Tag: sostantivo femminile

Nzèrte

Nzèrte s.f. = Serto

In italiano, al maschile, significa ghirlanda, corona spec. di fiori o di foglie.

Da noi, al femminile, e più prosaicamente indica una corona formata da aglio intrecciato per le code o anche un ‘grappolo’ di pomodorini accavallati con i loro peduncoli a un supporto e tenuti appesi in luogo fresco per le provviste d’inverno.

‘A nzèrte de pemedurjille non si usa più perché è stata soppiantata dal “Ciliegino” di Pachino, detto da cocktail, reperibile tutto l’anno.

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Nutrìzze

Nutrìzze s.f. = Balia, nutrice

Donna che allatta il proprio bambino o, più comunemente, donna che, a pagamento, allatta i figli altrui.

Una volta, prima che fosse diffuso il latte in polvere per l’infanzia, se una puerpera non aveva latte a sufficienza per il suo bambino, ricorreva a queste benefattrici. Il compenso era sempre molto inferiore a quello che esse davano al pupo.

Spessissimo gli si affezionavano, perché se disponevano di latte significava che avevano avuto anch’esse un loro figlio. I due bebé, succhiando allo stesso seno, erano considerati “fratelli di latte”: una cosa bellissima.

Il bambino tenuto a balia dalla nutrìzze, per tutta la sua vita, anche in età adulta, la amava e la rispettava proprio come sua madre.

In effetti non ci si può affezionare a una tettarella di gomma, convenite?

L’allattamento artificiale con latte in polvere ha cancellato la figura della balia. Le baby-sitter moderne al massimo cambiano i pannolini e somministrano un biberon pre-riempito riscaldandolo per 50 sec. nel forno a micro-onde.

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Nuöje

Nuöje s.f. = Novena, novenario.

Ciclo di preghiere, pratica di devozione cattolica in cui si dedicano nove giorni consecutivi alla ripetizione di preghiere o riti in preparazione di una festa, per implorare la grazia o per onorare un santo.

Notissime la novena dell’Immacolata o quella di Natale, tuttora praticate dai devoti cattolici.

Qualcuno, influenzato dall’italiano, dice anche nuöne o addirittura nuvöne

Che volete farci? Al giorno d’oggi tutti hanno frequentato la scuola dell’obbligo, e perciò sono senza dubbi più istruiti dei loro nonni, ma stanno modificando e banalizzando il dialetto.

Anticamente si implorava la pioggia con novena e processione per i campi. La fede era più schietta e sentita. Credo pure che funzionasse!

Qualcuno, che aveva un concetto aberrante di Dio, faceva per conto suo ‘i nuöje per implorare vendetta contro un suo nemico. Qualche mamma apprensiva faceva ‘a nuöje per far maritare la figlia.

Insomma ‘a nuöje era considerata una pratica da stregone di tribù africane piuttosto che una devozione popolare. In questa forma sbagliata il concetto era: «io dò a Dio le preghiere e Lui mi deve esaudire. Do ut des.»   Io te dòngo ‘na cosa a tte, e tu mme daje ‘na cosa a mme: roba da tarantella napoletana col Signore.

Che meschinità infinita…

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Numenéte

Numenéte s.f. = Nomea, reputazione, fama

Usato prevalentemente con valenza negativa: mala numenéte= cattiva reputazione.

Pòvere a chi töne ‘a mala numenéte = Guai ha chi ha una cattiva reputazione (anche se compie la più nobile dele azioni verrà sempre denigrato).

Quale sinonimo, di estrazione più antica perché di derivazione diretta dal latino, è il verbo mentué o mundué (←clicca)  = nominare
San Francesco, nel suo cantico delle Creature, usa in volgare il verbo mentovare: «…et nullu homo ène dignu te mentovare» = …e nessun uomo è degno di menzionare, di nominare Te.

