Categoria: N

Ngurparé

Ngurparé v.t. = sopportare, covare sentimenti di riscatto

Il verbo è simile all’italiano “incorporare”, usato in cucina quando man mano si aggiungono altri ingredienti durante la preparazione di un impasto, o di una vivanda, o di un dolce.

Figuratamente il significato è lo stesso: aggiungere anche questa contrarietà alle precedenti, fino a quando si sarà in grado di sopportare. Poi sarà quel che sarà!

Similmente si usa dire “ca pò, jüne mantöne e mantöne” = che poi uno mantiene e mantiene, nel senso che un soggetto regge fintantoché non ce la fa più.
Un po’ per burla si diceva:
ca jü mantènghe e mantènghe
e pò te fazze vedì quante lu tènghe = attento che arrivo al punto di rottura.

Con un verbo in voga un po’ abusato, questo atteggiamento umano è detto “resilienza”

Nel linguaggio marinaresco il verbo ha un significato meteorologico: ‘u tjimpe ‘ngurparöje. Ossia le nuvole si stanno inglobando e appesantendo, quindi a breve ci sarà temporale.

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Nguzzé

Nguzzé v.i. = Desiderare, aver voglia.

Usato prevalentemente in forma negativa, per esprimere il disinteresse, l’assenza di volontà di fare alcuna cosa, per rilassatezza muscolare o stanchezza mentale, o semplicemente per pigrizia.

Nen me ‘ngozze de javezàrme = Non ho alcuna voglia di levarmi (dal letto).

Guarda il proverbio sulla fatica   (⇐clicca)

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Nìcchje

Nìcchje s.m.= Loculo

Per curiosità, loculo deriva dal latino Loculus, dimin. di locu = luogo, posto.

Nicchia interrata o murata che, in cimiteri, catacombe o altri luoghi di sepoltura, serve a contenere una bara o un’urna cineraria.

L’acquisto del loculo è diventato lo scopo principale di vita dei pensionati ultrasettantacinquenni, per il quale sono disposti a fare ulteriori sacrifici.

Uì, Mattöje c’jì accattéte ‘u nnìcchje: mò jà vedì d’accaramìlle püre jüje = Ecco, Matteo si è comprato un loculo: adesso devo vedere di acquistarlo anche io.

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Nìrje

Nìrje agg.  = Nero

Al femminile fa nèrje.

Töne i scarpe nèrje e ‘u cappjille nìrje.

Questa è vera. Un tizio che diceva strafalcioni,disse in un italiano improbabile: Tenevo un paio di scarpe bianche, poi le ho tènte (ha avuto sentore che forse “tingiute” era scorretto), e sono diventate nèrje.

Nìrje = nero, inteso come sostantivo (una volta si diceva spregiativamente “negro”), indica una persona di colore.

‘Nd’all’orchèstre stöve ‘nu nìrje amerechéne a suné ‘a tròmbe ca jöve quaccheccöse = Nell’orchestra c’era un negro americano a suonare la tromba che era davvero molto speciale.

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Nirje-mànde

Nirje-mànde s.m. = Moro

Indica una persona che ha un colorito molto scuro naturale, o acquisito a seguito di lunghe esposizioni al sole. Alla lettera nero di vello, come una pecora nera.

Per assonanza somiglia al termine italiano “negromante”, che però significa indovino, chiaroveggente.

Invece la seconda parte di nirje-mànde è solo un rafforzativo. Come se si dicesse nìrje-nìrjenìrje-ncaccavüte = Nero nero, nero come pentola (da ngaccavéje), o come una pecora nera.

Veniva pronunciato con una punta di disprezzo – niente razzismo, per carità – perché quel colore era acquisito dai cafoni o dai pescatori a causa del loro duro lavoro all’aperto.

In una scala sociale, fortunatamente ora non accettata più da nessuno, i pescatori e i lavoratori della terra erano collocati tra le ultime posizioni. Il loro colore bruno li faceva risaltare a prima vista.

Un ingegnere, un artigiano, un negoziante non diventava mai nìrje-mànde, nemmeno a volerlo.

Al femminile fa nèrja-mànde.

