Categoria: N

Nüje

Nüje pron. = Noi

È usato da due o più persone che parlano con riferimento a se stesse oppure da una persona per indicare sé e un’altra o altre persone.

Pronome personale, m. e f. 1a pers. plurale

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Numenéte

Numenéte s.f. = Nomea, reputazione, fama

Usato prevalentemente con valenza negativa: mala numenéte= cattiva reputazione.

Pòvere a chi töne ‘a mala numenéte = Guai ha chi ha una cattiva reputazione (anche se compie la più nobile dele azioni verrà sempre denigrato).

Quale sinonimo, di estrazione più antica perché di derivazione diretta dal latino, è il verbo mentué o mundué (←clicca)  = nominare
San Francesco, nel suo cantico delle Creature, usa in volgare il verbo mentovare: «…et nullu homo ène dignu te mentovare» = …e nessun uomo è degno di menzionare, di nominare Te.

Ora questo verbo è usato solo dai Montanari, più tradizionalisti e conservatori in fatto di linguaggio.

Jì’ pe numenéte = Essere famoso (o famigerato) per il suo operato.

Tenì ‘na mala menduéte.. = Avere ‘una cattiva nomea, una cattiva reputazione.

Mi viene in mente la solita disgraziata: Caremöla Pampanèlle.

Così va il mondo.

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Numónne

Numónne avv. = Grandemente, assai, tanto.

Alla lettera significa: un mondo.

Micöle, ma tó mò, quand’anne tjine? Eh, figghje müje, numónne, numónne! = Michele, ma tu adesso, quanti anni hai? Eh, figlio mio, assai, tanti!

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Nuöje

Nuöje s.f. = Novena, novenario.

Ciclo di preghiere, pratica di devozione cattolica in cui si dedicano nove giorni consecutivi alla ripetizione di preghiere o riti in preparazione di una festa, per implorare la grazia o per onorare un santo.

Notissime la novena dell’Immacolata o quella di Natale, tuttora praticate dai devoti cattolici.

Qualcuno, influenzato dall’italiano, dice anche nuöne o addirittura nuvöne

Che volete farci? Al giorno d’oggi tutti hanno frequentato la scuola dell’obbligo, e perciò sono senza dubbi più istruiti dei loro nonni, ma stanno modificando e banalizzando il dialetto.

Anticamente si implorava la pioggia con novena e processione per i campi. La fede era più schietta e sentita. Credo pure che funzionasse!

Qualcuno, che aveva un concetto aberrante di Dio, faceva per conto suo ‘i nuöje per implorare vendetta contro un suo nemico. Qualche mamma apprensiva faceva ‘a nuöje per far maritare la figlia.

Insomma ‘a nuöje era considerata una pratica da stregone di tribù africane piuttosto che una devozione popolare. In questa forma sbagliata il concetto era: «io dò a Dio le preghiere e Lui mi deve esaudire. Do ut des.»   Io te dòngo ‘na cosa a tte, e tu mme daje ‘na cosa a mme: roba da tarantella napoletana col Signore.

Che meschinità infinita…

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Nutrìzze

Nutrìzze s.f. = Balia, nutrice

Donna che allatta il proprio bambino o, più comunemente, donna che, a pagamento, allatta i figli altrui.

Una volta, prima che fosse diffuso il latte in polvere per l’infanzia, se una puerpera non aveva latte a sufficienza per il suo bambino, ricorreva a queste benefattrici. Il compenso era sempre molto inferiore a quello che esse davano al pupo.

Spessissimo gli si affezionavano, perché se disponevano di latte significava che avevano avuto anch’esse un loro figlio. I due bebé, succhiando allo stesso seno, erano considerati “fratelli di latte”: una cosa bellissima.

Il bambino tenuto a balia dalla nutrìzze, per tutta la sua vita, anche in età adulta, la amava e la rispettava proprio come sua madre.

In effetti non ci si può affezionare a una tettarella di gomma, convenite?

L’allattamento artificiale con latte in polvere ha cancellato la figura della balia. Le baby-sitter moderne al massimo cambiano i pannolini e somministrano un biberon pre-riempito riscaldandolo per 50 sec. nel forno a micro-onde.

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Nzacché

Nzacché v.t. = Conficcare

Si usa un po’ genericanente:

‘nzacché ‘i chjùve = conficcare i chiodi

‘nzacché ‘u ferrètte = abbassare il saliscendi

‘nzacché ‘u uarröne = innestare la barra

‘nzacché ‘nu recchjéle = assestare uno schiaffone

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Nzallanüte

Nzallanüte agg. = Scimunito, rincitrullito

L’aggettivo, derivato dal napoletano, è un po’ desueto per quanto ancora comprensibile.

Generalmente è unito al sostantivo vecchio, nel senso di persona molto anziana: vècchje ‘nzallanüte.
Ora è facile sentire rincogl…… ma non sta bene profferirlo in presenza dell’anziano, perché con l’avanzare dell’età si è soggetti alla malattia subdola dell’Alzehimer e il poverino non ha alcuna colpa se non è sveglio di mente.

Sin. scimunito, rimbambito.

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Nzalvamjinde

Nzalvamjinde inter. = che sia in salvo

Interiezione pronunciata spesso per manifestare il desiderio di mettere in salvo da ogni pericolo il soggetto di cui si teme la sorte. Difatti alla lettera essa significa “in salvamento”.

Mattöje, fìgghje müje, tó mò vattìnne a caste, nzalvamjinde, e nen te facènne vedì fine a quann’jì cré = Matteo, figlio mio, tu ora vattene a casa tua in santa pace, e non ti far vedere fino a domani.

Mò m’arretüre, nzalvamjinde = Ora rincaso, sano e salvo.

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Nzenué

Nzenué v.t. = Istigare, insinuare

Far nascere in qualcuno un sentimento, una convinzione, un interesse in maniera abile e calcolata.

Persuadere o aizzare qlcn contro qlcn altro per proprio tornaconto. Suscitare, far nascere un sospetto o altro sentimento maligno in qlcu.

Códde jì stéte nzenuéte = Costui (ha agito male perché) è stato sobillato (da qlc mascalzone).

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Nzèrte

Nzèrte s.f. = Serto

In italiano, al maschile, significa ghirlanda, corona spec. di fiori o di foglie.

Da noi, al femminile, e più prosaicamente indica una corona formata da aglio intrecciato per le code o anche un ‘grappolo’ di pomodorini accavallati con i loro peduncoli a un supporto e tenuti appesi in luogo fresco per le provviste d’inverno.

‘A nzèrte de pemedurjille non si usa più perché è stata soppiantata dal “Ciliegino” di Pachino, detto da cocktail, reperibile tutto l’anno.

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