Autore: tonino

Brasciöle

Brasciöle s.f. = Involtino

Il termine somiglia al sostantivo italiano ‘braciola’.

Nelle altre parti d’Italia se uno ordina al ristorante una braciola, si vede portare una fetta di carne di bue, di vitello o di maiale cotta sulla brace o alla griglia.

In Puglia ha un’altra connotazione. Si tratta di carne di vitello o di cavallo tagliata a fette, condita e arrotolata, e tenuta stretta con del filo bianco di cotone, oppure con alcuni stecchini.

L’interno è condito con aglio (o noce moscata grattugiata per quelli che hanno lo stomaco delicato), prezzemolo, uva passa, pinoli, pecorino grattugiato, prosciutto cotto, ecc… La fantasia non manca alle massaie pugliesi.

Dopo aver preparato le brasciöle le nostre massaie le cuociono al ragù per condire le orecchiette.

Nessuna si sognerebbe di farle ai ferri!

Brasciöle è anche un soprannome locale. Evidentemente il nomignolo è stato affibbiato a qualcuno che le vendeva o le gustava particolarmente.

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Brachessüne 

Brachessüne s.m. = Mutanda da donna

Indumento “scandaloso” usato dalla ventenni sfacciate nell’immediato dopoguerra.

Era di cotone, ovviamente bianco, e, udite udite, sgambato, e con un merlettino rosso o giallino lungo il bordo inferiore.

Le ragazze fino ad allora avevano adoperato mutande lunghe fino al ginocchio, come i calzoncini dei calciatori: figuratevi cosa dicevano le loro mamme.

Fino agli anni ’50 le mutande da donna, erano confezionate in casa uguali ai box degli uomini, con tanto di gambetta, più o meno lunga a seconda della stagione.

Poi sono arrivate sulle bancarelle dei mercatini le prime mutande di cotone già confezionate, sgambate,con l’elastico largo in vita, chiamate slip.

Gli slip da uomo con l’apposita apertura, e quelli da donna intere, a triangolo, erano tutte in cotone filato bianco a coste.

Siccome fino ad allora le mutande si chiamavano tutte vréche = “braghe” (= Ciascuna delle gambe di pantaloni o mutande da uomo) qualcuno pensò che quelle femminili si dovessero chiamare vrachèsse = “braghesse”, (come dottorèsse).

Ovviamente il passo successivo venne da sé. Da vrachèsse a brachèsse e quindi brachèssüne per la loro dimensione ridotta rispetto a qelle maschili.

Notate l’influenza spagnola già evidenziata, tra la b e la , come spiegato nella “Fonologia e ortografia”.

C’era una canzonaccia che circolava tra gli studenti dell’epoca, ora tutti attempati pensionati: cominciava come la famosa canzone napoletana ” ‘A cammesella” e poi naturalmente finiva con…e ljivete ‘u brachessüne!

Ora esiste una mutandina da donna, tipo file interdentale, chiamato perizoma.

Un amico veneziano ha sentenziato: “na olta par vedar el cul se spostaa le mudande, adesso par vedar le mudande se sposta el cul”. C’è bisogno della traduzione?

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Boss

Boss s.m. = Dirigente, Manager, Capo squadra, Intestatario di Azienda, ecc.

Il termine inglese è giunto tale e quale qui da noi per merito degli emigrati in America. L’ho visto incluso addirittura nel vocabolario della lingua italiana come acquisito.

Per la sua brevità il sostantivo, volto soltanto al maschile, ‘u Boss, è accattivante, si ricorda facilmente, e dà un senso di familiarità e viene citato anche con una sottile ironia. Ecco giustificato il suo successo.

In ambiente domestico si intende indicare il Capo famiglia. In ambito lavorativo il Direttore della scuola, il Capo mastro, il Responsabile dell’Ufficio, il Direttore, ecc.

Un termine che ha diffusione anche nel linguaggio malavitoso. Il Boss è il Capo di associazioni mafiose. E questo boss non è detto in modo ironico ma in maniera maledettamente seria fin dai tempi di Al Capone.

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Alla bórje 

Alla bórje loc.id. = Per finta

Sarebbe come dire: per burla, per scherzo, per gioco, come presa in giro.

Traduzione letterale: alla [maniera di una] burla.

Tipico nella frase: Ma, veramènde? No, alla bórje =  Ma per davvero? No,  per scherzo.

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Bonasöre

Bönasöre escl. = Buonasera

Formula di saluto o di augurio che si usa al pomeriggio e/o alla sera.

Si può scrivere staccando i due termini Böna söre, come accade per l’italiano “Buona sera”. 

Nel caso in cui si fa un saluto collettivo per accomiatarsi,per delicatezza è preferibile pronunciare  il saluto in lingua: “Buona sera a tutti!” perché nella comitiva da cui ci si  allontana potrebbero esserci delle  persone forestiere.

A proposito di bonasöre mi viene a mente una preghiera dialettale tramandataci per tradizione orale e recitata dalle nostre nonnine che inizia proprio con questo saluto:

PREGHIERA DELLA SERA

Buonasöre, buonasöre,
L’àngele appìccene la cannöle,
La Madonne vé pe la chése
‘U méle ce jèsse, e ‘u bbune ce trése.

Quatte candüne stanne jìnd’ a ‘sta chése
E quatte àngele ce trése [1] 

Lüche , San Giuànne,
San Mecöle Arcàngele e Gése Crìste
Mò-mò accummènzene a dïce
A mòrte e passiöne de nostre Signöre Gése Crìste.