Il prof. Michele Ciliberti  – cui va il mio ringraziamento – a proposito dell’etimologia di questo termine mi scrive:
«Non conosco direttamente l’espressione, però sono più che convinto che derivi proprio da “negromante” con il significato etimologico di “mania per l’abbronzatura”.   La prima parte nirje deriva da niger, cioè nero, mentre la seconda dal greco “mainomai” che significa essere folle, mania, avere il furore di.
Negromante, invece, deriva dal greco “necros“, cioè morto (si pensi a necrosi), e “mainomai” che significa pure indovinare, quindi divinazione mediante i morti.»

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Njinde

Njinde avv = Niente, nulla

In nessuna quantità, neanche un poco, spesso rafforzato

Poca cosa, quantità minima e trascurabile.

Nen ce völe njinde, e te ne vé ‘ndèrre = Basta un nonnulla per farti cadere.

Nella interiezione enjinde (dovrebbe essere n’jì njinde= non è niente) significa: non è cosa da poco, non è un’inezia, è una cosa grave.

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Njinde e mànghe séle

Njinde e mànghe séle loc.id. = Nulla di nulla

Alla lettera: niente, e nemmeno sale. Come se qlcu avesse ricevuto una minestra scarsissima e per sovrappiù scipita, insipida.

Si usa questa locuzione quando qualcuno non sa o non vuol dare alcuna giustificazione del suo operato, e tace ad oltranza. Oppure se qlcu se ne va, insalutato ospite, senza far alcun cenno di voce. Oppure se dal debitore non si ha alcun corrispettivo.

Che Mattöje t’ò déte i sòlde? Njinde! Njinde e manghe séle = Ma Matteo ti ha saldato il debito? Macché, non mi ha dato nulla di nulla.

Ce n’jì jüte senza düce njinde e mànghe séle = Se ne è andato, insalutato ospite.

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Njirve

Njirve s.m. = Nervo, staffile

1) Njirve = Nervo, ciascuna delle strutture anatomiche, di forma per lo più allungata, che trasmettono gli impulsi nervosi e le sensazioni in ogni parte del corpo; veramente si dovrebbe dire ‘u nèrve al singolare (‘u nèrve ngalvacchéte = il nervo accavallato): ma come si fa a sapere quanti nervi sono interessati dall’accavallamento?

2) Njirve = Staffile costituito di tendini di bovini essiccati e intrecciati, usato per incitare i buoi al traino dell’aratro o, un tempo, come strumento di difesa;

Tenì ‘i njirve = stato di estrema tensione, ansia e inquietudine. Tutti abbiamo i nervi, anatomicamente parlando, manca il completamento “a fior di pelle”. Ma sappiamo tutti la capacità di sintesi del dialetto.

Invece per il verbo “innervosirsi” si adopera una la locuzione Tuccàrece de njirve.
Me fé tucché i njirve 
= Mi fai innervosire.
Me tòcche de njirve = Mi innervosisco.

Qualche volta ho sentito, quale commento, come una chiosa a un discorso non troppo gradito, l’interiezione: “ ..e njirve!

‘Stu presedènde ò ditte ca alla vutazöne uà vènge jìsse a forze”. “E njirve!” = “Questo Presidente ha detto che alle elezioni deve vincere lui per forza” ” Sì, lallèra!”

(Dal “Dizionario della Lingua Italiana” di De Mauro: lallèra = inter., esprime indifferenza, distacco o noncuranza, ecc.)

Talora si usa per dare dello stupido o dell’inetto a una persona. Presumo perché in una pietanza il nervetto della carne, duro, non commestibile, è inesorabilmente scartato assieme all’osso e al grasso: non serve a nulla.

Sì pròprje nu njirve! = Sei proprio un incapace!

È usato anche quale sinonimo di membro virile in erezione.

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Nnànde

Nnànde avv. = Davanti

La grafia più corretta sarebbe ‘nnànde, con l’apostrofo che indica l’elisione della “i”

Come in italiano, si può dire anche ‘nnanze = innanzi, anche con il significato di “prima.

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Nnariàrece

Nnariàrece v.i. = innalzarsi, levarsi verso l’alto

Il verbo comprende la parola “aria” che rivela immediatamente l’azione di qualcosa che vola in alto, in aria.

Calza benissimo quando parliamo di aquiloni che ce sò nnariéte = si sono innalzati.
O di palloncini sfuggiti di mano ai bambini.

O di persone che si autoincensano…..
Uhé nen e jènne ‘nnariànne! =Ehi, non ti vantare troppo!
I Romani dicono: Ahó, nun t’allargà!

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