva accompagnata dal gesto di avvicinare il mignolo disteso verso la bocca. del nennìlle .
Non sempre la cosa terminava in maniera liscia: c´era sempre aria di zuffa a fronte di questo gesto!

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