Tag: sostantivo femminile

Patòrje

Patòrje s.f. = Raccontini

Il termine, accettabile anche nella forma patòrie, non ha un suo significato specifico, ma si ricorda forse solo per la rima, e va associato a stòrje (nella locuzione “storje e patòrje”)

Sono raccontini o aneddoti brevi e divertenti, spesso improvvisati,  che, erano narrati ai più giovani dalle persone più anziane.

Quante calde serate d’estate, a terra, sul marciapiede dell’uscio delle porte abbiamo ascoltato, dalle nonne sedute sulle “mezzesedie”, questi racconti a volte divertenti e a volte paurosi .

Spesso durante quei racconti poteva uscire dalla bocca del narratore qualche “frecàbbele”, ovvero una simpatica e divertente fesseria.

Ad esempio vi trascrivo una canzoncina abbastanza nota, sul motivo di Giro-giro-tondo:

Stòrje e patòrje
jì morte zia Vettòrje,
jì mòrte senza cammüse
e zia Vettòrje ‘mbaradüse.

Jì mòrte senza mutànde
e böna notte a tutte quànde!

Ho scoperto casualmente che anche in dialetto barese si usa questa espressione:
«Decève Zizì, u frate de mammine, ca iève scegguannàre (giocherellone): «Velite sendì?… Storie e Patòrie, u cule de Vettòrie, Vettòrie se ne scì e u cule arremanì!».

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Paténe

Paténe s.f. = Patata

patateLa patata (Solanum tuberosum) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Solanacee.

La parte commestibile della pianta è il suo tubero.

Tra i mille modi di cucinare la patata da noi trova il suo maggior successo nella specialità detta rjanéte(al forno con seppie, o baccalà, o testina di agnello, ecc). Ritenuto cibo di poco valore nutritivo.

Talvolta quando la risposta era negativa, l’interrogato diceva: ” Sì, i paténe“. Qualcuno, in questo caso, sibila una risposta volgare (Sì, ‘stu c****)… ma qui parliamo di patate.

Molto rinomate sono ‘i paténe de Zappunöte = le patate di Zapponeta.

Lo stesso termine è usato in quaso tutta l’Area sud (Campania, Basilicata, Puglia e Calabria)

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Pastunéche

Pastunéche s.f. = Carota

La carota (Daucus carota) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle ombrellifere; è anche uno dei più comuni ortaggi.

C’è un termine identico anche in spagnolo, portoghese, latino, e molto simile in tedesco e rumeno,(francese panais) che definisce la “pianta con radice carnosa, fusiforme alquanto gialla.

Gli antichi le attribuivano ogni sorta di virtù”. Deriva dal greco Panàkeia (lat. Panacèa) ossia: pan=tutto e àkos=rimedio.

Ho voluto documentarmi consultando il dizionario etimologico italiano.

Siccome come forma sono praticamente identiche, il nome generico “pastinaca” in tutto il Sud Italia, indica solo le carote, quantunque i due ortaggi siano diversi.  Infatti la carote sono commestibili anche crude in insalata, mentre le pastinache – largamente usate in Germania, Francia, Inghilterra – si possono mangiare solo cotte, come le patate, cui si avvicinano come sapore.

In dialetto il sostantivo simile, caröte, indica la barbabietola rossa (Beta vulgaris).

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Pastròzzele

Pastròzzele s.f. = Trasandata

L’aggettivo è rivolto specialmente a certe donne che non curano né la propria persona, né la loro casa.
Sinonimo del notissimo aggettivo muffàrde.

Sono quindi trasandate, malvestite, maleodoranti, arruffone, sporcaccione, ecc.

Credo che derivi da tròzzele, sterco ovino o gran sporco in genere.

Ho sentito pronunciare la forma breve “pastrozze“, un po’ come è accaduto per còzzele che è diventato cozze.

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Pastöre

Pastöre s.f. = Bandana a tracolla, pastoia

1) ‘A pastöre = Striscia di robusta tela olona cucita ad anello che i pescatori adibiti a salpare la sciabica portavano a tracolla. L’anello di tela terminava con una sagola e un grosso sughero.

I pescatori entravano in mare finché il pelo dell’acqua lambiva il ginocchio.

Avvolgevano con un rapido movimento la sagola al tirante della rete e spingendo con la forza muscolare come i muli attaccati all’aratro, portavano la rete della sciabica fino a riva, ripetendo il movimento di andata in acqua a vuoto e ritorno alla battigia sotto sforzo.

2) ‘A pastöre = Pastoia. Corda legata alle zampe degli animali per ternerli frenati.
Si lega alle zampe anteriori degli animali al pascolo, per evitare che si allontanino troppo.
Usata anche per le bestie da latte per tenerle ferme durante la mungitura manuale.

3) ‘U pastöre s.m. = Pastore. Chi custodisce e porta al pascolo il bestiame, spec. ovini e caprini. Comunque questo termine in dialetto manfredoniano è piuttosto desueto. Si preferisce dire più specificamente: pecuréle = pecoraio; crapére = capraio; e vacchére = bovaro, vaccaro.

