Tag: sostantivo femminile

Puttanìzzje

Puttanìzzje s.f. = Meretricio, lenocinio

Mercimonio del proprio corpo. Prostituzione.

Ai tjimbe de jògge stanne numónne de puttanizzje = Al giorno d’oggi c’è molta immoralità (esistono molte azioni immorali, specie in ambito sessuale).

Il neologismo bunga-bunga traduce bene il nostro sostantivo.

La televisione annunciava giorni fa che in Italia in questi ultimi dieci anni la moralità è sensibilmente diminuita. Per me non è certo segno di “emancipazione”.

La conseguenza? Proporzionale aumento di puttanìzzje. E non mi scambiate per bacchettone, perché i fatti di cronaca quotidiani purtroppo non mi smentiscono.

Puttanìzzje designa anche il lenocinio, ossia l’azione di chi si adopera, come intermediario, per favorire la prostituzione o amori considerati illeciti, a scopo di lucro.

Per estensione: inganno, ladrocinio, raggiro, e chi più ne ha più ne metta.

Insomma tutto il repertorio del malazzjunànde.

Ma códde, che mestjire fé? Uhm, vé facènne puttanìzzje = Ma quello, che mestiere fa? Uhm, fa compiendo misfatti.

Il termine dialettale forse si rifà ad autori ottocenteschi. La “puttanicizia” è parola usata da Giuseppe Gioacchino Belli, e poi rilanciata da Carlo Emilio Gadda, per significare impudicizia, ed è una fusione tra puttanità (licenziosità, lascivia, per Pietro l’Aretino) e impudicizia.

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Putöje

Putöje s.f. = Bottega

Bottega, laboratorio per attività artigianale.
‘A putöje du falegnéme, du ferrére, du sàrte.

Sté alla putöje = Stare a bottega da qlcu: voler imparare il suo mestiere, fare l’apprendista.

‘U uagnöne d’a putöje = Il ragazzo di bottega, l’allievo apprendista.

‘A putöje sté japèrte! = La bottega è aperta.
Così si mette in guardia scherzosamente qualche amico distrattone, segnalandogli che la patta dei suoi calzoni non è stata chiusa.

Un termine ormai andato completamente in disuso, ricordato solo dagli ottantenni, è ‘u putejüne = il botteghino, che indica specificamente il negozio del tabaccaio, che ora si chiama tabbaccüne.

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Pustéle

Pustéle s.f. = Corriera, Pullman di linea

Mezzo di trasporto, adibito originariamente, con cambio di cavalli ogni 10 miglia, al servizio di posta. Nei secoli successivi faceva anche servizio passeggeri. Con lo stesso nome italiano di “il postale” è passato al dialetto, che stranamente ha assunto il genere femminile.

In altre parti d’Italia si è chiamato Torpedone, grosso mezzi di trasporto della marca “Torpedo”, e poi autobus (solo per servizio urbano), corriera, e infine pullman.

Jì passéte ‘a pustéle pe Matenéte? = È passato il pullman per Mattinata?

Storicamente il servizio di collegamento per tutta la Puglia era gestito della SITA di Firenze (Fondata nel 1913). Negli anni ’50 la ditta Arena operava sul servizio di linea Foggia-Manfredonia-Mattinata .

La ditta Palombo & Fusilli di Manfredonia nella stessa epoca, curava il servizio per Zapponeta-Barletta-Bari.

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Pupüte 

Pupüte s.f. = Epitelioma.

In veterinaria si intende quella malattia infettiva dei polli che provoca la formazione di una pellicola bianca sul dorso della lingua, impedendo così all’animale di deglutire.

T’avèsse a venì ‘na pupüte alla lènghe! = Ti dovrebbe spuntare un epitelioma sulla lingua! (così, per il dolore, la smetti di borbottare o di lamentarti sempre).

Simpaticamente si rivolge questo “augurio” a quelli che hanno sempre da brontolare.

Si intende anche descrivere con questo termine quella sottile pellicina che si solleva ai bordi o alla base delle unghie delle mani, a causa del freddo o per l’azione dei detersivi.

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Puppéte

È corretto anche l’omofona appuppéte (=’a puppéte. l’appuppéte).

Danno procurato da un imbroglione, inganno

Puppéte de cüle = fig. Girata di spalle. Virata di poppa. Dare una fregatura

Fé ‘a puppéte significa fare un ‘bidone’, non pagare un debito, non mantenere un impegno.

Origine locale del “detto”: Si tratta di un plateale gesto di una vecchietta che, per le sue ristrettezze economiche, era costretta a comprare ”a credenze” i generi di prima necessità.
Al bottegaio – che le chiedeva il saldo del conto in preoccupante crescita – lei volse le spalle, sporse le terga verso di lui, come per offrirsi sessualmente, e gli disse: “Tèh, pìgghjete pajéte!” = “Tieni, pàgati il tuo credito”, e scappò via tra lo sbigottimento del commerciante, rimasto a bocca aperta, e le risate degli altri clienti presenti nel negozio.

Un’autentica appuppéte de cüle.

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Püpe

Püpe s.f. = Bambola

Pupazzo di materiale vario rappresentante una bambina o una donna, usato come giocattolo soprattutto femminile.

Spesso viene usato il diminutivo, date le dimensione della bambola,

Al maschile fa puparjille = bambolotto
Al femminile fa puparèlle = bamboletta

‘A püpe de pèzze = La bambola di stoffa.
Era brutta, di pezze vecchie imbottite di cartacce. Non so cosa ci trovassero di divertente in esse le bambine! Forse lo stesso trasporto che avevamo noi maschietti con la “palle de pèzze” = la palla di stracci, con la quale giocavamo interminabili partite di calcio alla “Terra gialla” come se fossimo allo stadio con un vero pallone da foot-ball.

