Ne jì dumèneche se nen ce sté ‘u züche = Non è domenica se non c’è il sugo.
Ovviamente per “sugo” noi intendiamo il ragù di carne mista e passata di pomodoro, usato per condire le orecchiette o gli ziti spezzati (o anche i rigatoni…).
La tradizione meridionale è sacra. Non è ammesso altro “primo” al pranzo della domenica. In tempi più recenti si è passati alla pasta al forno (cannelloni, lasagna) ma sempre condita col rituale züche domenicale.
In Emilia-Romagna per esempio di domenica usano spesso i tortellini o i passatelli in brodo. Buonissimi, per carità, ma io sono di quelli che di domenica vogliono «‘U pranze de Pulcenèlle», ossia i maccarüne p’u züche d’a dumèneche! Se no che domenica è?
Nei tempi difficili del dopo-guerra ricordo che di domenica, invece della carne, le nostre mamme usavano la cotica o la ventresca di maiale per preparare ‘u züche fìnte = il sugo “finto”, perché privo di brasciöle, savezìcchje, castréte, pulpètte….
Sì, finto, ma era pur sempre sugo, ed era ugualmente buono, vi assicuro!
Ringrazio il lettore Alfredo Rucher per il suo grazioso suggerimento.
Per parecchi anni, per motivi di lavoro, lavoravo lontano da casa, dal lunedì al venerdì o anche fino al sabato.
Frequentando quindi i ristoranti, ed essendo zilloso come diceva mio padre, mangiavo quasi sempre la carne, per cui quando telefonavo a casa per annunciare il mio arrivo, chiedevo per il mezzogiorno della domenica un piatto di pesce. Da allora, per tradizione, il pranzo della domenica è diventato‘i ‘ndurce c’a siccia chjöne in tutte le stagioni, oppure ‘i siccie au fórne ch’i paténe. Talvolta, casualmente, la ciambòtte (zuppa de pesce).
Grazie Lino.