Accunté ‘a storje ‘u Cecerètte

Accunté ‘a storje ‘u Cecerètte loc.id. = Raccontare le peripezie di Ceceretto.

Accunté ‘a storje d’u Cecerètte viene citato come modo di dire.

Significa raccontare per filo e per segno una lunga vicenda fin dal principio, e ricca di particolari a qualcuno che magari non le vuole nemmeno ascoltare.

Jì venüte m’ho cuntéte tutte la storje d’u Cecerètte. Nen la fenöve cchió! = E’ venuto e mi ha raccontato tutte le sue peripezie. Non la smetteva più!

Vüje nen sapüte tutte ‘i fàtte: mo’ ve l’accònde jüje tutt’a storje ‘u Cecerètte! = Voi non conoscete completamente come si sono svolti i fatti: ora vi racconto io tutta la vicenda dettagliatamente, così come si è svolta.

Cecerètte chi era costui? Era il protagonista di una interminabile e ingarbugliata fiaba per bambini.

Non la ricordo più nemmeno io, che per le cose della mia infanzia ho il buzzo buono, perché mi addormentavo sempre prima della fine…

In mio soccorso è intervenuta la lettrice MariaPia – che ringrazio di cuore – narrandomi la lunga storia di Cecerètte:

«Era una filastrocca montanara, me la raccontava mia nonna,che era originaria di Monte Sant’Angelo.
In poche parole un uomo, povero, aveva solo un cece per mangiare (il ciceretto ) e, dovendo andare a Messa, non voleva portarselo per paura che glielo rubassero; così lo volle lasciare ad una donna, che lo rassicurò del fatto che, al ritorno dalla messa, glielo avrebbe restituito.
Senonché, quando l’uomo fa per riprendersi il ciceretto, la donna, tutta addolorata, gli confessa che il suo gallo aveva trovato il ciceretto e l’aveva mangiato. L’uomo, annusato l’affare, chiede alla donna: “o mi dai il ciceretto, o mi dai il tuo galletto!” (detto a mò di cantilena); la donna alla fine gli dà il galletto per scusarsi e l’uomo va via.
L’uomo si fa furbo e continua la storia, lasciando il galletto da un’altra donna con la scusa della Messa, ne ricava un maialetto, che aveva ucciso a pedate il galletto.   Lascia il maialetto e ricava una mucca che aveva preso a cornate il maialetto;  lascia la mucca a casa di due poveri coniugi con le figlie malate (erano solo affamate), che tagliano due fette di carne dalla zampa della mucca (viva!).   Quando l’uomo fa per riprendersi la mucca,si accorge che zoppica. Torna dalla famiglia e chiede o la mucca indietro o una delle figlie. Dopo un po’ di battibecchi, il padre acconsente allo scambio, ma propone di mettere la figlia in un sacco, perché altrimenti non sarebbe mai andata di sua volontà. L’uomo è d’accordo e così si prende questo sacco. Mentre se ne va, contento degli affari della giornata, il sacco inizia a muoversi sempre più forte, costringendo l’uomo a fermarsi e ad aprirlo. Appena aperto, salta fuori un cagnaccio che gli strappa via il naso a morsi e scappa via. L’uomo lo rincorre e propone uno scambio: ”tè,tè pane e caso (cacio) e dammi il mio naso!”…»

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1 Comment

  1. Mamma mia! Davvero è lunga e ingarbugliata questa favola!
    Il finale mi piace trascriverlo in dialetto (montanaro) come lo sentiva Maria Pia:
    «Tèh, tèh, péne e chése e damme ‘ndréte ‘u nése»

    In manfredoniano cambia solo “ndréte” che suona ” ‘ndröte”


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