Il comune profilattico, conosciuto nel periodo anteguerra solo da pochi viveurs, ebbe la sua diffusione tra la popolazione locale negli anni ’40, perché introdotto dalle truppe Alleate di occupazione nella Seconda Guerra Mondiale.
Faceva parte della “merce varia” che – probabilmente trafugata dagli audaci ragazzotti locali agli ingenui Americani – veniva barattata in loco con altri prodotti, preferibilmente con derrate alimentari e vestiario.
Noi bambini di 6 – 7 anni all’epoca giocavamo con tutto quello che ci capitava tra le mani.
Ricordo dei bellissimi paracadute in miniatura di carta crespa bianca, privilegio dei ragazzi più grandi, forse usati dagli Inglesi, specialisti nei bombardamenti notturni, per lanciare dei bengala luminosi dagli aerei per illuminare a giorno la zona da colpire. Li chiamavamo giustamente paracadüte.
Ricordo dei parallelepipedi di latta [ignoro l’uso originale di queste scatole metalliche di cm 100x40x40], trasformate in ingegnose canoe, che usavamo in mare muovendoci con una rudimentale pagaia o remando con le mani aperte. Le chiamavamo barca-stagnöre, ossia barca fatta di latta.
Ricordo il latte in polvere. Nessuno ci aveva detto che bisognava metterne solo un poco in acqua per farlo ritornare latte, perché era liofilizzato. Lo portavamo in bocca ed esso ci asciugava immediatamente tutta la salivazione. Dopo di che sbuffavamo il rimanente liofilizzato, formando delle nuvolette bianche. Tutto era gioco.
Ricordo anche il pesce liofilizzato. Sembrava segatura di falegname. Mia madre ne faceva delle polpette e le friggeva, facendoci ritornare il mente il gusto del baccalà, il cui embargo (assieme ad una miriade di altri prodotti) fu decretato dalla Società delle Nazioni quale sanzione economica contro il regime fascista che aveva occupato l’Etiopia.
Ricordo la birra in lattine che si aprivano come le bottiglie di vetro, ossia con il tappo a corona. Anche i vuoti diventavano giochi nelle nostre mani, perché praticavamo con un chiodo un foro alla base della lattina e una volta riempita di acqua di mare, ci soffiavamo dentro per innaffiare con uno zampillo i compagni che prendevano il sole sulla scogliera…
Assaporammo la carne in scatola, che talvolta compariva sulla nostra tavola, frutto di baratto con farina o altro. La chiamavamo carnabìffe. Le avevano affibbiato questo nome perché le scatolette recavano un’immagine di bovino, e la scritta corned beef, ossia bovino in scatola.
Capitò anche a quell’età di trovarci in mano le scatolette con i preservativi: ci mettemmo a giocare, gonfiandoli come fossero dei palloncini. I più grandicelli ci sconsigliavano di usarli (ma che avete capito?), ossia di portarli alla bocca per il gonfiaggio.
Qualche smaliziato capì la loro reale funzione, e non conoscendo altro nome, lo nominò fodera-pengöne = il fodera-membro, la custodia per il pene, tra lo sghignazzamento generale di noi monelli.
Molti anni dopo seppi che erano distribuiti metodicamente dal Comando Alleato alle truppe di occupazione quale presidio sanitario, onde evitare che si instaurassero contagi ai maschi o gravidanze indesiderate alle femmine.
Le stesse funzioni che tuttora sono richieste al condom.