Tag: sostantivo femminile

Pertöse

Pertöse s.f. = Asola

Significa principalmete asola, occhiello, o altra piccola apertura dove si può infilare un bottone, un orecchino, o qualsiasi altra cosa.

Deriva da pertüse = “pertugio”

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Perchjàcche

Questa pianta commestibile appartiene alla famiglia delle Portulaceæ (Portulaca oleracea) si dava ai porci mescolata ad altri alimenti nel pastone di svezzamento, nel Medioevo era chiamata erba porcaccia o porcacchia.

Nelle regioni italiane è conosciuta con nomi diversi. Soltanto per citarne alcuni:   porcellana o erba grassa in Lombardia;    porcacchia nel Lazio e nelle Marche;   precacchia in Abruzzo;   pucchiacchella in Campania.   Da noi viene chiamata anche precchjàzze.

E’ un’erba infestante, comunissima. La si ritrova negli orti, vicino alle macerie, lungo le strade e i sentieri delle regioni calde. Fiorisce in estate fino alla fine dell’autunno.

È ritenuta popolarmente come antielmintica (che distrugge i parassiti intestinali), depurativa, diuretica. Può essere usata cruda in insalata, sola o insieme alla rucola o ai pomodori, oppure cotta per preparare frittate o nelle minestre.

I rametti più carnosi si possono tagliare a pezzetti e, messi sotto aceto, consumati al pari dei capperi.

Il termine perchjàcche anche sinonimo di pecciöne nel senso di apparato genitale femminile.

Perciò la domanda sorge spontanea:

Cum’jì ca quest’èreve ce chjéme ”a perchjàcche?” = Perché quest’erba si chiama così?

La risposta è lapalissiana:
Pecché jì saprüte! = Perché è gustosa!!!

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Pendüre

Pendüre s.f. = Polmonite

Infiammazione che colpisce i polmoni e comporta febbre alta, dolori nella zona toracica, dispnea, tosse, espettorato.

Fino all’avvento della penicillina la malattia purtroppo dava scarse possibilità di sopravvivenza, specie se era localizzata a entrambi i polmoni.

Ne soffrivano particolarmente i fabbri, i fornai e i fornaciai per le esalazioni del carbone, e per gli sbalzi di temperatura dovuti al contatto con fonti di calore.

Pendüra ‘ngascéte = Broncopolmonite. Aggravante della polmonite.

L’aggettivo ‘ngcascéte = incassata, chiusa (nella cassa toracica), dava l’idea che la pendüre non poteva “aprirsi”, nel senso che la gravità della malattia non permetteva più di espettorare i muchi accumulati all’interno dei bronchi e dei polmoni e che perciò causava una insufficienza respiratoria molto spesso letale.

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Pelöse

Pelöse s.f. = Favollo

Si tratta di una specie di granchio più grande e robusto di quelli descritti alla voce “ràngeche”

Favollo (Eriphia verrucosa) appartiene alla famiglia delle Xanthidae. Si riconosce facilmente per le dimensioni, la forma robusta con le chele asimmetriche.

È particolare la dentellatura fine e frastagliata del bordo anteriore del carapace.

Viene catturato perché faccia da esca, legato vivo ad una pertica, per stanare i polpi in modo che il cacciatore possa arpionarli.

E pensare che per stanare la pelosa c’è voluto un pezzo di polpo!

Era noto un certo “Frìsche-Pàvele ‘i pelöse”, (Francesco-Paolo “le pelose”), un anziano ex pescatore che d’estate si aggirava per le scogliere dedicandosi alla cattura delle “pelose”. Ricordo anche che d’estate sotto il Castello di fronte allo Stabilimento di Titta c’era una persona che le vendeva ai bagnanti, già lessate e allineate sopra un piatto bianco.

A Vasto sono chiamati al maschile: i pelosi con cui condiscono, cotti nel sughetto di pomodorini, un tipo di pasta fatta in casa.

