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Fessetódene

Fessetódene s.f. = Dabbenaggine

Dabbenaggine, eccessiva semplicità d’animo, credulità, candore.

Vengono scambiate per dabbenaggine anche l’onestà, la correttezza e la buona educazione, specie da quelli che ne sono privi.

La troppa bunèzze passe pe’ fessetódene = La eccessiva bontà viene scambiata per dabbenagggine.

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Fèsse

Fèsse agg. = Sciocco, scemo

Al femminile ‘a fèsse de màmete!… non significa esattamente che la madre dell’interlocutore sia stupida.

In questo caso ‘a fèsse è un sostantivo, usato per vituperare i suoi genitali. E’ un’invettiva frequente, come per dire ‘a putténe de màmete. Scusate la volgarità, ma la vita è questa.

Fé fesse = Far fesso, raggirare, imbrogliare qlcu

Due esempi.
Il primo esempio: per canzonare qualche serafico compagno di giochi: Döpe ‘u làmbe che vöne? ‘U trùne. Sì fèsse e nen te n’addùne! = Dopo il lampo che viene? Il tuono. Sei sciocco e non te ne accorgi!

Il secondo esempio: si leggeva, in lingua italiana, sulle pareti delle latrine di tutte le stazioni ferroviarie d’Italia: “Fesso chi legge”.

Ora negli stessi locali si legge ben altro. Un vero marketing: numeri telefonici di gay che si offrono gratis e di lucciole a pagamento, con tanto di numero di cellulare, disegni osceni, testamenti e aspirazioni sessuali.

Un poveretto che va a fare i suoi bisognini si trova sotto gli occhi tutte le ‘sacre’ scritture.

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Fessarüje 

Fessarüje s.f. = Fesseria

Stupidaggine, cretinata; per estens. cosa da nulla, sciocchezza, barzelletta.

Cunté fessarüje = Raccontare barzellette, o anche raccontare cose non vere.

Nen facènne fessarüje = non fare sciocchezze, riga dritto.

Agghje fatte ‘na fessarüje = Ho combinato un guaio.

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Fèrve

Fèrve v.i. = Bollire, fervere, scottare.

Dicesi spec. di liquidi in ebollizione, o con elevata temperatura.

Ma’, l’acque jì assüte a fèrve: pozze mené ‘a paste? = Mamma, l’acqua ha incominciato a bollire, posso calare la pasta?

I Latini usavano il verbo fervere, passato tale e quale all’italiano e se vogliamo, un po’ accorciato, al nostro fèrve.

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Fèrse

Fèrse s.f. = Telo

Pezzo unico di tela di taglio rettangolare; può essere cucito insieme ad altri nella confezione di abiti o biancheria, ma specialmente delle lenzuola.

Si vendeva a metraggio. Ogni fèrse era generalmente alta cm 90; con tre di questi teli si confezionava un lenzuolo matrimoniale della lunghezza di cm 250. La speciale cucitura a macchina a punti sovrapposti, chiamata tortè univa i tre teli e rinforzava l’orlo superiore e quello inferiore.

Ora le lenzuola si vendono già confezionati in tela unica, sia per i letti a una piazza, sia per quelli a due piazze.

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Ferrìzze

Ferrìzze s.f. = Sgabello, scranno

Sgabello molto rustico fabbricato con legno di ferula, detto anche finocchiaccio selvatico, insomma la nostrana frèvele(←clicca), tagliato in tanti tronchetti di circa 50 cm che venivano assemblati con legacci di fibre vegetali e senza l’uso dei chiodi o di colla.

Ho visto da bambino una ferrizze addirittura con lo schienale fatta da un artigiano fantasioso.

Nel Salento sono chiamate fuddizza. In Sicilia questi sgabelli cubici sono chiamati furrizzeferrìzzuoli (Eravamo o no nel Regno delle Due Sicilie?) e sono tuttora venduti come prodotti dell’artigianato.