A püpe de l’Incurnéte = La bambola dell’Incoronata.
«Pupattola in cartone pressato di colore bianco e nero, quasi un troncone senza gambe e braccia e con la testa appena
abbozzata, più simile ad una colomba o ad una mummia. Conteneva alcuni sassolini che, scuotendola, risuonavano.  Si vendeva – insieme al tamburino di latta, e al cavalluccio di cartone con base in legno a rotelle – sulle bancarelle che circondavano il Santuario dell’Incoronata presso Foggia»

A mio parere era ancora più brutta della püpe de pèzze ed era destinata alle bimbe piccoline, cui piaceva più come sonaglino che come bambolina poco antropomorfa.
Me la ricordo perché da bambino, diciamo poco prima del 1950,   mentre puntavo al Pulcinella che batteva i piatti,  sulle bancarelle dell’Incoronata l’ho vista ed ho anche sentito il suo suono sordo perché qualcuno la scuoteva come una improbabile maracas.

(La precedente descrizione virgolettata della Pupa dell’Incoronata  è stata attinta dal “Dizionario dialettale cerignolano” di Luciano Antonellis- LEONE Editrice-Foggia 1994)
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Pupatèlle

Pupatèlle s.f. = Succhiotto di emergenza.

Quando il poppante casualmente non può rientrare in tempo a casa propria per la poppata, gli si propinava una ingegnosa trovata per tenerlo a freno calmandogli i morsi della fame.

In pratica di poneva un cucchiaino di zucchero, reperibile in tutte le case delle amiche di mammà, in un fazzolettino e lo si legava dall’esterno come una pallina.

Posta leggermente inumidita in bocca al bambino affamato, questa pallina – la nostra pupatèlle – lentamente rilasciava lo zucchero che si scioglieva per effetto del suo succhiare.

Il dolce dello zucchero lo calmava immediatamente e i morsi della fami si attenuavano notevolmente. Mammà aveva il tempo di rientrare con pupo calmo e senza che facesse gli strìseme

In napoletano esiste un termine simile: ‘a pupàta: che le facciano più grosse?

Ricordo una canzone di Renato Carosone che nomina la dolcezza della pupata:

Tu quanne passe
me faje venì ‘na mossa,
oj vocca rossa,
che sfizio ‘e te vasà.
Si’ ‘na pupata,
e tutto ‘o vicinato
suspira e fa:
“ah, sei ‘na bontà”!

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Pungèlle

Pungèlle s.f. = Abitino, scapolare

Immagine sacra o reliquia che si indossa appuntata sul petto o anche, sostenuta da nastri,  pendente fra le scapole. È facile capire da questo perché viene detta scapolare, come un certo paramento  dei sacerdoti usato nell’antichità.

La devozione popolare, con un po’ di superstizione, aveva creato una specie di talismano, di amuleto, che doveva proteggere il neonato da ogni male: la pungèlle.
Questa era una specie di sacchetto spesso anche a forma di cuore (foto a sinistra), dentro il quale si ponevano alcune immaginette sacre, e poi cucito per tutto il suo perimetro per evitarne la fuoruscita.

Orlata e ricamata con amore dalla futura mamma, la pungèlle, era di colore rosa per le femminucce, e ovviamente celeste per i maschietti. Veniva inserita, previo bacio della mammina, tra le spire avvolgenti della fasciatura, prima dell’ultimo giro, in corrispondenza del cuoricino.

Ricordo che le pungèlle  a  forma di cuore venivano confezionate e cedute, in cambio di una simbolica offerta, dalle suore dell’ “Orfanotrofio Stella Maris”.

Con grande sorpresa e tenerezza qualche anno fa reperii, in fondo ad un cassetto del comò nella casa paterna, una pungèlle a forma di cuore, dal colore molto sbiadito. Sicuramente quella che mia madre usò per me, essendo io un figlio unico.

Ora non si quasi usa più perché i neonati non vengono più avvolti in fasce come una volta.  Ma vi assicuro che, in quanto a protezione da malattie,  funzionava meglio dell’ASL.

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Punèsse

Punèsse s.f. = Puntina da disegno.

Anche in italiano è a volte usato il termine per indicare le puntine utili nelle bacheche per l’affissione di avvisi o documenti.

Nell’edizione del 1968 il Dizionario dialettale napoletano fa risalire l’etimologia della parola al vocabolo francese punaise, che vuole dire cimice.    Esso riporta a seguito quanto qui è citato testualmente:

«L’associazione è dettata dal gesto che si fa per utilizzare la puntina, che viene schiacciata proprio come una cimice per essere conficcata nel legno. A sua volta il termine francese deriverebbe dall’espressione latina putire che tradotto letteralmente significa “puzzare”.

Anche qui il collegamento alla cimice ed al suo puzzo è evidente. L’attribuzione di questo nome alla puntina da disegno è fatta per una sorta di estensione analogica. Il piccolo chiodo dalla testa piatta e tondeggiante ricorda proprio la forma dell’animale.»

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Pundètte

Pundètte s.f. = Fiocchetto, mozzone di staffile.

Precisamente si tratta del fiocchetto terminale del frustino (‘u scurriéte) usato dai carrettieri per incitare i cavalli con il suo sonoro schiocco.

Si usava dire: c’jì aggiustéte ‘na bella pundètte = Si è preso una bella sbronza.

Credo che sia linguaggio gergale dei carrettieri.

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