Tag: Verbo transitivo

Vumeché

Vumeché v.t. = Schiumare

Schiumare, in italiano ha anche il significato di liberare dalle scorie, dai residui.

Nel nostro caso, appropriatamente, indica l’operazione di pulitura delle vongole o delle cozze per levare la sabbia o altre impurità dai loro gusci. Si passano sotto l’acqua corrente e si stropicciano una contro l’altra una manciata per volta.

Quann’jì ca vé a vumeché ‘i còzzele? = Quando vai a schiumare le cozze?

Non sono certo, ma anche per l’operazione di pulitura del polpo dalla sua patina viscida si usa lo stesso verbo.

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Tuzzelé

Tuzzelé v.int. = Bussare

Picchiare su una porta e simili, per farsi aprire o per annunciarsi (Sabatini-Coletti)

Esiste la variante tuzzeljé più nel senso figurato, come per dire ripetere sempre la stessa richiesta di denaro, di prestazioni, di beni.

Tuzzeljije a quèdda pòrte = Bussa a quella porta.

Evògghje a tuzzelé! Nen ce sté nesciüne! = “È inutile bussare qui! Non vi aprirà nessuno” (Toto Cutugno, “Soli”)

Si usavano le nocche delle dita per bussare. Ora si bussa a mano solo per chiedere di entrare nell’ambulatorio del medico o in un ufficio pubblico.

Una volta i portoni erano dotati di un battocchio metallico, dalle più svariate fogge, perché gli abitatori del piano superiore potessero sentire quelli che bussavano. Un ingegnoso tirante azionato manualmente riusciva ad aprire il portone senza bisogno di scendere le scale.

Poi sono stati inventati il pulsante sul portone che azionava campanello elettrico al piano e dal piano il pulsante elettrico che azionava l’apriportone. Successivamente è arrivato il citofono e il video citofono a colori…

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Trizzjé

Trizzjé v.t. = Succhiellare, scoprire le carte da gioco.

Corretta anche la pronuncia trezzjé.

Non so se in italiano esiste un verbo che corrisponda al nostro trizzjé. In Abruzzo dicono trizzicà, in Basilicata spizzicà in Campania dicono quasi come da noi: trizzià. Insomma il dialetto possiede un verbo transitivo che l’italiano forse non ha (o almeno è ignorato da me).

Il verbo riguarda il gioco delle carte.

Io provo a descrivere l’azione di trezzjé (o trizzjé) per i non avvezzi.

Si devono scoprire una per volta le carte ricevute, con lentezza e abilità, sperando di trovarvi quella favorevole al proprio gioco.

Ovviamente la prima carta è già visibile e nasconde le altre, che una alla volta verranno scoperte in un lento strip-tease mediante scorrimento della prima sulla seconda, e poi di questa sulla terza, ecc.

Perché si usa talvolta trizzjé le proprie carte? Forse per accrescere la tensione, per scoraggiare l’avversario, per stimolare l’adrenalina?

Mò m’a vògghje trezzjé ‘sta carte = Adesso mi voglio proprio gustare la scopertura di questa carta.

Nella tranquilla Canasta domestica ogni giocatore tiene in mano le carte ben scoperte verso di sé, e non ricorre a questo vezzo da incalliti professionisti.

Il dott. Matteo Rinaldi mi ha rivelato il corrispondente verbo italiano: “succhiellare”, e di questo lo ringrazio pubblicamente.
Tuttavia ritengo che il nostro trizzjé sia più accattivante, sintetico e musicale di quello corrispondente in lingua italiana.

Capita spesso!

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Travanàrece

Travanàrece v.t. = Bagnarsi completamente, infradiciarsi

Spec. quando qlcu viene sorpreso dalla pioggia senza ombrello o altro riparo, e viene investito da un temporale o abbondantemente da acqua in genere (anche da ‘nu mùgghje = un gavettone,
un’onda anomala).

Si dice c’jì travanéte = si è inzuppato completamente.

Forse deriva da trapanare, nel senso che l’acqua della pioggia inzuppa prima i vestiti e si poi s’insinua fino alla pell

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Tenìrece a…

Tenìrece a… v.t. = Trescare con…

Avere una relazione amorosa, una tresca con qualcuno/a.