Ora questo verbo è usato solo dai Montanari, più tradizionalisti e conservatori in fatto di linguaggio.

Jì’ pe numenéte = Essere famoso (o famigerato) per il suo operato.

Tenì ‘na mala menduéte.. = Avere ‘una cattiva nomea, una cattiva reputazione.

Mi viene in mente la solita disgraziata: Caremöla Pampanèlle.

Così va il mondo.

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Nöre

Nöre s.f. = Nuora

E’ la moglie del figlio.

Se si tratta della moglie del proprio figlio, si dice nòreme; se del figlio di chi ascolta è nòrete.

Con la suocera non sempre ha un rapporto cordiale.

Forse perché entrambe sono diventate con il matrimonio “la signora Rossi”.

Si usa dire davanti a una cosa striminzita:
Eh, e chi jì, ‘u rjéle ca facètte Berte alla nöre? = Uh, e cos’è, il regalo che fece Berta a sua nuora?

Come se tutte le suocere fossero di manica stretta.

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Nocche

Nocche s.f. = Fiocco

Nodo con funzione decorativa fatto con una striscia di stoffa, un nastro e sim., che forma due o più cappi lasciando libere le estremità.

Lo stesso vale per l’allacciatura delle stringhe da scarpa.

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Ngrugnatüre

Ngrugnatüre s.f. = Sembianza, forma.

Sono i tratti somatici, i lineamenti del volto, specie se nel raffronto risultano somiglianti come accade tra consanguinei.

Ma quèdde jì sòrete? Tenüte ‘a stèssa ‘ngrugnatüre! = Ma quella è tua sorella? Avete la stessa sembianza (ossia c’è somiglianza, avete la stessa faccia, la stessa cera, la stessa espressione).

Penso che c’entri il grugno, inteso estensivamente come muso, viso, volto, cipiglio.

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Ngògne

Ngògne s.f. = Angolo, cantuccio

Tipico il modo di dire: sté a ‘na ‘ngogne de müre = stare in un angolino.

Credo che quel ngo sia lo stesso del termine a-ngo-lo

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Ngjinze

Ngjinze s.m. = Incenso; censo, rendita

1) “incenso” = oleoresine secrete da arbusti locali della Penisola Arabica.

Tali resine, una volta raccolte e cristallizzate, sono in grado di liberare nell’aria un forte e penetrante profumo al momento della loro combustione.

Conoscevamo fino a pochi anni fa solo l’incenso bruciato nelle chiese cattoliche durante le funzioni solenni, a simboleggiare la preghiera che si eleva verso il Creatore.

Abbiamo conosciuto anche altri tipi di incenso, venduti sottoforma di stecchetti, usati per deodorare ambienti o per creare atmosfere esotiche.

2) “rendita” = censo o censuo (dal latino Census).

Nel Medio Evo era un tributo sulla rendita, o meglio sull’usufrutto, dei terreni o degli immobili in genere.

Poi più genericamente si è identificato il termine “censo” con qualsiasi rendita, sia da interessi su capitale liquido, sia da locazioni di terreni o di case.

Quindi, la nota frase ho perse ‘ngjinze e capetéle, vuol significare che qlcu si è avventurato in un’operazione finanziaria finita male, nella quale ha perduto il capitale impiegato nonché l’interesse che sperava di guadagnarci.

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Ngecalènze

Ngecalènze s.f. = Concentrazione.

Capacità di fissare l’attenzione su un solo dato. Capacità di concentrarsi nel lavoro, nello studio.

A causa della ngecalènze, talvolta il mondo circostante sembra svanito. Non si riconoscono nemmeno i volti familiari.

Si è come ciechi (da cui deriva il termine che potebbe significare cecità) che non si “vede” nessuno.

Tande ‘a ngecalènze ca ne me dé avedènze = È così intensa la sua concentrazione che non mi dà retta.

Chi è concentrato dicesi che sta accenechéte o ngenechéte.

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