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Ferrètte 

Ferrètte s.m. = Saliscendi, Forcina per capelli, ferretto

1) Ferrètte = Saliscendi. Congegno per chiudere porte e finestre, formato da una piccola verga piatta di ferro munita di pomello che scorre tra guide, e che può andare a incastrarsi in un altro passante fissato sull’altro battente, o anche nell’apposita staffa posta sull’architrave della porta.

Quello inferiore, praticamente uguale, ma viene montato a rovescio, ossia con il codolo che si inserisce in un foro praticato sulla soglia d’ingresso.

  2) Ferrètte = Forcina per capelli a forma di una U con i due gambi lunghi fino a 10 cm. Serviva a sostenere le trecce composte a crocchia, una sorta di toupet. Al plurale suona ferrjitte.  Usato anche per liberare parti interne incrostate di tubi o anche (scusate) gli sfinteri anali occlusi (ndurséte)  da semi ammassati di fichidindia,

Quello più piccolo, dai gambi aderenti, leggermente arcuati, è chiamato ferrettüne = ferrettino indifferentemente sia al singolare, e sia al plurale. Può essere anche di colore dorato per le pulzelle che hanno i capelli chiari, oppure nero o castano per le more.
La parte superiore visibile è a forma serpeggiante in modo che i capelli da essi fermati assumano un ordinamento ondulato. Le nostre nonne, in assenza di cotton-fioc usavano la parte ad occhiello per spalare il cerume dalle loro e dalle nostre orecchie…

3) Ferrètte = Ferretto a sezione quadrangolare per preparare la pasta fresca in casa, una specie di maccheroncino chiamato mezze-fainèlle

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Ferrére

Ferrére s.m. = Fabbro-ferraio

Artigiano che lavora il ferro. Deriva dal latino ferrarius.

Sono abilissimi a forgiare ringhiere, corrimano, balconate, infissi, cancelli, aratri quadrivomeri, chiavistelli, serrature ecc.

Quelli che facevano all’occorrenza anche i maniscalchi sono andati riducendosi per scarsezza di equini da ferrare. Non credo che esiste ancora qlcu a Manfredonia.

Molti fabbri invece erano meccanici di macchine agricole (trebbie, mietitrici, trattori, ecc)

Come tutti gli artigiani erano appellati con il titolo di maestro, non solo dai propri allievi:

Maste Vecjinze Racioppe, Maste Dumìneche Adabbe, Maste Frangìsche Cinghe, Maste Tumése Racioppe, Maste Mecöle Telöre, Maste Cesàrje Mundèlle, ecc.

Esiste anche un soprannome, ma credo che derivi dal cognome Ferrara.

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Ferrarìcchje

Ferrarìcchje s.m. sopr. = Piccolo fabbro.

Diminutivo di ferrére = fabbro-ferraio.

Usato come soprannome. Evidentemente la persona cui fu affibbiato era di conformazione minuta a dispetto del mestiere svolto che richiede corporatura robusta, o invece aveva una piccola bottega dove svolgeva il suo lavoro.

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Fèrra-cavàlle

Fèrra-cavàlle s.m. = Maniscalco

Artigiano che forgia i ferri su misura e attende alla ferratura degli equini (muli, asini e cavalli).

Di solito era un fabbro-ferraio che si adattava a questa incombenza.

Tuttavia mio padre (fabbro come tutti i suoi antenati, accertati almeno fino al 1825) non ne ha voluto mai sapere: Mastro Vincenzo preferiva costruire aratri, ringhiere, grate, balaustre, zappe, picconi, treppiedi per braciere e caminetto, e soprattutto riparare macchine agricole.

In dialetto il termine maniscalco non è mai entrato. Si è preferito descrivere l’azione di ferrare i cavalli, quindi colui che ferra i cavalli. Un po’ come l’italiano spacca-pietre o cava-denti.

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