Quando qlcu aveva l’amante, una volta si diceva: Ce töne a…. Oggi si dice che lui/lei è legato/a da affettuosa amicizia con lei/lui.

Domanda diretta: Ma te tjine angöre a quèdde? = Ma sei ancora legato da affettuosa amicizia con quella?

Più brutalmente l’amante (donna) era etichettata con ‘a mandenüte, la mantenuta, perché dipendeva in tutto e per tutto dall’uomo che provvedeva al suo mantenimento e alle sue necessità finanziarie. Questione di affetto o di sesso sicuro?

Rappresentava uno status sociale avere quasi obbligatoriamente, oltre alla famiglia tradizionale, anche un’amante fissa, come per dimostrare di aver larghe possibilità economiche. Tutti conoscevano la tresca, compreso i componenti del proprio nucleo familiare, e tutti facevano finta di niente. Era tollerato o ritenuto inevitabile.
Altri tempi?

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Tenemènde

Tenemènde v.t. = Guardare, osservare

Ho sentito anche la versione tenemendì.

Verbo andato quasi in disuso. Ora è adoperato solo dagli ultra 70enni. con il significato di guardare, osservare attentamente, fissare qualcuno o qualcosa come per memorizzare (tenere a mente) ogni particolare.

Chessò ca tenemjinde? = Cosa hai da guardare?

Tenemjinde a quèdde! = Osserva quella (bella ragazza)!

Tó adda tenemènde accüme fàzze jüje, se no nen te mbére méje = Tu devi guardare attentamente come opero io, altrimenti non impari mai (il mestiere). Il consiglio del bravo artigiano al suo allievo.

Anche in napoletano antico su usava questo verbo. Ricordate la celeberrima canzone “Torna a Surriento”?

Vide ‘o mare quant’è bello!
Spira tantu sentimento.
Comme tu a chi tiene mente
Ca scetato ‘o faje sunnà.

Vedi il mare come è bello!
Ispira molto sentimento.
Come te che a chi guardi
Da sveglio lo fai sognare.

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Tembré

Tembré v.t. = Temperare o temprare, impastare.

1) Tembré = temperare.
Sottoporre a tempra vetri e metalli per conferire durezza e resistenza.

Tembré ‘u fjirre = Temperare il ferro.
Metodo artigianale per temprare un oggetto tagliente (piccone, vomere, falce, scalpello ecc.). Si scalda nella forgia la parte interessata fino  all’incandescenza, e poi la si raffredda rapidamente con immersione in acqua (o in olio minerale).
Credo che il fenomeno dell’indurimento sia dovuto alla perdita di una parte di carbonio contenuto nel ferro dolce, per effetto del calore: quello che resta è acciaio, quindi più duro.

2) Tembré ‘u péne = Panificare.

Tembré ‘u péne =Impastare farina di frumento con acqua lievito e sale. L’operazione successiva è detta škané ‘u péne = spezzare la massa e farne delle pagnotte (‘i škanéte). Infine avviene ‘a ‘nfurnatüre = la cottura nel forno.

Cungè, damme ‘na zènne de crescènde ca cré matüne jà tembré = Concetta, dammi un tozzo di lievito perché domani mattina devo panificare.

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Tedeché

Tedeché v.t. = solleticare

Quelli che parlano bene l’italiano dicono titillare (uguale al latino titillare)o vellicare.
Il verbo deriva dal sostantivo tedìgne (←clicca) o viceversa.

Mio padre nel giocare con me quando io ero in età pre-scolare, talvolta si divertiva a farmi il solletico sotto le ascelle per vedermi ridere irrefrenabilmente.

Ed io ridevo a crepapelle e mi divincolavo; lui dopo il primo “trattamento” riusciva a farmi ridere anche senza più sfiorarmi, con il solo gesto delle sue mani che si avvicinavano a me.
Un ricordo tenero e bellissimo!

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Sutterré

Sutterré v.t. = Sotterrare

Porre una salma, con tutta la bara, sotto terra. Inumare

Più spesso sentivo pronunciare la locuzione “mètte sott’a tèrre” = inumare, interrare.

Da qualche decennio i cadaveri prevalentemente non vengono più inumati nella fossa ma tumulati nei loculi.

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