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Pastöravacche

Pastöravacche s.m. = Cervone


Il cervone (Elaphe quatuorlineata) è il più lungo serpente italiano ed uno tra i più lunghi d’Europa. La sua lunghezza può variare dagli 80 ai 240 cm, anche se raramente supera i 160. È di colore bruno-giallastro con le caratteristiche quattro scure barre longitudinali (da cui il nome scientifico). Vive nel sottobosco fino a 1000 m di altitudine. Non è velenoso.
Il nome deriva dalla “pastoia”, un legaccio che si pone alle zampe anteriori o posteriori dei quadrupedi per impedirne il movimento. Per esempio era usato per immobilizzare le mucche durante la mungitura.

Curiosità da Wikipedia:
“Secondo alcuni il nome cervone deriva dal fatto che i pastori che lo vedevano durante la muta scambiavano la pelle secca della testa per delle corna. Per altri il nome è dovuto alle piccole escrescenze presenti sul capo. Per altri ancora le corna sono virtuali ed indicano la nobiltà di questo serpente, tra i più grandi d’Europa.

È anche chiamato Pasturavacche in quasi tutte le regioni del centro-sud, in quanto la credenza popolare voleva che fosse attirato dal latte delle vacche e delle capre al pascolo, e che per procurarselo si attaccasse alle mammelle degli animali, o addirittura lo leccasse dalle labbra sporche dei lattanti.”

Insomma, fungeva esso stesso da pastoia per tenerli fermi, allacciandosi alle loro zampe posteriori.

Tutti ci credevano e gli anziani giuravano che era la verità!

Addirittura mia nonna mi raccontava che il serpente usasse penetrare di notte nelle case di campagna attratto dall’odore del latte e, una volta infilatosi nel letto, si attaccava al seno della donna per succhiarne a volontà. Per evitare che il pupo si svegliasse, gli poneva perfino in bocca l’estremità della sua coda… Giurava che era vero!

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Passarèlle

Passarèlle s.f. = Passera di mare, o passera pianuzza

A volte viene chiamata rennenèlle = rondinella.
Si tratta di un pesce di mare (Platichthys flesus) che con i passeri (passarèlle significa passerina) ha  in comune forse il solo colore cangiante del mantello.
Appartiene alla specie delle Platesse atlantiche.

Come tutti i pesci congeneri (sogliola, suacia/cianchetta/zanghetta, platessa, limanda, ecc…) ha  il corpo appiattito di forma ovaleggiante e gli occhi su un solo lato della testa.
Possiede notevoli capacità mimetiche.  Spesso  per sfuggire ai predatori o per praticare la caccia, si copre della sabbia del fondale, da cui spuntano solo i suoi occhi protuberanti.
Si nutre di invertebrati e di piccoli pesci, soprattutto ghiozzi.

La lunghezza massima è di 40 cm. Vive anche in Adriatico.
Carni apprezzate.

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Pàrte

Pàrte s.f. = Parte, porzione

Un termine  poliedrico!

1) La pàrte, ciascuna delle frazioni o degli elementi in cui può essere suddiviso o scomposto un intero.  In dialetto esiste un significativo proverbio con questo termine: Chi sparte jéve ‘a megghja parte

Quèst’jì ‘a parta töve. Fàttele abbasté = Questa è la tua porzione. Fattela bastare. Evidentemente il poverino è a dieta e riceve le porzioni ridotte!

2) Fé alla pàrte = Fare alla parte. In dialetto significa associarsi al 50% (fifty-fifty)in qlc impresa commerciale, o anche semplicemente per spartirsi amichevolmente a metà la posta in gioco in una partita a carte.

Credo che sia tuttora in uso fé alla parte nel raccogliere le olive nei piccoli oliveti. Il proprietario delle piante chiama qlc conoscente che provvede alla raccolta. Le olive vengono portate al frantoio e l’olio ricavato si suddivide a metà tra il proprietario delle piante e colui che le ha raccolte.

3) ‘A pàrte = Lo spartito musicale scritto per ognuno degli strumenti di un’orchestra, ricavato dalla partitura (generale) ad uso del Direttore. .

4) ‘A parte a ssöle = L’esecuzione musicale del solista.  Aspettéte ca mò ‘a trombe uà féje ‘a parte a ssöle = Aspettate che ora la tromba eseguirà un pezzo da solista.

5) Parte =  partire, verbo declinato al presente (Giuanne parte jogge = Giovanni parte oggi) o all’infinio (Mattöje nen völe parte = Matteo non vuole partire).

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Parocche

Parocche s.f. = Bastone, vincastro

Sorta di bastone usata dai pastori nel menare al pascolo le loro greggi.  Taluni pronunciano paròcchele.

Ha spesso l’impugnatura era grossa, a pomello, per la nodosità del ramo da cui era stato ricavato, il bastone era proprio un randello, una clava.  Spesso termina a uncino.

In Abruzzo, Terra di pastori, è chiamata molto similmente pirocche, a conferma della secolare transumanza delle greggi verso la Capitanata che poneva gli Abruzzesi a lunghi contatti con le nostre genti del piano.

Esiste una forma di naso “importante”: ‘u nése a paròcche.

I Romani lo chiamano tortòre, forse perché non proprio dritto.

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Papèlle

Papèlle s.f. = Ciglio

Ciascuno dei peli ricurvi disposti sul bordo della palpebra a protezione dell’occhio.

Era usato quasi sempre al plurale.

Per non creare equivoci da quale organo spuntassero questi peli, si specificava sempre ‘i papèlle de l’ùcchje = le ciglia degli occhi.

Papèlle forse deriva da palpebra.

Con un termine più moderno si usa chiamarle ‘i cègghje.

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