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Pelòsce

Pelòsce s.f. = Pene fanciullesco

Uno dei tanti modi fanciulleschi di chiamare (con nome femminile) il pene dei maschietti. Ho già ricordato la cicjille, la cillòtte, la vucjille..

Stranamente l’apparato delle femminucce era chiamato con un termine maschile: ‘U pecciöne, ‘u cianne, ‘u pelósce, come la stoffa dal pelo lungo che in francese si dice pelouche.

Misteri linguistici!

Pelósce, al maschile, significa anche piumino da cipria

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Péle

Péle s.m., s.f. = Palo, seme (di carte da gioco), pala

1) Péle s.m. = legno lungo, appuntito, che si conficca nel terreno, allo scopo di reggere una giovane pianta o sostenere una rete di recinzione, ecc.

2) Péle s.m. = ciascuno dei quattro “semi” o “colori” che contraddistinguono le carte da gioco. In quelle italiane sono: coppe, denari, spade, bastoni per indicare rispettivamente i beoni, i ricchi, i soldati di ventura e i malfattori (quattro categorie di uomini da prendere con le molle). Nelle carte dette “francesi” (o da poker, ormai universali, entrate anche nella nostra cultura) sono: cuori, quadri, fiori, picche.

3) Péle s.f. = pala, arnese da lavoro, formato da una lama d’acciaio fissata a un manico di legno. Viene adoperato per raccogliere ammucchiare terra, pietrisco, ecc. Quella con la lama di legno e il manico molto lungo è usata per porre e ritirare il pane dal forno.

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Pegnéte

Pegnéte s.f. = Pignatta

 La pegnéte ha due significati: uno è un laterizio, una specie di mattone forato usato in edilizia per armare i solai prima della gettata di calcestruzzo.

L’altro è un recipiente di terracotta, di varie dimensioni, dotata di manici, adoperata in passato per cuocere vivande. Ora si usa l’acciaio inox perché lavabile con più facilità.

La pignatta e usata tuttora in tutto il Sud Italia come gioco di Carnevale, non come strumento di cucina.

Da noi la prima Domenica di Quaresima viene detta da anni “La Pentolaccia” proprio da questo gioco antico “della Pignata”.

Si riempivano alcune pentole di terracotta con cenere, bucce di arancia e roba di scarto. Una sola di esse conteneva confetti e dolciumi. Quelli che erano estratti mediante una conta, venivano bendati e con un manico di scopa tentavano di colpire la pentola appesa al soffitto, una per volta. Prima quelle con scarti, e quella “buona” per ultima.

Ecco la descrizione del gioco in dialetto, inviatami dalla lettrice Mariella Prencipe (che qui ringrazio pubblicamente), la quale l’ha raccolta dalla sua mamma.

A Pegnéte

Pìgghje ‘na quartére
pe fé ‘na pegnéte,
ce mitte tanda cöse,
cumbìtte, curiàndele
chelöre de röse.

‘Mbacce a l’ucchje
pò mìtte ‘na pèzze,
strètta strètte
cüm’a ‘na capèzze.

Pe ‘na mazze
pò mjine li botte,
allu scüre
cüme la notte.

Se n’a ncugghje
te sjinte de fòtte,
ma s’a ncugghje
sóbbete fòrte,
tutta ‘a rròbbe
ce ne jèsse
e tu rumjine
cüme nu’ fèsse!

Prendi un orcio, per fare una pignatta, ci metti tante cose: confetti, coriandoli color di rosa. Sugli occhi ci metti una pezza stretta stretta come una cavezza. Con una mazza, poi tira i colpi al buio come la notte. Se non la centri ti senti di rabbia, ma le la prendi subito, forte, tutto il suo contenuto se ne esce, e tu rimani come un fesso!

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Pegnéta püta-püte

Pegnéta püta-püte s.f. = Putipù o caccavella

Tecnicamente è classificato come uno strumento a percussione, più propriamente “tamburo a frizione”.

