Categoria: F

Fàrece venì ‘u cegghjöne 

Fàrece venì ‘u cegghjöne loc.id. = Immusonirsi, ammutolirsi

Diventare improvvisamente scorbutico, o taciturno, scontroso.

Alla lettera: farsi venire un immusonimento.

Tutte ‘na vòlte c’jì fatte venì ‘u cegghjöne = Improvvisamente si è immusonito.

Presumo che derivi da cìgghje, nel senso di grossa fitta improvvisa, dolore che toglie il respiro che non consente, quindi, di replicare alcunché.

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Fàrece freché da ‘u maletjimbe

Fàrece freché da ‘u maletjimbe loc.id. = Farsi sorprendere dalla tempesta.

È un circonlocuzione che significa ‘commettere una sconsideratezza’.

Immaginate la marineria locale come stava attenta alle perturbazioni atmosferiche, quando le attività di pesca avvenivano solo con natanti a propulsione remo-velica.

I pescatori, benché analfabeti, avevano tutti in casa un barometro e lo sapevano “leggere” benissimo.
Conoscevano anche tanti altri segni per subodorare l’avvicinarsi di nembi, o di cigghjéte. Ne andava della loro pellaccia.

Dalla vita di mare l’espressione, figuratamente, è passata nel linguaggio usuale. Nen te facènne freché da ‘u maletjimbe = Sii prudente, sii cauto, usa precauzioni, non ti far sorprendere dalle avversità!

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Fàrece capéce 

Fàrece capéce loc.id. = Capacitarsi

Capacitarsi, rassegnarsi, convincersi, rendersi conto.

Nen me fàzze capéce pecché Marüje nen völe ascènne = Non riesco a capacitarmi del perché Maria non voglia venire a passeggio per il Corso.

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Fàrece brótte 

Fàrece brótte loc.id. = Guastarsi, inacidirsi, diventare immangiabile

Alla lettera significa: divertare brutto, imbruttirsi.

Non è un problema estetico. Si riferisce a cibo o ad avanzo di cibo che è meglio consumare subito perché altrimenti fino al giorno successivo ce fé brótte = si guasterebbe

Insomma cambia aspetto, ri ricopre di muffa, ingiallisce, si inacidisce (ce fé acìzze = si fa acido o rancido).

Meh mangiatìlle st’ate e düje chelómbre ca fine a quann’jì cré ce fanne brótte =Suvvia, mangiateli questi altri due fichi fioroni perché (altrimenti) fino a domani diventeranno acidi.

Mà ‘sti cerése ce sò fatte brótte = Mamma, queste ciliege si sono guastate!

Un’amica tedesca di mia figlia che capisce abbastanza bene l’italiano, una volta venne a Manfredonia. Quasi al termine della cena, mia moglie la sollecitò a consumare gli ultimi due pezzetti di mozzarella di bufala, altrimenti l’indomani si sarebbe “fatta brutta”. La poverina rivolse allora uno sguardo perplesso e preoccupato verso mia figlia. Perché avrebbe dovuto imbruttirsi lei che aveva mangiato la nostra specialità con tanto gusto? Allora mia figlia che parla benissimo il tedesco la tranquillizzò, spiegandole che sarebbe stata la provolina e non la ragazza a diventare “brutta” l’indomani , dando il significato corretto alla locuzione idiomatica manfredoniana.

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Fàrece ‘na chépe de chjànde

Fàrece ‘na chépe de chjànde loc.id. = Piangere copiosamente.

Chjànde è pianto: Farsi un “signor” pianto, non un mini pianto di terz’ ordine.

Succede quando si vedono al cinema o in TV alcuni film strappalacrime che piacciono tanto alle donzelle.

Che bella stòrje: me sò fàtte ‘na chépe de chjànde = Che storia toccante! Mi ha fatto versare molte lagrime.

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Fàrece ‘i scorze ‘nganne

Fàrece ‘i scorze ‘nganne loc.id. = Parlare a vuoto, essere disattesi.

La locuzione vuol significare specificamente avvilirsi dopo innumerevoli e reiterati inviti ad un comportamento corretto, ad una condotta lineare, purtroppo inascoltati.

L’iperbole evidenza addirittura lesioni all’apparato fonetico, alle corde vocali, per il continuo vociare indirizzato a quelli che non vogliono ascoltare, né consigli e né suggerimenti per il loro bene. Queste immaginarie lesioni, iniziate tanto tempo prima, stanno rimarginandosi con delle croste (‘i scorze), come avviene quando si scortica un ginocchio.

Mò jéve ca te stéche decènne: agghje fatte ‘i scorze ‘nganne! = Te lo dicevo io da tanto tempo: mi sono spolmonato ma tu lo stesso non mi hai dato ascolto.

Insomma non è una traduzione proprio alla lettera, ma il significato è questo.