Signöre,
je sacce la cuchéte,
ma nen sacce la iavezéte.

Signöre,
perdùne tutte i pecchéte
fïne da l’öre ca so’ nnéte

Pjitre, Madonn’Adduluréte,
i trìdece [2] apòstele e i quatt’ evangelìste,
je m’abbrazze pe la Madonne e Gése Crìste.

Sand’ Andònje, mio dilètte
Inda a chésa möje je t’aspètte,
vine p ‘u tüve giglje [3]
pùrteme ‘nu bbune cunzìglje;

questa grazia ca je te cèrche
fammìlle pe caretà
fammìlle pe pietà
fammìlle pe lu tröne [3]
d’à Santìssema Trinità.

Note:
[1]  per concordanza col soggetto dovrebbe esserci  ce tràsene, ma per necessità di rima si accetta questa licenza poetica.
[2] Era diffuso dire 13 apostoli, perché a tavola c’era anche Gesù: quindi tredici commensali. Ora stare a tavola in tredici porta male, perché in quel numero c’è il traditore: Giuda.
[3] suonerebbe meglio gìglje tüve, ma la rima è tiranna.
[4]‘u tröne = il trono. Con il medesimo suono significa anche treno.

Preghiera tramandata oralmente da Nicoletta Pinto, classe 1906, a suo figlio Francesco, che la recita tutte le sere.
Notizia riportata da Alessandra, nipote di Nicoletta Pinto, che ringrazio di avermela proposta.

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Bommüne

Bommüne s.m. = Bambino

Va bene anche la grafia omofona Bommïne

Usata soltanto, per antonomasia, per indicare il Bambino Gesù nel presepio. San Gesèppe, la Madonne e ‘u Bommüne.

Una storpiatura linguistica come se si volesse rendere in dialetto una parola italiana.  Difatti il bambino, inteso come neonato, è detto:
‘u/’a criatüre (m e f.) = la creature
‘u/’a uagnöne = il o la bambina
‘u peccenìnne = il piccolino
‘a peccenènne = la piccolina

Stanotte uà nàsce ‘u Bommüne = Siamo alla vigilia di Natale.
Mò àmma mètte ‘u Bommüne jìnd’u presèpje = Ora dobbiamo posare il Bambinello dentro il presepio.

Ho anche ho sentito il diminutivo ‘u Bammenjille = Il Bambinello. Chiaro il termine simil-italiano.

Un tenero ricordo della mia infanzia. Ho assistito alla Messa di Natale in Cattedrale. avevo otto anni, ossia nel 1948: a mezzanotte, quando è nato ‘u Bommïne, assieme ai canti e all’incenso, all’interno della Chiesa, con mia somma meraviglia, furono liberate dall’altare maggiore alcune colombe bianche, certamente in segno di “pax hominibus bonæ voluntatis“.
Esse volando passarono sulle nostre teste attraversarono tutta la navata e si andarono a posare sulla balconata dell’organo, al di sopra dell’ingresso principale.
Un’altra volta un bontempone, siccome la corrente elettrica  era altalenante a causa del maltempo, disse durante la fase del buio:
Nen sapüme se stanotte se uà nasce mascule o  fèmene…

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Bomméce 

Bomméce s.f. = Filo ritorto

Il termine bomméce può far pensare a bambagia. Invece si tratta di filo di cotone ritorto alla grossa.

Era venduto  a matasse di varie colorazioni, e veniva usato dalle magliaie per lavorarlo a macchina, e dalle nostre nonne per sferruzzare e ricavarne calzettoni.

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Böje 

Böje s.m. = Boia

Epiteto rivolto affettuosamente nel linguaggio familiare, ai bambini che fanno birbonate e marachelle.

Mado’, ccùme àgghja fé pe ’stu bböje? Ne la fenèsce méje… = Madonna, come (ho da) devo fare con questo boia? Non la finisce mai

Significato letterale = boia, carnefice, esecutore di condanne a morte.

Pensate che coraggio doveva avere costui: mettere il cappio intorno al collo del condannato, e azionare la botola o issarlo a braccia sulla forca, sospendolo finché non sopraggiungeva la morte. Oppure, nei tempi più antichi, calare manualmente la mannaia sul collo del malcapitato poggiata sul ceppo e troncarla di netto. Con la rivoluzione francese la ghigliottina gli ha risparmiato questa incombenza: ma era sempre il boia ad issare la lama e a farla calare.

Chissà se era retribuito bene!

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Bófele

Bófele s.m. soprann. = Bufalo.

Mammifero da latte che si è ambientato nella nostra zona grazie alla presenza di numerosi acquitrini.
Molto ricercata la mozzarella derivata dal latte di bufala.

Riferito a un uomo lo identifica come un tipo grande, grosso e gran mangione (‘u bófele = il bufalo).e si pronuncia con la ó stretta.

Al femminile indica una donna grossa e lattifera come una bufala (‘a bòfele = la bufala) e si pronuncia con la ò larga.

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Biése

Biése n.p. = Biagio

Da noi, a causa della lunga permanenza a Manfredonia dei dominatori Angioini, è rimasta l’influenza della lingua francese. Infatti i Francesi tuttora dicono Blaise (leggi blees’) per questo nome.

Biagio deriva forse dall’osco blaesus, “balbuziente”, preso dal greco blaisos, “storto”, diventato in epoca romana nome gentilizio, poi soprannome e quindi nome personale.

L’onomastico si festeggia il 3 febbraio in onore di san Biagio vescovo, martire in Armenia nel 306.

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