È quasi sempre di fattura artigianale, ed è formato da un vaso di terracotta, o anche di latta o di altro materiale, chiuso con una membrana di pelle tesa con un foro centrale, attraverso il quale è inserita una cannuccia.

Sfregando questa cannuccia, dall’alto verso il basso con la mano inumidita stretta a pugno, o con una spugnetta bagnata e strizzata, si ottiene un suono grave, umoristico, talora imbarazzante perché simile a uno scorreggione, che funge da contrabbasso nelle melodie popolari folkloristiche.

Tipico strumento, assieme al tamburello, delle tarantelle napoletane, conosciuto anche da noi fino agli anni ’40.

Ad una ‘A pegnéte püta-püte è paragonato un soggetto brontolone, che ha sempre da ridire, che parlotta anche quando è richiesto il silenzio:
Assemègghje ‘na pegnéte püta-püte = Sembra un putipù.

Nel Sud Italia assume diverse denominazioni regionali:
putipù, cupa-cupa, cupiello, caccavella, pernacchione, ecc.

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Pechèsce

Pechèsce s.f. = lembo, orlo

Dicesi di lembo della sottoveste che fuoriesce dal bordo della gonna perché non ben sostenuto in vita.

Al maschile è una camicia che sporge in lunghezza dalla giacca.  È detto anche (clicca→) pèttele.

Aggióste ‘a sottavèste ca ce vöte ‘a pechèsce = Regola la sottana, perché si vede (fuoriesce) l’orlo.

Indice di sciatteria, trascuratezza. Designa anche una persona sciatta, trascurata.

Sorprendentemente ho trovato sul Dizionario Etimologico Italiano il termine Pechesce.
Trascrivo alla lettera:
«Pechesce ted. peketsche: dal polac BEKIESZA, ungh. BEKÈS, che è il nome di una Veste di sopra, di pelliccia, guarnita di alamari e fiocchi.»

Immagino che era una Veste lunga, ben al di sotto di un capporto, e che quindi usciva dall’orlo di quest’ultimo.

Pare che sia anche un abito maschile, tanto che Pascoli ne parla:

Bisogna che mi metta quel pechesce lungo! Oh! che tormento! E dovrei farmi la barba, ma non ne ho punta punta voglia!

In ogni caso è qualcosa di lungo o troppo lungo!

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Pavüre

Pavüre s.f. = Paura

La paura è una intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto. È una delle emozioni primarie, comune sia alla specie umana, sia a molte specie animali (da Wikipedia)

Come sinonimo popolare abbiamo cacàzze e fìffe (fifa).
Spavjinde più che spavento significa monito o cattiva esperienza.

Tenì pavüre, avì pavüre = temere, aver paura.

Tènghe ‘na pavüre du tarramöte! = Ho una (forte) paura del terremoto!

Agghje pavüre ca ce ne vöne a chjöve = Temo che cominci a piovere.

Simpatica la locuzione: ‘a pavüre fé nuànde = la paura fa novanta. È un’espressione entrata anche nella lingua italiana. Deriva dalla figurazione della “Smorfia napoletana”, ossia di quel libro che intepreta i sogni attribuendo un numero ad ogni oggetto o ad ogni circostanza. I numeri contemplatii sono 90, e le figure corrispondenti sono applicabili al gioco domestico della tombola o a quello “serio” del Lotto.

Qualche esempio?
1 l’Itàlje = l’Italia
8 ‘a bececlètte = la bicicletta (o anche gli occhiali)
14 ‘u mbrjéche = l’ubriaco
16 ‘u cüle = il culo
17 ‘a desgrazzje = la disgrazia
22 ‘u pàcce = il pazzo
47 ‘u mùrte ca pàrle = il morto che parla, ecc. e naturalmente
90 ‘a pavüre = la paura.

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