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Fàrce chére a mantenì 

Fàrce chére a mantenì loc.id. = Sopravvalutarsi, fare il prezioso.

Letteralmente significa farsi costoso da mantenere.

Come per dire: guarda che io sono esigente, schizzinoso, uno che sceglie sempre e solo cibi, indumenti e qualsiasi cosa di alta qualità, e quindi di alto prezzo. Se proprio vuoi stare al mio livello, che è ovviamente molto alto, devi saper sopportare un alto costo.

Assumere un contegno improntato ad altezzosità, sussiego (e diciamo pure assumere un atteggiamento molto antipatico).

Insuperbirsi, inorgoglirsi, non abbassarsi al livello degli altri, ritenuti ovviamente inferiori, non concedersi in confidenze o a favoritismi, stare sulle sue.

Insomma sa o crede di essere di gran valore, che ha un gran prezzo, che per mantenere il suo livello bisogna pagare caro il tentativo.

La risposta, se è eufemisticamente corretta, suona così: Meh, camüne vattìnne = Orsù, allontanati da questi paraggi.

Altrimenti un bel vàffa , e mi sembra giusto, non glielo toglie nessuno.

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Fanöje

Fanöje s.f. = Falò, pira, rogo.

Fuoco acceso all’aperto per segnalazione, come manifestazione festosa o per bruciare cose inutili.

Era usuale accendere  falò la vigilia delle grandi feste religiose: Natale, S.Lucia, l’Immacolata, ecc. Questa fanöje è stata ripresa da casa mia nella Festa di San Giuseppe 2018 a Matera.

Quando non era ancora diffuso il gas per uso domestico, tutti avevano in casa della legna da ardere per la cucina.  Allora i marmocchi facevano la questua casa per casa: Bellafé, Me vù dé ‘na legne a San Gesèppe? = Signora, mi vuoi dare una legna (per il falò che stiamo preparando per la festa dedicata) a San Giuseppe?

Partecipava generosamente tutto il vicinato e tutta la legna veniva accatastata all’incrocio delle vie.

All’accensione dei falò c’erano solo i ragazzini: poi man mano si avvicinavano anche gli adulti. Alla fine, intorno al fuoco si raccontavano ‘nduvenjille, frecàbbele e sturièlle.= indovinelli, barzellette e storielle fino tarda ora, quando il fuoco si consumava del tutto.

Con l’avvento del gas in bombole nel 1950 questa bella usanza è quasi cessata per mancanza di materia prima da bruciare, almeno nelle città.

Mi piace ora riportare integralmente ciò che ha scritto il prof. Ferruccio Gemmellaro sull’etimologia del termine:

«Il lemma Faro deriva giusto dall’isolotto di Faro dove era situato il faro di Alessandria d’Egitto. Poi, dall’incrocio greco di PHAROS “faro” con PHANOS “lanterna” fu coniato il termine Falò e la mutazione di N in L s’è attestata per preferenze locali (pisana).
In versione volgare meridionale si ha Fanoje che mantiene la N originale, direttamente quindi dal gr PHANOS, che vale Falò quale proseguo dei riti pagani, attizzato nelle vigilie delle feste cristiane più importanti.
La prova che la creduta esclusiva discendenza dei roghi mistici dalle pratiche celtiche, così come affermano certi intellettuali della padania, è un sonoro falso storico.»

L’amico Prof. Michele Ciliberti aggiunge:

«I “fuochi” e i “roghi” in greco antico hanno tutt’altra radice che è “pir”. Il Pireo è sì il porto di Atene, ma si chiama così perché vi sorgeva un ‘ara per sacrificare alla divinità del fuoco. In italiano abbiamo pure “Pira”.
La radice “fa” invece significa illuminazione, manifestazione ecc. Lascerei stare pure “Faros” che è un toponimo.
Per quanto riguarda “fanöje“, vedo un diretto calco della terza persona plurale del presente ottavo “fanoien“, del verbo “Fano” accendo, illumino, risplende, appaio ecc.»

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Fangòtte 

Fangòtte s.m. = Fagotto

Involto di panni o altro, fatto frettolosamente senza particolare cura. Antesignano del borsone sportivo.

Arrecùgghjete ‘u fangòtte e vattìnne a caste = Raccogliti le tue cose e vattene a casa tua.

In italiano si usa dire far fagotto: sgomberare alla chetichella, o chiudere un’attività.

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Falegnéme 

Falegnéme s.m. = Falegname

Artigiano che lavora il legno.

Questo nome è abbastanza ‘moderno’.

Fino agli anno ’40 era detto maste-d’asce = Maestro d’ascia, come in quasi tutto il centro-sud dell’Italia.
Fé ‘u maste d’asce = Fare il falegname di professione. Scherzosamente significa “russare”- Il rumore del russamento è simile a quello della sega del falegname, alternativa e stridente.

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